17 Ottobre 2022 – Nella pagina del Vangelo di ieri, Luca mette in primo piano un giudice, che non teme Dio e non ha rispetto per nessuno, e una vedova, cioè una persona che, assieme agli orfani e ai poveri, si trova, nella Bibbia, nella condizione di chi è senza difesa, è oppresso, esposto al sopruso, e, dunque, ha maggior bisogno di trovare chi possa prendere le sue difese. Con insistenza prega il giudice di darle giustizia, e questi alla fine cede: “anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi”.
L’evangelista chiude il racconto con una domanda: “il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” È una domanda seria, afferma all’Angelus Papa Francesco. Se il Signore venisse oggi sulla terra “vedrebbe, purtroppo, tante guerre, tanta povertà, tante disuguaglianze, e al tempo stesso grandi conquiste della tecnica, mezzi moderni e gente che va sempre di corsa, senza fermarsi mai; ma troverebbe chi gli dedica tempo e affetto, chi lo mette al primo posto? E soprattutto chiediamoci: che cosa troverebbe in me, se il Signore oggi venisse, che cosa troverebbe in me, nella mia vita, nel mio cuore?”
C’è un fil rouge che lega la parabola riportata da Luca e la domanda che conclude la pagina del Vangelo: la preghiera nel tempo dell’attesa. Preghiera e fede stanno in un rapporto inscindibile: credere significa pregare. E se noi possiamo pregare solo grazie a una fede viva, è anche vero che la nostra fede resta viva grazie alla preghiera.
Il contesto del racconto lucano è sempre il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, che ormai è meta vicina. Ma vicino è anche il tempo della prova per lui e per i suoi discepoli. Allora assume un carattere del tutto particolare l’invito alla preghiera.
Spesso ci concentriamo su cose urgenti ma non necessarie, dice Francesco ai fedeli in piazza San Pietro, “ci occupiamo e ci preoccupiamo di molte realtà secondarie; e magari, senza accorgerci, trascuriamo quello che più conta e lasciamo che il nostro amore per Dio si raffreddi poco a poco. Oggi Gesù ci offre il rimedio per riscaldare una fede intiepidita: la preghiera”. È “la medicina della fede, il ricostituente dell’anima”, afferma il Papa, ma deve essere costante: “se dobbiamo seguire una cura per stare meglio, è importante osservarla bene, assumere i farmaci nei modi e nei tempi dovuti, con costanza e regolarità”.
Pregare per il vescovo di Roma è far entrare Dio “nel nostro tempo, nella nostra storia”. Preghiera che chiede per il “martoriato popolo ucraino e le altre popolazioni che soffrono per la guerra e ogni altra forma di violenza e di miseria”. Così ricorda l’iniziativa, il 18 ottobre, della Fondazione Aiuto alla chiesa che soffre: un milione di bambini che recitano il Rosario per la pace nel mondo.
Dalla parabola, inoltre, emerge in modo chiaro che la preghiera rende forte una persona debole. Una vedova, che sembra non avere nemmeno figli, o quantomeno non se ne fa menzione, è in una posizione sociale ed economica non solo irrilevante, ma anche esposta a soprusi, abusi ed egoismi da parte di persone prepotenti. Continua a chiedere giustizia con ostinatezza a un giudice iniquo che non ha alcuna intenzione di perdere tempo con lei finché ottiene ciò che vuole e che è nel suo diritto. Se perfino il giudice disonesto ha fatto giustizia alla donna per la sua insistenza, “Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?” leggiamo in Luca.
Anche nella prima lettura tratta dall’Esodo, la battaglia contro Amalek e Mosè che alza le sue braccia al cielo, la forza debole della preghiera vince non per la guerra, ma la battaglia per la pace. E ci dice anche che l’impegno della preghiera richiede di sostenerci l’un l’altro, come fecero Aronne e Cur con Mosè.
Per questo Gesù parla “ai suoi discepoli – a tutti, non solo ad alcuni – della necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”. Per questo ricorda “una pratica spirituale sapiente, che si è oggi un po’ dimenticata, e che i nostri anziani, soprattutto le nonne, conoscono bene”, le giaculatorie: piccoli “messaggini” per restare “sintonizzati con il Signore”. (Fabio Zavattaro – Sir)