9 Ottobre 2022 – Il Vescovo Giovanni Battista Scalabrini è Santo. Una santità che nasce dal suo impegno sacerdotale e parrocchiale, nella catechesi e nella predicazione, nell’insegnamento e nella cura dei presbiteri, ma ha al centro il suo impegno pastorale e sociale a favore degli emigranti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Allora dal nostro Paese, a causa della povertà in campagna e in collina partivano fino a un milione di italiani l’anno: metà verso le Americhe e l’altra metà verso i Paesi dell’Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente. Un impegno condiviso con un altro Vescovo amico, Geremia Bonomelli, di due diocesi vicine – Piacenza e Cremona – che alla fine si divideranno il lavoro pastorale con i migranti: Scalabrini, con i suoi missionari, in America e Bonomelli, con i preti diocesani, in Europa. L’impegno pastorale sarà soprattutto nel condividere il viaggio e la vita con gli emigranti italiani, perché avessero la possibilità di continuare un cammino di fede, con le celebrazioni e la catechesi in lingua italiana e l’assistenza spirituale. Il clero autoctono, infatti, non solo non curava la vita religiosa degli emigranti, ma talora ostacolava l’attività dei missionari. Il Vescovo Scalabrini aveva compreso che abbandonare gli emigranti e le loro famiglie che partivano avrebbe generato l’abbandono anche della fede e della pratica religiosa, oltre che l’adesione a movimenti socialisti e anarchici. L’impegno sociale sarà diretto a promuovere la tutela dei migranti, contro gli agenti e mediatori di manodopera approfittatori, contro i datori di lavoro sfruttatori, per la promozione dei diritti dei lavoratori e delle loro famiglie e dei minori, sensibilizzando l’opinione pubblica e la politica in diverse occasioni – all’ Expo di Torino del 1898, al Convegno dell’Opera dei Congressi di Ferrara del 1899, ad esempio – e formulando anche proposte di legge. A questo proposito, in una relazione alla Congregazione di Propaganda fide del 4 settembre 1889 il Vescovo Scalabrini scriveva: “Nelle fazendas gli emigranti lavoravano in condizioni durissime, come braccianti salariati, in genere a cottimo, alle dipendenze di fazendeiros in gran parte dispotici e sfruttatori, con conseguenze negative sia sul piano morale che religioso”. Bella è poi l’amicizia per quasi quarant’anni tra i due Vescovi, Scalabrini e Bonomelli, testimoniata dal fitto Epistolario, dove si respira la passione per la cura degli emigranti che per Scalabrini sfocerà nella fondazione della Congregazione degli Scalabriniani e per Bonomelli nella creazione dell’Opera di assistenza per gli italiani emigrati in Europa. Esemplari sono le parole del Vescovo Bonomelli commemorando l’amico Scalabrini nella Chiesa di S. Bartolomeo a Como, nel 1913: “La Provvidenza mi pose in contatto con molti uomini collocati in alto nella Chiesa di Dio per ufficio, per scienza e pratica di affari, conoscitori della società; ma posso affermarlo con tutta coscienza: non ne trovai uno o ben pochi che conoscessero al pari di lui le condizioni nostre vere, sociali e religiose, e i bisogni relativi dei nostri tempi!… Il suo sguardo spaziava al di là della sua diocesi, dell’Italia e dell’Europa”. Questo sguardo di Scalabrini è carico di santità perché esperto di umanità, capace di dialogare con le istituzioni, di “uscire dal tempio”. Ed è questo sguardo pieno di umanità che la santità del Vescovo Scalabrini ci sollecita, perché “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini, soprattutto dei poveri e dei malati” (G.S. 1) non ci lascino indifferenti, abbattino i muri dell’indifferenza e della prepotenza, spingano all’impegno e alla condivisione. È uno sguardo, quello del Vescovo Scalabrini, che ha una preferenza per i poveri, che allora erano i salariati sfruttati, costretti a partire per le Americhe. È uno sguardo che coinvolge oggi noi, le nostre comunità per educarci alla prossimità nei confronti dei migranti, in questo tempo in cui – come scrive Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti – “riappare “la tentazione di fare una cultura dei muri, di alzare i muri, muri nel cuore, muri nella terra per impedire questo incontro con altre culture, con altra gente. E chi alza un muro, chi costruisce un muro finirà schiavo dentro ai muri che ha costruito, senza orizzonti. Perché gli manca questa alterità” (F.T. 27).
Mons. Gian Carlo Perego – Presidente Fondazione Migrantes