29 Agosto 2022 – Citta del Vaticano – Diciannove giorni prima, nella notte del 9 aprile 2009, un terremoto di magnitudo 5,8 aveva praticamente raso al suolo la città e ucciso 309 persone. Il 28 aprile a L’Aquila arriva Papa Benedetto XVI e, superando le resistenze degli addetti alla sicurezza, entra nella basilica di Santa Maria di Collemaggio ferita dalla violenza del sisma e avvolta dalle impalcature. Pochi passi per raggiungere la teca con i resti di Papa Celestino V, e poi quel gesto che ancora oggi, dopo la rinuncia del 2013, fa riflettere: si toglie il pallio, e lo pone sul cristallo.
Domenica Papa Francesco entra nella basilica di Collemaggio, ancora sotto restauro, e si ferma a pregare davanti la teca di Pietro del Morrone monaco eremita benedettino, eletto Papa nel 1294 con il nome di Celestino V. Per la prima volta un Papa compie il rito dell’apertura della Porta santa della basilica, battendo tre volte sull’anta di sinistra con un ramo d’ulivo del Getsemani: è la 728ma Perdonanza celestiniana. Un tempo di perdono, dice Francesco, che non deve limitarsi a una sola volta l’anno, “ma sempre. È così, infatti, che si costruisce la pace, attraverso il perdono ricevuto e donato”.
È il Papa del “gran rifiuto”, come si legge nel terzo canto dell’Inferno della Divina Commedia di Dante. Ma “Celestino V non è stato l’uomo dei ‘no’, è stato l’uomo dei ‘si’” dice Francesco nell’omelia della messa celebrata sul piazzale della basilica. Questo perché, ricorda, “non esiste altro modo di realizzare la volontà di Dio che assumendo la forza degli umili. Proprio perché sono tali, gli umili appaiono agli occhi degli uomini deboli e perdenti, ma in realtà sono i veri vincitori, perché sono gli unici che confidano completamente nel Signore e conoscono la sua volontà”. È ai miti che Dio rivela i suoi segreti: “nello spirito del mondo, che è dominato dall’orgoglio, la Parola di Dio di oggi ci invita a farci umili e miti. L’umiltà non consiste nella svalutazione di sé stessi, bensì in quel sano realismo che ci fa riconoscere le nostre potenzialità e anche le nostre miserie”. Celestino è stato “testimone coraggioso del Vangelo” e in lui “noi ammiriamo una Chiesa libera dalle logiche mondane e pienamente testimone di quel nome di Dio che è la Misericordia”. Ci ha lasciato “il privilegio di ricordare a tutti che con la misericordia, e solo con essa, la vita di ogni uomo e di ogni donna può essere vissuta con gioia. Misericordia è l’esperienza di sentirci accolti, rimessi in piedi, rafforzati, guariti, incoraggiati”.
Omelia nel giorno in cui il Vangelo pone in primo piano la parabola del banchetto nuziale e della scelta del posto da occupare: “quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto”. Ovviamente non è una lezione di galateo, né tantomeno una forma di protocollo da rispettare; ciò che Cristo mette in evidenza, nel brano lucano, è l’umiltà: è il messaggio delle beatitudini, della capacità di scegliere una strada diversa da quella che il mondo propone; di non seguire le mode, spesso passeggere, del tempo. Il valore di ognuno non dipende dal posto che occupa in questo mondo. “L’uomo non è il posto che detiene, ma è la libertà di cui è capace e che manifesta pienamente quando occupa l’ultimo posto, o quando gli è riservato un posto sulla Croce”. E il cristiano sa che la sua vita è “una carriera alla maniera di Cristo … Finché non comprenderemo che la rivoluzione del Vangelo sta tutta in questo tipo di libertà, continueremo ad assistere a guerre, violenze e ingiustizie, che altro non sono che il sintomo esterno di una mancanza di libertà interiore. Lì dove non c’è libertà interiore, si fanno strada l’egoismo, l’individualismo, l’interesse, la sopraffazione”. L’Aquila sia davvero “capitale di perdono, di pace e di riconciliazione”; e per l’intercessione di Maria auspica “per il mondo intero il perdono e la pace”
Il Papa ha voluto presenti in prima fila i familiari delle vittime del terremoto che hanno realizzato una Cappella della Memoria: “la memoria è la forza di un popolo, e quando questa memoria è illuminata dalla fede, quel popolo non rimane prigioniero del passato, ma cammina e cammina nel presente rivolto al futuro, sempre rimanendo attaccato alle radici e facendo tesoro delle esperienze passate, buone e cattive. E con questo tesoro e queste esperienze va avanti”: Jemo ’nnanzi! (Fabio Zavattaro – Sir)