Gelsomina e la strada dal circo al grande schermo

24 Agosto 2022 – Roma – Il primo grande attore a portare il fascino del circo al cinema usando la maschera del clown è stato Ridolini al tempo del muto, quel Larry Semon che si infarinava la faccia e indossava pantaloni ascellari (un Fantozzi ante litteram?) compiendo davanti alla cinepresa piroette e acrobazie che lasciavano lo spettatore col fiato sospeso. Goffo, ridicolo e pasticcione come un anarchico “Augusto” dal naso adunco e dallo sguardo stralunato, il personaggio di Ridolini non era, però, né il romantico “Tramp” di Charlot nè l’eroe funambolesco e surreale impersonato da Buster Keaton.

Se c’è invece una figura entrata nell’immaginario collettivo come l’espressione cinematografica più sublime e pura della clownerie, anzi evocativa del circo tout court, è la Gelsomina de La strada di Giulietta Masina e Federico Fellini: una Cenerentola scanzonata e ribelle che impara il mestiere del saltimbanco seguendo quell’energumeno di Zampanò e facendosi ammaliare dal funambolo detto “Il Matto” il quale le insegna però, soprattutto, la grazia dello stare al mondo. Una “farfalla” triste che cerca amore e sprizza umanità, un tenero pagliaccio quasi asessuato, col viso imbiancato e un punto rosso sul naso, la maglietta a righe sotto a un cappottaccio e la parrucca bionda (in realtà erano i capelli suoi, resi ispidi e impiastricciati da borotalco e sapone da barba). Uno scricciolo che fa smorfie e zompa buffamente al ritmo del trombone e della grancassa. A Hollywood, dopo l’Oscar, anche la critica la osannò: «The female Charlot». Lo stesso Chaplin ne rimase colpito: «La Masina è l’attrice che ammiro di più».

Gelsomina è un’anima candida e sprovveduta che porta con sè il Mistero. Semplice e profonda. Per questo ha segnato la storia del cinema. Ma quel modo di recitare della Masina – molto di più di un’attrice sagomata dal despota Federico, marito e regista –, i saltelli, gli ammiccamenti e le tenere moine ispireranno altre grandi del cinema e del varietà, come Leslie Caron, per esempio, nel musical Gigi di Vincente Minnelli. E, poi, a pensarci bene, cos’è lo Sbirulino televisivo della Mondaini se non una versione spensierata e colorata della Gelsomina di Zampanò senza più il velo della malinconia del povero che cerca riscatto e considerazione? Un’altra analogia da tubo catodico che ci viene in mente è quella dello Scaramacai di Pinuccia Nava, nato nel 1955 dalle fertili penne di Umberto Simonetta e Guglielmo Zucconi: «Mi sun un pagliaccetto senza casa e senza tetto» era il suo tormentone. Non solo “Tv dei ragazzi”, molto di più. Non c’era ancora Zelig e il circo piaceva a tutti.

Ma il mito rimane pur sempre lei, la Gelsomina del film preferito da Papa Francesco. «Mi piace perché La strada tratta del sacro, di quel bisogno primitivo e specifico dell’uomo che ci spinge ad andare oltre», confidò il Pontefice in un’intervista a Civiltà Cattolica. È lei, la Masina-Gelsomina, a incarnare l’essenza del circo e dei clown sul grande schermo. E sarà per sempre così. Perché è la voce, l’anima, il corpo stesso, fragile e minuto, degli oppressi che riescono a sorridere e a far sorridere anche di fronte a un destino avverso e che sono capaci di guardare con stupore dove gli altri dal cuore indurito non guardano più. Ci fa ingobbire di malinconia, Gelsomina. Ma ci lascia pure una viva speranza dentro. Perché, come le dice il Matto: «Tu non ci crederai ma tutto quello che c’è a questo mondo serve a qualcosa. Ecco, prendi quel sasso lì per esempio… Non so cosa serve questo sasso io, ma a qualche cosa deve servire. Perché se questo è inutile, allora è inutile tutto, anche le stelle. E anche tu, anche tu servi a qualcosa, con la tu’ testa di carciofo».

Meraviglia del cinema, e del genio di chi lo sa fare. Giulietta e Federico. Tutti e due “clown”, con Gelsomina e Cabiria, personaggi ritagliati sulle angosce di una povera bambina emiliana “adottata” dalla ricca zia di Roma e sui sogni-desideri del più grande direttore di circo di tutti i tempi, quel regista che col megafono e la vocina rotta sapeva spiegare agli attori sul set come si trasforma l’inizio di una lacrima in una risata sommessa. Come la voleva lui. Amara e dolce insieme. (Fulvio Fulvi – Avvenire)

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