Vangelo Migrante: VIII Domenica del Tempo Ordinario (Vangelo Lc 6, 39-45)

24 Febbraio 2022 – Nella prima lettura odierna, il libro del Siracide ricorda che la verità dell’uomo si rivela nel suo modo di ragionare: “il banco di prova per un uomo”; e quello che ha nel cuore si mostra da quel che dice: “non lodare nessuno prima che abbia parlato”.

Sulla scorta di questa saggezza, Gesù pone in indissolubile relazione l’esterno e l’interno dell’uomo. E lo fa con delle immagini: “Può un cieco condurre un altro cieco? (…) Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? (…) Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono”.  E conclude: “la bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”.

Ma è soprattutto in relazione al prossimo che le due estremità rivelano la loro unione o la loro discrepanza. Quando si presume di avere qualcosa che non si possiede, si finisce per fare disastri: un cieco che guida un altro cieco; allo stesso modo, quando si trascura una ostruzione tanto pericolosa quanto dannosa, si finisce per allontanare chi si vorrebbe addirittura aiutare: la trave e la pagliuzza.

Per Gesù la verità e l’amore coincidono e ogni discrepanza è un varco per la menzogna e per quelle forze distruttive che producono il contrario di quello che si presume di compiere.

L’unione di verità e di amore è quello che Lui ha fatto con noi. Per questo dinanzi al prossimo non ci si può porre senza prima chiedersi: “sarei disposto a dare la vita per questo fratello?” E, facendo i conti con se stessi, non chiedersi ancora: “ma il prossimo che si avvicina a me, cosa trova dalle mie parti? Rovi e spine o frutti abbondanti? Respingimenti e ogni sorta di acidità e burocrazia o accoglienza, disponibilità … perdono?

Dove arriva, allora, questo vangelo?

Al discepolato. Nessuno può presumere di essere in grado da se stesso di rivelarsi, di raccontarsi e di relazionarsi con amore e libertà verso il prossimo ma solo dopo aver ricevuto e accolto la verità di quello che è e compie in parole e opere. E non è umiliante quanto dice Gesù: “un discepolo non è più grande del proprio maestro…”

Perché nessuno può dare quello che non ha. E perché da quel Maestro si riceve proprio quello che serve. /p. Gaetano Saracino)

Temi: