Germania: carcerati e dimenticati?

17 Febbraio 2022 –

Francoforte – Di solito, nelle edizioni di gennaio e febbraio del nostro giornale (Corriere d’Italia, ndr)  non mancavano le consuete fotografie dei consoli in visita ai connazionali detenuti o altre note che parlavano dei pacchi dono inviati tradizionalmente dai consolati ai detenuti italiani nel periodo natalizio. Quest’anno nulla si sente, nulla si vede. Alcuni familiari dei detenuti italiani in Germania hanno invece segnalato alla nostra redazione che quest’anno il solito pacco dono, o il semplice panettone, a qualche loro congiunto detenuto non è arrivato al carcere come negli anni precedenti. Una dimenticanza? Speriamo di sì. Non è escluso che l’assistenza consolare ai detenuti sia stata svolta in linea di massima come sempre, solo che a noi non ne è giunta notizia. La situazione nelle carceri, al momento, non è comunque molto felice. La pandemia non si è fermata davanti ai cancelli degli istituti di pena. I contatti con l’esterno hanno subito limitazioni. La possibilità di contagio in ambienti ristretti, nel vero senso della parola come gli istituti di pena, è di un’elevata pericolosità. A questo punto bisogna fare un’osservazione di carattere generale che vale sempre quando si parla di detenuti, anche di detenuti italiani in Germania. Stabiliamo a priori che qui non si vuole battere il tasto della pietà, della pena verso i “meno fortunati” o del romanticismo che in molti ambienti aleggia verso coloro che hanno sfidato le leggi, stile Mario Merola “Io songo carcerato e mamma more”.

Il ragionamento, l’approccio dovrebbe essere piuttosto di tutt’altra natura.  Nei confronti dei detenuti vale, più di tutte le altre, la massima della parità di trattamento. Sbagliato è invece ogni atteggiamento da esorcista verso chi ha meritato il carcere. Sbagliato è anche ogni approccio decisamente lacrimevole.

Le autorità devono preoccuparsi innanzitutto che la diversa nazionalità, la mancanza di conoscenza della lingua veicolare nelle carceri, la diversa estrazione culturale non rendano la vita di un carcerato più amara e dura di un altro che sconta la stessa pena per lo stesso reato.

Immaginate una persona detenuta i cui familiari sono tutti in Italia? Il disagio aumenta in maniera notevole quando questo detenuto per mesi e mesi non riceve visite dai suoi cari. Questo detenuto soffre più degli altri detenuti e non è giusto.

Immaginate una persona che all’interno del carcere non può assolvere l’addestramento professionale per prepararsi a un futuro migliore perché non conosce il tedesco? Questo detenuto soffre più degli altri detenuti e non è giusto.

Immaginate una persona costretta tutti i giorni a mangiare cose estranee ai suoi gusti, alle sue abitudini alimentari? Questo detenuto soffre più degli altri detenuti e non è giusto.

E la lista potrebbe continuare, segnalando altre situazioni di diseguaglianza nelle condizioni di detenzione.

L’assistenza ai detenuti italiani all’estero, nel frattempo. è ben definita nelle regole consolari. La misericordia, invece, che è il nobile sentimento di coinvolgimento attivo verso l’infelicità altrui, dovrebbe essere, a sua volta, ben definita nell’animo di chiunque asserisce di essere cristiano. E, tra le sette opere di misericordia corporale, che ogni cristiano dovrebbe tener ben presente per definirsi tale, è anche elencato, insieme a dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, seppellire i morti anche “visitare i carcerati”. Sono elencati per ultimi i carcerati. Ma ci sono. Non lo dimentichiamo. (Aldo Magnavacca – Corriere d’Italia)

 

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