In Famiglia: Proverbi 5, 1-23

23 Novembre 2021 – Fra i cosiddetti libri “Sapienziali”, di cui fa parte la raccolta dei Salmi, a cui abbiamo dato uno sguardo negli ultimi due appuntamenti, è compreso anche il libro dei Proverbi, una raccolta di detti tradizionali ebraici, redatti con ogni probabilità fra il IV e il III secolo avanti Cristo. Sono da leggersi come gli ammonimenti di un padre ad un figlio, o anche – se vogliamo – di un maestro ad un discepolo e spaziano su tantissimi ambiti della vita individuale e sociale. Non si tratta, in questo caso di poesia e la nostra sensibilità attuale necessita di essere un po’ preparata a questo linguaggio così asseverativo, con la preponderanza di veri e propri divieti, norme anche molto minute, fin troppo potrebbe dire il lettore odierno! I fratelli ebrei vivono questo sistema di regole con un’osservanza che non è vissuta dai cristiani, eppure dovremmo essere più sensibili alla saggezza di questa che è pur sempre Parola di Dio e che in tante occasioni offre spunti preziosi per creare quella “siepe” che protegge l’uomo e la donna dal finire nel dirupo, dal perdere l’orientamento, dallo smarrirsi a causa del peccato e della fatica che quotidianamente anche la vita più serena comporta. Al capitolo 5, i primi 23 versetti l’autore tratta un tema che, ahimè, non ha perso di attualità. Al figlio, infatti, è fatta la raccomandazione di affidarsi alla sapienza nell’ambito della propria vita matrimoniale e non cedere alla tentazione dell’adulterio. Chiediamoci quanto oggi nella trasmissione intergenerazionale i padri affrontino questo tema coi loro figli nel corso dell’adolescenza e in età di sposarsi. C’è un mare di silenzio assordante che separa genitori e figli riguardo a tutto quello che attiene alla sfera della sessualità e dell’affettività. Gli adulti si chiedono quando e come parlarne, i figli si chiudono all’ascolto dei genitori, forse più impauriti di loro o invece convinti che le “dritte” migliori possano solo arrivare dal mondo dei pari. Spesso, così, si arriva all’età delle nozze con tante lacune e un’immaturità che spesso ci può far inciampare al primo ostacolo. La Bibbia ci richiama alle nostre responsabilità, a quelle che non possono essere rimandate o delegate per falsi pudori, tabù o pigrizia al di fuori delle mura domestiche. Con un linguaggio che è necessario decodificare e contestualizzare (è chiaro che quanto è riferito allo sposo, valga oggi anche per la sposa e viceversa) il testo raccomanda con passione di non lasciarsi sedurre dalla tentazione di cercare al di fuori del legame nuziale una soddisfazione sessuale che non potrà che essere effimera e portatrice di rovina. Il mettere in guardia da ciò non appaia anacronistico, considerando l’età più precoce in cui si contraevano i matrimoni in quel tempo; il padre dei Proverbi chiede al figlio: “bevi all’acqua della tua cisterna e quella che zampilla dal tuo pozzo […] sia benedetta la tua sorgente e tu trova gioia nella donna della tua giovinezza”. Non ha per noi grande significato che la donna “alternativa” dalla quale il figlio è messo i guardia sia una straniera, una prostituta o una cantante… sono queste categorie che noi oggi dobbiamo necessariamente adattare, ma resta forte l’invito all’indissolubilità nuziale come una condizione non di rassegnata sopportazione, quanto piuttosto un elemento di energia feconda, di gioia piena, di autentico riconoscimento della pienezza di vita che gli sposi possono donarsi reciprocamente. È un precetto che dà gioia quello espresso di padre in figlio e su questa dimensione di affetto e felicità condivisa dovrebbero intendersi tutti gli interventi educativi dei genitori nei confronti dei figli. Manchiamo oggi, forse, di un poco di coraggio in più. Fatto salvo che l’amore tangibile e vicendevole di due genitori possa essere più esplicito di tante parole, è altresì vero che gli adulti non possono sottrarsi a fare, fin dall’età in cui i figli possono capire e per primi pongono domande, quella che oggi viene chiamata “educazione sessuale”. In questo ambito quanto poco è valorizzata la fedeltà? Quanto è bistrattata come una croce da portare anche a fronte di scelte immature o sbagliate e non viene invece letta come una strada che dà sapore all’esistenza, che vale la pena di essere vissuta perché la fatica che comporta, anche nel passare degli anni, anche nell’affievolirsi della passione e dell’istinto e nell’invecchiare dei corpi, è un fatica sana, come quella che si fa per raggiungere una cima. É la fatica – secondo il titolo di una splendida canzone di Ivano Fossati – per la “costruzione di un amore” che “spezza le vene delle mani e mescola il sangue col sudore”. Apprendere da giovani che l’amore o è per sempre o non è, è un segreto d’alta quota, che necessita coraggio, ma un coraggio che ripaga e che dà il centuplo già qui su questa terra e fa splendere sulla famiglia l’autentico disegno che Dio ha sognato per essa. (Giovanni M. Capetta – SIR)

 

 

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