19 Novembre 2021 – Londra – Con lo slogan “Take Back Control”, il Governo ha convinto la seppur risicata maggioranza dei suoi cittadini a votare a favore della Brexit e interrompere definitivamente il progetto comunitario europeo che aveva avviato 47 anni fa. Ma la Brexit non costituisce soltanto un cambio strategico di politica estera. Nel versante interno essa è essenzialmente l’affermazione di una restaurazione della sovranità nazionale che in alcune frange estremiste ha risvegliato un linguaggio e degli atteggiamenti di tipo razzista nei confronti di tutti gli stranieri e in particolare nei confronti degli europei. Così il migrante, prima considerato come una risorsa, viene ora sempre più additato come minaccia. In un mondo globalizzato e interconnesso la Brexit costituisce la svolta da una logica comunitaria dell’inclusione a una logica immunitaria dell’esclusione. Non è un caso se durante il primo semestre del 2020 sono rientrati a casa oltre 100mila italiani. Agli atteggiamenti di intolleranza e al senso di smarrimento che la Brexit ha portato con se si è aggiunto anche il disagio della Pandemia. Gli anziani emigrati (italiani e non), soprattutto a Londra, hanno dovuto fare i conti non solo con l’isolamento forzato, la solitudine, il distacco dalle persone care, ma anche con la barriera costituita da una inadeguata competenza linguistica e tecnologica che ha reso il loro isolamento ancora più drammaticamente desolante. A queste problematiche si è aggiunto il trauma della mancanza di contatto fisico con i propri cari, che spesso costituiscono il medium che li interconnette ad un Paese che per tanti versi considerano ancora “straniero” nonostante i decenni trascorsi in esso. E’ questo il nuovo contesto in cui si trova ad operare la Missione Cattolica Italiana nel Regno Unito, soprattutto a Londra, la terza città più grande d’Europa, con un agglomerato urbano di oltre 11 milioni di abitanti. Nel Regno Unito esistono due tipi di macro presenze italiane. La prima è quella della emigrazione avvenuta in modo massiccio tra gli anni ’50 e ’60; la seconda è quella che nasce come conseguenza della libertà di movimento garantita dai trattati Europei. Questo secondo flusso che si è andato a sommare a quello preesistente è estremamente diversificato e complesso e ha molto poco in comune con il precedente. Per questo motivo, più che di comunità italiana, si dovrebbe forse parlare di convivenza o co-presenza di italiani nello stesso territorio, o al massimo di comunità microcosmiche. Il Regno Unito nei confronti dei migranti segue una strategia sua propria. Non aspira ad integrare gli stranieri; dà piuttosto uguali opportunità in una atmosfera di mutua 2 tolleranza, come la definì l’allora Ministro degli Interni Roy Jenkins. Anche da un punto di vista ecclesiale succede pressoché la stessa cosa. Nel Regno Unito ogni comunità etnica, disconnessa dalla comunità ecclesiale locale e guidata da un cappellano etnico, si gestisce in maniera pressoché autonoma celebrando la messa nella lingua di provenienza e organizzando eventi e attività legate alle tradizioni culturali del proprio Paese. Se il modello di mutua tolleranza ha la sua ragione di essere in un’ottica statale, da un punto di vista ecclesiale vengono a mancare quegli elementi strutturali per “una Chiesa concretamente cattolica”, come ricorda la Erga Migrantes, la quale invita le Chiese particolari ad attuare con i migranti una “profonda integrazione” e “nel pieno rispetto della loro diversità e del loro patrimonio spirituale e culturale, superando il limite della uniformità” per realizzare in armonia “l’unità nella pluralità” (EM, 89) . Nel cammino sinodale che abbiamo già iniziato a percorrere, le Chiese particolari, nessuna esclusa, dovranno lasciarsi plasmare dallo Spirito per favorire l’apporto specifico dei migranti “alla costruzione di una Chiesa che sia segno e strumento di unità e di una umanità rinnovata” (Doc. Prep. Sinodo 2023, n.3). Il Documento Preparatorio invita la Chiesa ad andare oltre l’ospitalità per raccogliere una nuova sfida, quella del camminare insieme. Il camminare insieme richiede innanzitutto che vengano abbattute “le barriere che dividono l’unica famiglia umana” . “Insieme” implica non semplicemente ospitalità ma coabitazione, partecipazione, e simultaneità in vista di un comune futuro. Per compiere il balzo in avanti che ci chiede di fare papa Francesco attraverso il cammino sinodale è indispensabile che la Chiesa consideri il migrante non solo come oggetto ma soprattutto come soggetto della sua azione pastorale. E’ quanto esorta san Paolo nella Lettera agli Efesini: “Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù”. (Ef 2, 19-22). (don Antonio Serra, Coordinatore Nazionale MCI nel Regno Unito)