In Famiglia: Tobia e Sara, seconda parte

19 Ottobre 2021 – Abbiamo lasciato Tobia e Azaria/Raffaele lungo il cammino. Attraversando il fiume Tigri, Tobia viene aggredito da un grande pesce, simbolo di pericolo misterioso e pauroso (pensiamo alla famosa balena di Giona). Raffaele gli intima di catturarlo e toglierne il fiele, il cuore e il fegato; mettendoli in disparte perché potranno essere utili medicamenti (Tb 6,4). C’è una dimensione del tutto pratica nell’aiuto che Raffaele offre a Tobia: l’angelo dà un consiglio ma la volontà e l’impegno del giovane sono fondamentali. Forse anche a noi tante volte è capitato di ricevere un’indicazione, un suggerimento e di non averlo voluto seguire senza fidarci di chi ce lo stava dando. L’invito allora è quello di avere una mente e una sensibilità accogliente nei confronti delle opportunità che Dio ci offre e saperle cogliere per il nostro bene.

Arrivati nella città di Sara, l’angelo prepara Tobia all’incontro con quella che sarà la sua sposa, perché il padre di lei è il parente più prossimo di suo padre Tobi e questo è secondo la volontà del Signore. Tutto sembra prestabilito, ma in realtà non è così: Tobia deve compiere un percorso di discernimento, ha sentito parlare del demone che affligge quella donna e non nasconde la sua paura di morire. Le parole di Raffaele sono un annuncio che dovrebbe risuonare nel cuore di ogni sposo: “Non temere: ella ti è stata destinata fin dall’eternità. Sarai tu a salvarla. Ella verrà con te e penso che da lei avrai figli che saranno per te come fratelli. Non stare in pensiero”. Ed infatti questa sorta di profezia, come prosegue il testo, porta Tobia a fidarsi e ad “amare molto quella donna senza più poter distogliere il cuore da lei” (Tb 6,18). C’è un momento preciso nella vita di ogni uomo e di ogni donna che decidono di sposarsi nel Signore a partire dal quale i due si promettono per sempre che la salvezza, potremmo dire la santità dell’altro è il dono e la responsabilità che accolgono reciprocamente. Non sono più due, ma uno, la loro fede, il loro desiderio di amare Dio passa attraverso il loro amore, in una storia intrecciata che nel libro si concretizza nel dettaglio della loro prima notte di nozze.

Quest’uomo e questa donna sanno che la posta in gioco è alta, che l’amore richiede coraggio, che è un abisso in cui ci si può perdere e dal timore, però, non nasce la fuga ma, ancora una volta una preghiera che è fra i testi più belli della Bibbia dedica al matrimonio. Un canto di lode, di ringraziamento, di fiducia, un’invocazione allo Spirito affinché li accompagni sempre: Tobia così prega: “Tu hai detto: «Non è cosa buona che l’uomo resti solo; facciamogli un aiuto simile a lui». Ora non per lussuria io prendo questa mia parente, ma con animo retto. Dégnati di avere misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia” (Tb 8,5-8). Nonostante i timori dei genitori, gli sposi si ridestano dopo la notte trascorsa insieme sani e salvi e da lì il racconto non è che un tripudio di grazie su grazie. Proseguono i festeggiamenti, Tobia recupera il piccolo tesoro che il padre gli ha affidato e poi non dimentica i suoi anziani genitori e intende ritornare a casa con la sua sposa. Il padre di Sara desidera che il rapporto di questo nuovo marito con i suoi suoceri possa essere intimo e affettuoso come quello coi genitori e chiede al genero, affidandogli la figlia di “non farla soffrire nessun giorno della sua vita” (Tb 10,13). Un’altra raccomandazione-benedizione che ogni sposo dovrebbe poter alimentare nel cuore attraverso la preghiera e l’aiuto di tutte le persone che amano la nuova famiglia che si è formata. Tobia torna dal padre e lo guarisce con il fiele del pesce: il suo coraggio lo ha reso capace di occuparsi del suo genitore e questi ora può rivederlo con occhi nuovi. È bello scoprire che in questo racconto le coppie dei genitori e quella degli sposi si dimostrano un affetto senza condizioni, un amore che supera loro stessi. In tralice c’è sempre il rischio che i legami di sangue prevalgano sull’unione che da poco si è formata, i cosiddetti “cordoni ombelicali” con le famiglie d’origine, ma vince la libertà dei coniugi che sanno staccarsi dalle case avite e iniziare la loro strada affidando il loro amore a quello provvidente di Dio. (Giovanni M. Capetta – Sir)

 

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