30 Settembre 2021 – Porto Santa Rufina – Un incontro di colori. Quelli degli abiti di terre distanti. O di suoni e di voci di musiche antiche. Oppure quelli della preghiera nelle lingue native. Filippini, srilankesi, romeni, slovacchi, nigeriani, latinoamericani, italiani hanno animato con le loro tradizioni la 107ma Giornata del migrante e del rifugiato, celebrata nella diocesi di Porto-Santa Rufina nella parrocchia dei Santi Pietro e Paolo.
Per la prima volta dopo l’inizio della pandemia i migranti hanno condiviso i volti delle loro culture nell’esibizione che ha preceduto la Messa. Una consuetudine rinnovata di anno in anno. A introdurre la kermesse il diacono Enzo Crialesi, responsabile dell’Ufficio Migrantes diocesano, che ha ringraziato dell’accoglienza il parroco don Paolo Ferrari.
Come finestre sul mondo i gruppi etnici si sono alternati nel salone della parrocchia offrendo con orgoglio la singolarità della loro identità storica. Un mosaico di ricchezza confluito nel delineare il volto dell’unica identità, l’umanità: il “noi” ribadito da papa Francesco nel suo messaggio: «Oggi la Chiesa è chiamata a uscire per le strade delle periferie esistenziali per curare chi è ferito e cercare chi è smarrito, senza pregiudizi o paure, senza proselitismo, ma pronta ad allargare la sua tenda per accogliere tutti».
Riprendendo queste parole nella lettera alla diocesi il vescovo Ruzza ha sottolineato che «Il fenomeno migratorio caratterizza gli anni del nostro tempo in modo ineludibile e per i credenti l’accoglienza è un compito, una missione, un dovere evangelico». Parole chiare lette da suor Maria Grazia Pennisi, collaboratrice della Migrantes diocesana, all’inizio della Messa presieduta dal vicario generale don Alberto Mazzola e concelebrata dal parroco e dai sacerdoti responsabili dei migranti.
«Profeta è colui che parla a nome di Dio», nell’omelia il vicario generale ha commentato il racconto evangelico di Marco in cui i discepoli vorrebbero impedire a un estraneo di scacciare i demoni nel nome di Gesù, ma il Maestro critica la posizione degli apostoli. «Non dobbiamo chiuderci ma essere aperti allo Spirito Santo – ha continuato il sacerdote – perché egli agisce come vuole, con chi vuole e quando vuole».
La tentazione dell’uomo è quella di controllare e giudicare l’azione di Dio, invece il compito del cristiano è di rimanere in ascolto e parlare e agire di conseguenza. Comprendere la libertà dello Spirito Santo e la sua multiforme presenza là dove egli soffia significa accogliere l’incontra tra differenza e comunione.
«Questo è l’invito di papa Francesco ad accrescere la nostra cattolicità. I membri della Chiesa devono impegnarsi ad essere sempre più cattolici, ovvero inseriti in quell’universalità che ci permette di incontrare le nostre sorelle e i nostri fratelli per costruire un “noi” che sia sempre più grande», ha concluso il vicario generale. (Simone Ciampanella)