13 Luglio 2021 – Leggere nella sua continuità la storia di Abram e Sarai riempie il cuore di gratitudine perché è davvero una vicenda “patriarcale” in cui affondano le radici della nostra umanità e della nostra fede. Abram e Sarai (questi i loro nomi prima che il Signore li cambi in virtù della loro elezione), sono prima di tutto una coppia di sposi. Una coppia ricca di consapevolezza e di amore, una coppia che si parla, che dialoga, si confronta. Certo bisogna leggerlo fra le righe ma altrimenti non si spiegherebbe perché – in un contesto come quello biblico del tempo – si nomini così spesso la presenza di una moglie. Dunque se Abram è il nostro padre nella fede perché parte, lascia tutto, fidandosi di una Parola, fidandosi di un Dio nuovo, che parla un linguaggio diverso dagli idoli pagani della città in cui si trova, credo di poter dire che ha il coraggio di fare questo perché al suo fianco c’è una donna altrettanto coraggiosa che lo asseconda e lo consiglia. Abram si dice che aveva 75 anni: che coraggio! Ricominciare da capo, partire per una terra sconosciuta, affidandosi ad una benedizione tanto grande quanto misteriosa (Gen 12, 1-9). Fino a questo momento il nostro ci pare un eroe, un uomo benedetto da Dio e intrepido, ma le difficoltà sono appena iniziate. Giunto in Egitto, a causa della carestia in terra di Canaan, ecco comparire la paura anche in lui e la tentazione di confidare solo sulle sue forze: lo stratagemma di dire al faraone che l’avvenente moglie Sarai è sua sorella rischia di scatenare un flagello drammatico. Concedere la moglie al faraone per veder salva la vita, è una scorciatoia che il Signore non può assecondare, lui garante della indissolubilità sacra del matrimonio fin dall’allora. Subito Abram ci sembra meno sul piedistallo: è un uomo che sbaglia, la cui fede talvolta vacilla, che è portato allo slancio di fiducia in un Dio che non lo tradisce, ma poi cerca anche di cavarsela malamente da solo e rischia di farsi molto male (Gn 12, 10-20). Abram è un giusto, accetta di dividere la terra promessagli con suo nipote Lot, dimostra grande magnanimità e il Signore, in un continuo rapporto davvero da padre a figlio, gli rinnova il suo sostegno e il suo favore (Gen 13). Passano guerre e peripezie ma il patriarca supera tutte le prove e riceve la benedizione particolare anche di un sacerdote straniero: Melchisedek (Gen 14, 17-20). Non ha confini la capacità di Abram di incontrare le persone, egli è fondamentalmente un uomo votato alla pace, soprattutto in virtù degli anni che passano e che lo rendono sempre più saggio e avveduto. C’è qualcosa che non può comprendere, però: perché il Signore continua a promettergli una discendenza grande come le stelle del cielo mentre il suo rapporto con Sarai risulta sterile e il suo erede un servo straniero? Qui possiamo immaginare le lunghe notti insonni, coricati fianco a fianco, a sognare, pregare, a domandarsi il perché di questo lacerante divario fra promessa e realtà. Quante coppie possono immedesimarsi in questa prova: figli desiderati come il dono più grande, figli cercati con purezza di cuore e generosità infinita che pure non arrivano? (Gen 15). Il Signore ascolta questo grido, rinnova la sua alleanza e continua a promettere una fecondità da scoprire, ma questa volta è Sarai a non accettare la sfida e a escogitare un’altra scorciatoia: concedere al marito di unirsi con la schiava Agar perché questa gli dia un figlio. Lecito agli occhi degli uomini, ma fuori dal disegno di Dio. Si potrebbe osar dire che sia stato il primo caso di “utero in affitto”, ma bisogna anche constatare come questa particolare situazione, che sfugge completamente di mano ai nostri coniugi, viene agguantata dall’alto e fatta oggetto di un piano provvidenziale che non poteva essere immaginato. Nasce Ismaele, figlio di Agar e la schiava monta in superbia, Abram ha forse più attenzioni per lei, madre del figlio finalmente nato, che per l’anziana moglie. Sarai la vessa e la fa allontanare, ma non è ancora il tempo dell’abbandono (Gen 16), molto ancora attende i nostri protagonisti nel loro tortuoso percorso nell’ascolto del Signore… (Giovanni M. Capetta – SIR)