10 Giugno 2021 – Il Regno di Dio seminato nel cuore dell’uomo è al tempo stesso evidente e misterioso come la crescita di un essere vivente, come la forza esplosiva di un seme. Miracoli ai quali si assiste e se ne è coinvolti ma che non dipendono dalle sole forze umane. E accade che per la mancanza di risultati sensibili, forme di successo o prestigio, dopo una prima ondata di entusiasmo, possa subentrare un raffreddamento che diventa opposizione, quindi rifiuto.
Il Vangelo di Marco questa domenica risponde con due immagini-parabole alla crisi derivante dal ‘nascondimento’ del Regno: come i discepoli, anche i credenti di oggi sono sempre più un ‘piccolo gregge’ e si chiedono: perché così pochi credono e si convertono? Perché la parola di Dio non attrae? Perché non cambia il mondo? Perché il Signore ci ha lasciato un messaggio così difficile e così diverso da quello delle culture emergenti?
“Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno il seme cresce. Come, egli stesso non lo sa”. La fede del discepolo è fondata sulla fiducia in Dio, non nei segni esterni che le danno un peso, un ruolo, una dignità. Gesù ci educa a non aggrapparci a ciò che sembra realtà perché si vede, ma ad aprire gli occhi su ciò che veramente è, sulla realtà misteriosa del regno, che sta fruttificando silenziosamente, che offre i suoi benefici, i suoi orientamenti agli uomini, anche se noi non ce ne accorgiamo.
Allo stesso modo: “il Regno di Dio è come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto …”. Il regno è opera di Dio, non dell’uomo, non del suo attivismo sfrenato, della sua organizzazione, del suo potere politico o economico, del suo prestigio culturale. Nasce dalla forza intrinseca che la Parola di Dio (il seme) porta in sé.
Non si tratta di ‘parabole del disimpegno’. Al contrario: c’è innanzitutto l’impegno del gettare il seme, cioè dell’annuncio, della testimonianza e del dialogo. Non è poco. Per di più la parabola richiede il massimo dell’impegno: quello di preoccuparci dell’autenticità evangelica delle cose che annunciamo o testimoniamo con il nostro agire. Se il seme è buono, se il nostro parlare e il nostro agire sono davvero fedeli al Vangelo, se siamo capaci di giustizia vera, di amore non occasionale, emotivo o interessato, certamente porteranno frutto.
Viene bene quanto diceva S. Ignazio di Loyola: “agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio!” (p. Gaetano SARACINO)