18 Maggio 2021 – Questa Lettera alle Famiglie vuole essere innanzitutto una supplica rivolta a Cristo perché resti in ogni famiglia umana; un invito a Lui, attraverso la piccola famiglia dei genitori e dei figli, ad abitare nella grande famiglia delle nazioni, affinché tutti, insieme con Lui, possiamo dire in verità: “Padre nostro”! Bisogna che la preghiera diventi l’elemento dominante dell’Anno della Famiglia nella Chiesa: preghiera della famiglia, preghiera per la famiglia, preghiera con la famiglia. (Giovanni Paolo II, Gratissimam sane, n.4, 2 febbraio 1994)
La volta scorsa, abbiamo aperto la lettera di Giovanni Paolo II, Gratissimam sane, ed essa ci dà ancora l’opportunità di sottolineare quanto sia fondamentale per Giovanni Paolo II la dimensione della preghiera, Egli chiama la lettera addirittura una “supplica”, ovvero una via, una strada ineludibile per invitare Cristo ad essere presente in ogni singola famiglia perché “senza di Lui non possiamo fare niente”. Questa consapevolezza è un dono dello Spirito che gli sposi ricevono il giorno delle loro nozze e che non dovrebbero mai lasciare spegnere, o inerte, ma ravvivare ogni giorno con il contributo della loro volontà e libertà. Lo Sposo è con loro, è in mezzo ai coniugi ed essi si possono rivolgere a Lui in un dialogo fecondo, fatto di ascolto della Parola, di ogni ispirazione dello Spirito, attraverso un discernimento individuale e di coppia che non ha paragoni nel panorama della preghiera della Chiesa. Questa preghiera è alimento delle giornate, sostegno nelle fatiche, consolazione nelle prove – anche le più dure – ed è uno strumento che non può essere considerato un optional nella vita degli sposi, ma una vera e propria colonna del loro vivere insieme la promessa che si sono reciprocamente offerti nel Signore. Ciò che è interessante e deve interpellare il nostro spirito missionario è che il Papa non sembra tracciare una linea netta di demarcazione fra credenti e no, ma anzi invita i singoli nuclei famigliari di genitori e figli ad “aprire” la loro preghiera perché Dio abiti anche nella famiglia delle nazioni e questa abbia la possibilità di chiamarlo “Padre Nostro”. La preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato è per eccellenza una preghiera plurale, che contempla una comunione. Questo vale nell’intimo del talamo nuziale, dove – come nella Bibbia Tobia e Sara – gli sposi possono rivolgersi davvero insieme, ad una sola voce, al Signore, Padre di entrambi; ma vale anche nella globalità della famiglia umana in cui tutte le famiglie possono alzare le mani al Padre comune e a Lui chiedere il bene, il pane, il perdono ed ogni dono che Egli sempre elargisce. Ai cristiani è chiesto di essere testimoni di questa paternità, saperla mostrare agli occhi delle famiglie del mondo, attraverso l’unione, la gioia, la solidarietà. Chiedendo che la preghiera diventi l’elemento dominante dell’Anno della Famiglia, il Papa ci dà ancora delle indicazioni su come possa essere questa costante linfa alimentare delle famiglie e dei popoli. Essa sia una preghiera “della” famiglia e questo apre alla fantasia dell’uomo e della donna che insieme ai loro figli possono esperire infinti modi di rivolgersi al Padre. La preghiera è richiesta di intercessione, è dialogo, è confronto ed ascolto condiviso della Parola. Penso, però anche alla mai superata pratica del Rosario: l’esperienza insegna che questa esperienza litanica superi spesso le barriere delle difficoltà di comunicazione fra grandi e piccoli, dei figli fra loro e unisce tutti in una contemplazione in cui le parole rivolte alla Vergine varcano la soglia del silenzio, fanno condividere lo spazio e il tempo – si pensi ai viaggi in auto, come già scritto altre volte – in un modo umile e intraprendente allo stesso tempo. Giovanni Paolo II, poi, però, dice anche che la preghiera dev’essere “per” la famiglia e questo è un invito rivolto a tutta la Chiesa. Il Papa chiede che la comunità ecclesiale sappia impetrare al Padre tutte le grazie di cui le famiglie del mondo hanno bisogno. Non un riferimento formale all’importanza che la cellula fondamentale della società ha per il nostro sviluppo, ma qualcosa di più. Si tratta di sapersi commuovere, di saper sciogliere il cuore di fronte al miracolo di ogni singola famiglia che cammina nel mondo e saperla accompagnare non in astratto ma con un coinvolgimento profondo e grato per il dono che essa è per tutti. Infine la preghiera è “con” la famiglia e ciò comporta saper vivere uno spirito di comunione che non è affatto da dare per scontato, ma che è bene innervi tutte le componenti ecclesiali, senza fermarsi o dividersi in compartimenti stagni costituiti dai diversi ambiti che compongono la Chiesa stessa. Dunque la famiglia ha da offrire la sua particolare ed originale preghiera di “chiesa domestica”, necessita di ricevere la preghiera della comunità ecclesiale che la accoglie ed è chiamata a non sentirsi parte estranea ma elemento vivente che prega insieme agli altri in una coralità di voci in cui i diversi stati di vita esprimono la poliedrica via alla santità a cui tutti siamo destinati. (Giovanni M. Capetta – Sir)