27 Aprile 2021 – A coloro che non hanno una famiglia naturale bisogna aprire ancor più le porte della grande famiglia che è la Chiesa, la quale si concretizza a sua volta nella famiglia diocesana e parrocchiale, nelle comunità ecclesiali di base o nei movimenti apostolici. Nessuno è privo della famiglia in questo mondo: la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono «affaticati e oppressi» (cfr. Mt 11,28). (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n.85, 22 novembre 1981)
Quasi al termine del suo corposo documento, nel penultimo paragrafo di Familiaris Consortio, Giovanni Paolo II denota una sensibilità tutta particolare nel volersi rivolgere a quelli che chiama “i senza famiglia”. Il suo sguardo, come sempre, spazia sull’umanità intera e comprende tutti coloro che, spesso non per loro deliberata volontà, si trovano di fatto a vivere senza il sostegno e il calore di una vera famiglia. Possono essere motivi di grande povertà, di promiscuità, di mancanza di cultura ma è certo che nel mondo sono davvero tantissime le persone sole, che non hanno legami diretti con i loro familiari, perché li hanno persi o non sanno come riallacciarli. A loro il Papa volge il suo pensiero considerandole persone “particolarmente vicine al Cuore di Cristo” e per questo degne dell’affetto e della sollecitudine della Chiesa. Si apre quindi un discorso che cambia la prospettiva rispetto a quelli fatti in precedenza. Non esiste solo la famiglia quale chiesa domestica, focolare animato dallo Spirito, a cui la comunità ecclesiale guarda come cellula primordiale e vitale dell’esistenza; c’è anche una Chiesa, come popolo di Dio, che è chiamata a fare proprio sempre più uno spirito di famiglia per poter accogliere tutti, ma proprio tutti nel suo grande abbraccio, che – come il colonnato del Bernini in Piazza San Pietro – vuole davvero comprendere il mondo nella sua vastità e diversità. C’è allora un grande esercizio di conversione che tutte le realtà ecclesiali possono voler fare, dalla Curia, alle realtà diocesane, fino ovviamente a quelle parrocchiali e ai movimenti. La Chiesa può acquisire i connotati di una famiglia se è capace di non scordarsi di nessuno, se come una madre accudisce tutti i suoi piccoli in egual misura e anzi dedicando le cure più premurose a chi è più bisognoso. Ci sono tante persone, anche in Italia, che sono “sole al mondo”, come si suol dire. A loro la comunità deve aprire le porte della Chiesa, per loro le panche dove si siede l’assemblea durante l’Eucarestia, o i saloni parrocchiali dove si svolgono le attività caritative e pastorali, per loro in modo particolare questi luoghi devono avere il profumo di casa. Spesso succede che molte di queste persone siano attivamente impegnate in parrocchia e a loro si debba una grande dedizione e spirito di servizio. A loro sarebbe bello andasse la gratitudine esplicita di molti, non solo dei sacerdoti, ma anche dei bambini e dei giovani. In tante altre occasioni si tratta di persone poco visibili, che tendono a stare ai margini, che non si fanno sentire e che pure, magari, nutrono una profonda vita di preghiera. Sarebbe bello che pastori e laici, insieme, senza delegarsi reciprocamente le responsabilità, sappiano “vedere” queste persone, renderle protagoniste, metterle al centro virtuoso della vita comunitaria. Penso a quelle persone anziane che con la loro stessa fedeltà al Rosario o all’Eucarestia quotidiana tengono accesa per tutti la lampada della fede. Magari spesso tante di loro tornano a casa e non c’è nessuno che le accoglie. Quanto è prezioso che si sentano accolte in parrocchia e valorizzate per quello che sono e per quello che sanno fare. Vi sono poi anche tanti single, come si chiamano oggi: persone che per scelta, ma molto spesso per necessità non voluta, non hanno trovato con chi fare famiglia. Alla parrocchia l’invito è a non giudicare le scelte e le responsabilità di queste persone prima di aver aperto loro la porta e averle accolte in quanto tali. Molte di loro potrebbero proprio essere “affaticate e oppresse” come dice il Vangelo ed è urgente per chi si dice cristiano andare loro incontro e farsi prossimo. Ancora una volta il sogno che tante volte già diventa realtà è quello di una comunità viva in ogni sua parte, in cui tutti si sentano a proprio agio, spronati ad essere loro stessi, a sapersi incoraggiare reciprocamente, a correggersi vicendevolmente. Bello è ricevere vita dal Corpo di Cristo spezzato per tutti e a saperla donare perché nessuno si senta solo mai, ma tutti amati nell’unico amore di Dio che non si scorda proprio di nessuno. (Giovanni M. Capetta – Sir)