16 Febbraio 2021 – […] l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo si sente chiamato, in modo adeguato, concreto, irripetibile: perché appunto Cristo fa appello al “cuore” umano, che non può essere soggetto ad alcuna generalizzazione. Con la categoria del “cuore”, ognuno è individuato singolarmente ancor più che per nome, viene raggiunto in ciò che lo determina in modo unico e irripetibile, è definito nella sua umanità “dall’interno”. (Giovanni Paolo II, Udienza Generale, mercoledì, 6 agosto 1980).
Nel secondo ciclo, che comprende quaranta catechesi, papa Giovanni Paolo II si ripromette di svolgere una spiegazione-commento del detto di Gesù riferito dal capitolo 5 del Vangelo di Matteo, ai versetti 27 e 28: “Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio; ma io vi dico. Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”. Come nel richiamo “al principio” di Genesi nelle parole di Gesù, oggetto delle catechesi del primo ciclo, anche in questo caso ci troviamo davanti ad una chiarificazione, un approfondimento della norma, in cui il Signore va oltre l’obbligo di evitare l’adulterio nel corpo, invitando a spegnere in sé quello sguardo di concupiscenza che ne è la sorgente. Sono parole molto esigenti, che non ammettono fraintendimenti: questa parte del Discorso della Montagna interpella la persona nel suo profondo, si rivolge al suo cuore ed è per questo che ogni uomo, di ogni tempo e ogni luogo, in ogni situazione e stato di vita non può nascondersi, ma si sente chiamato “per nome”. In particolare le parole di Gesù sono un ammonimento rivolto al cuore degli uomini e delle donne, non una legge fissata dall’esterno, non un precetto a cui aderire in modo formale, ma un principio che si innesta nella verità più profonda della vita delle persone, ancora prima del loro accogliere o meno la fede. Un presupposto che fonda l’antropologia cristiana che in quanto tale dice la verità sull’uomo e sulle sue più intime pulsioni. Il Papa dedica molto spazio a definire questo nuovo piano su cui Gesù innesta il suo discorso, il piano del cuore umano, il piano della redenzione del cuore. È nel cuore che il principio morale va coltivato ed alimentato: è lì che, prima il singolo credente e poi la coppia di sposi può esercitare la propria libertà scegliendo di tenere viva la fiamma dell’amore rifuggendo la concupiscenza, il desiderio di possesso dell’altro, lo sguardo non limpido ma intorbidito dalla dimensione di peccato che ci affianca inevitabilmente. Quanto più il cuore dei coniugi è allenato a palpitare secondo la lunghezza d’onda di Dio, tanto più la fedeltà, l’indissolubilità e l’unione del matrimonio che essi vivono risplendono e portano frutto nella vita di quella famiglia. Anche in altre occasioni Gesù ha modo di dire che il peccato non viene dall’esterno, ma dall’interno del cuore dell’uomo ed è qui che si gioca il conflitto drammatico. Gli sposi quando hanno deciso di unirsi in matrimonio hanno scelto di unirsi anima e corpo, hanno desiderato di rivelarsi in tutta la loro dimensione di persona, si sono donati uno al cuore dell’altro, con l’intenzione di alimentare nella verità il loro amore. È chiaro allora quello che Gesù dice, tutti i coniugi lo possono condividere: anche un desiderio può essere adultero, anche un’intenzione può necessitare di essere sanata, corretta, perdonata. La fedeltà coniugale non è una questione di regole di comportamento, ma più profondamente un atteggiamento interiore, un habitus e come fare per vivere questa “abitudine” protraendola nel tempo e nella quotidianità dei giorni? Bisogna tornare alla fonte, far abbeverare il cuore alla Grazia dei sacramenti. Non ci sono altre strade, perché sarebbe arrogante o ingenuo pensare di cavarsela da soli, con una perseveranza fondata solo sui nostri sforzi volontaristici. Una coppia fedele ed unita è il frutto, coltivato con passione, di una vita di preghiera quotidiana e costante. Anche preghiera delle piccole cose, dei piccoli ringraziamenti e delle piccole o grandi richieste d’aiuto. Una preghiera che non si stanca di chiedere il dono dello Spirito Santo – anche attraverso il sacramento della Riconciliazione – come compagno di strada nel discernimento. Ma una coppia che vive il dono dell’indissolubilità è anche una famiglia che rende grazie attraverso l’Eucarestia domenicale e magari anche più frequentemente. Davvero il matrimonio così può diventare a sua volta rendimento di grazie. Una coppia unita sa ascoltarsi e dialogare nel profondo, riconosce le zone d’ombra, non lascia che i cuori celino parti di sé ed evita che il Divisore si insinui con la tentazione del male. Gli sposi cristiani si guardano negli occhi e guardano a Gesù, così vincono la deriva dell’adulterio perché si amano dello stesso amore del Signore per ciascuno di loro. (Giovanni M. Capetta – Sir)