16 Ottobre 2020 – Bucarest – All’inizio di questa mia breve riflessione mi sento di poter dire che il missionario, meglio il sacerdote, suora o laico/a, che si prende a cuore la cura spirituale dei propri connazionali residenti come lui/lei in una nazione altra dalla propria, è colui che dovrebbe “mostrare” gli effetti della presenza di Dio nella sua vita, colui che è cosciente del fatto che il frequentare Dio, nutrirsi di Lui, Parola ed Eucarestia, accogliere Lui nel fratello e nella sorella che incontriamo ogni giorno, mettendosi al loro “servizio”, sia la cosa più normale, bella e saggia che una persona possa fare.
Primariamente informare. Occorre cioè far giungere ai nostri connazionali, tramite il passaparola, tramite i normali mezzi di comunicazione e, perché no, valorizzando e chiedendo “ospitalità” ai vari gruppi social di associazioni italiane già presenti sul territorio, la notizia che, in questa o quella città, c’è una Messa in Italiano, ci sono in lingua italiana delle iniziative di tipo aggregativo, catechetico/pastorali. Se si trovano le possibilità, dar vita a delle riviste o gruppi social come abbiamo fatto anche noi qui in Romania con il settimanale Adeste o con il FacebooK “parrocchia Cattolica Italiana Virtuale Iasi”.
L’esperienza più che ventennale al fianco degli italiani che, per vari motivi, si ritrovano a vivere di passaggio o più o meno stabilmente in Romania ha accresciuto in me la convinzione che, per poter rafforzare e/o sostenere la vita di fede, speranza e carità dei nostri connazionali, occorre innanzitutto mettersi umilmente al loro fianco tramite un atteggiamento di ascolto empatico e, con tanta delicatezza, ma anche risolutezza, cercare di aprire loro la mente e il cuore affinché colgano la presenza di Dio che è un buon Padre che ricopre ogni persona del suo affetto e che viene sempre incontro a tutti per accoglierli o riaccoglierli. “Accoglierli o riaccoglierli” è un’azione questa da parte di Dio che il “missionario” è chiamato a mediare. Ci sono molti connazionali con i quali occorre primariamente avere un approccio umano e questo perché si tratta di persone che hanno trascurato, già dall’Italia, il loro rapporto di fede. Per usare delle immagini bibliche occorre, con tanta pazienza “dissodare il terreno” ma anche “seminare a larghe mani”, quasi incuranti di dove possa cadere la Parola e questo in quanto ciascuno di noi dovrebbe essere convinto che sia la Parola stessa a dissodare. Una sfida importante è quella legata ai giovani connazionali che vengono in Romania per frequentare le università romene in modo stabile o tramite il programma Erasmus. Anche nei loro riguardi credo sia importante andare la dove si trovano e cioè nelle università da loro frequentate e fare loro delle proposte concrete che siano anche di tipo caritativo oltre che spirituale.
Credo che il pastore missionario, oggi come sempre, debba incarnare il motto che San Luigi Orione ripeteva ai suoi figli e figlie delle congregazioni da lui fondate: “Fuori di sacrestia!”. O, per dirla al Papa Francesco che parla spesso di chiesa in uscita: “andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali” e “Siate pastori con l’odore delle pecore addosso”.
Don Valeriano Giacomelli
MCI Romania