24 Maggio 2020 – Annecy – Oggi in Francia si celebra la settima domenica di Pasqua, in quanto l’Ascensione l’abbiamo celebrata giovedì scorso; In Italia invece si celebra oggi. Ma siamo sempre e comunque tutti uniti nella medesima preghiera di Gesù.
Infatti, il brano del Vangelo ci riporta l’ultimo grande discorso di Gesù nel Vangelo di Giovanni che ha la forma di una preghiera di addio, nella quale si rivolge non più ai discepoli ma direttamente a Dio. È giunta “l’ora”, quella della croce e del passaggio al Padre.
Il momento è quello “cruciale” nel senso più letterale del termine. Si decide il Suo destino. Nonostante Lui insista a parlare di Vita, la morte alza la voce e tutto intorno è cupo.
È il momento delle separazioni e della solitudine più estrema: i suoi si allontanano, il Padre sembra sfuggente, le convinzioni si ritirano, le forze abbandonano, la paura opprimente, fino a sudare sangue.
Sono così, d’altronde, i veri “momenti cruciali” della vita, come l’attuale, quelli in cui ci si trova di fronte a qualcosa, qualcuno che muore, di noi o fuori di noi.
E ora, che c’è una decisione da prendere o da accettare, quando finisce un percorso o si apre una opportunità, quando si affronta una prova…. in queste e molte altre situazioni si provano gli stessi sentimenti di Gesù.
La solitudine diventa padrona di casa e pare che l’unica risposta possibile debba porsi sul piano delle, direi, “prestazioni”: la scelta giusta, la risposta puntuale, la forza necessaria, la lucidità adeguata…
I “momenti cruciali” sarebbero una questione esclusivamente di “prestazioni”.
Invece Gesù ne fa una questione di “relazioni”, e nell’attimo decisivo “si racconta”, con la preghiera d’addio, come “uomo del legame” prima che della prestazione. Il Padre e i suoi: mentre l’istante drammatico rischia di farli sbiadire, Gesù grida forte la loro presenza.
Non è un gesto eroico, piuttosto l’unica via possibile. Non è una dichiarazione di forza ma di sorprendente debolezza. Quei legami lo costituiscono e sono i soli a spaccare l’isolamento, che potremmo definire come il secondo nome della morte.
Credo che qui ci sia una via tracciata con chiarezza per stare da cristiani nei nostri “momenti cruciali”. Le relazioni contengono un seme di salvezza; le prestazioni, invece, come certe certezze, spesso sono solo illusione.
Molti di noi, forse, l’hanno vissuta l’esperienza del crollo delle certezze.
Una crepa profonda si è aperta nelle nostre vite anche oggi, e ci ha fatto ripensare tutto, anche la nostra fede. Quella di prima, basata piuttosto sulle regole, scricchiolava, la nostra fede aveva bisogno di una rinascita come quella dei discepoli. Poi, piano piano, abbiamo visto, e ci rendiamo conto ora, che è proprio da quella crepa che la luce può penetrare.
Le certezze di prima a volte crollano, per lasciare spazio ad una fede nuova, liberata, più autentica, più pronta forse ad accogliere l’invito di Gesù a farci costruttori di relazioni d’amore tra le persone, ad annunciare la Buona Novella, la Vita, là dove c’è solitudine, oppressione, umiliazione, sofferenza e morte.
Con una speranza in cuore che ci viene da quella promessa di Gesù: «Io sono con voi tutti i giorni».
don Pasquale Avena
Mci Annecy