24 Febbraio 2020 – Roma – Il Mediterraneo luogo di incontro, ma anche, forse troppo spesso, luogo di conflitti, di divisioni. “Il grande lago di Tiberiade” nell’immagine cara a Giorgio La Pira, che nel 1958 darà vita proprio ai “Colloqui mediterranei”, nati all’indomani delle tensioni del 1956 – questione arabo-palestinese, e la vicenda algerina – e della visita, a Firenze, del re del Marocco, Maometto II, 1957, il quale gli disse: “i problemi mediterranei sono solidali e necessitano di una soluzione unica, solidale. Chiami tutti i popoli mediterranei a Firenze”.
Per La Pira il Medio Oriente “è, in certo modo, il centro di gravitazione attorno al quale si muove la storia politica del mondo: la pace o la discordia di Gerusalemme sono, e saranno sempre più, i sintomi rivelatori della pace o della discordia delle nazioni”.
Nel solco dell’intuizione profetica del sindaco santo, una sessantina di vescovi delle regioni che si affacciano su quello che i romani chiamavano il Mare nostrum, si sono dati appuntamento a Bari per un incontro, promosso dalla Conferenza episcopale italiana, dal titolo: “Mediterraneo, frontiera di pace”. Obiettivo dell’evento nella città di San Nicola, “avviare un processo di ascolto e di confronto, con cui contribuire all’edificazione della pace in questa zona cruciale del mondo”, come ha evidenziato Papa Francesco nel discorso rivolto ai vescovi presenti nella basilica del santo venerato da cattolici, ortodossi e dai credenti di altre confessioni cristiane.
Non poteva esserci un brano evangelico più indicato per questo appuntamento che parla di pace, dialogo. Se domenica scorsa l’invito era piuttosto teso a richiamare il rischio di impoverire il messaggio delle beatitudini, indicando il discepolo come “sale” e “luce” del mondo, nella pagina del Vangelo di questa domenica, Matteo indica, nelle parole di Gesù, “ma io vi dico”, il nuovo stile di vita del cristiano, cioè quello dell’amore verso i nemici che ci fa rispondere al male con il bene.
Così ai vescovi, in Basilica, parla di una “teologia dell’accoglienza e del dialogo”; e all’Angelus, è appello per la pace nella martoriata Siria: “mentre siamo riuniti qui a pregare e a riflettere sulla pace e sulle sorti dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo, sull’altra sponda di questo mare, in particolare nel nord-ovest della Siria, si consuma un’immane tragedia. Dai nostri cuori di pastori si eleva un forte appello agli attori coinvolti e alla comunità internazionale, perché taccia il frastuono delle armi e si ascolti il pianto dei piccoli e degli indifesi; perché si mettano da parte i calcoli e gli interessi per salvaguardare le vite dei civili e dei tanti bambini innocenti che ne pagano le conseguenze”.
Con Francesco c’è il presidente della Repubblica Mattarella, ci sono i vescovi delle regioni che si affacciano in quello che definisce il “mare del meticciato”, cioè “luogo fisico e spirituale nel quale ha preso forma la nostra civiltà, quale risultato dell’incontro di popoli diversi”. Ecco perché è “impensabile” affrontare il problema delle migrazioni “innalzando muri”. Nella memoria le parole pronunciate sul lembo più meridionale del nostro territorio, in quella isola di Lampedusa meta del suo primo viaggio da Papa: la “globalizzazione dell’indifferenza”. Il suo è un nuovo “no” al rifiuto, alla logica dello scarto: “si fa strada un senso di paura, che porta ad alzare le proprie difese davanti a quella che viene strumentalmente dipinta come un’invasione”.
La risposta del Papa è proprio in quel “ma io vi dico”. Gesù, nel brano di Matteo, la propone come superamento della legge del taglione, che voleva essere un modo per evitare la vendetta indiscriminata, evitare, cioè, un male peggiore e l’insorgere dell’arbitrarietà. Oggi può essere letta come superamento della “retorica dello scontro di civiltà”, che, afferma Francesco, “serve solo a giustificare la violenza e ad alimentare l’odio”.
La novità cristiana, la differenza cristiana è proprio nelle parole: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano. “Pregare e amare: ecco quello che dobbiamo fare; e non solo verso chi ci vuol bene, non solo verso gli amici, non solo verso il nostro popolo. Perché l’amore di Gesù non conosce confini e barriere. Il Signore ci chiede il coraggio di un amore senza calcoli”.
Chi ama Dio, afferma il Papa nell’omelia, “non ha nemici nel cuore. Il culto a Dio è il contrario della cultura dell’odio. E la cultura dell’odio si combatte contrastando il culto del lamento”. Così ecco la più grande rivoluzione della storia: “dal nemico da odiare al nemico da amare, dal culto del lamento alla cultura del dono”. In questo modo si supera “la logica dello scontro, dell’odio e della vendetta per riscoprirsi fratelli, figli di un solo Padre, che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi”. (Fabio Zavattaro)