Don De Robertis: l’Italia ha una lunga storia di emigrazione

6 Settembre 2019 – Roma – L’Italia ha una lunga storia di emigrazione, che ha portato a parlare degli italiani come “un popolo di emigranti”. Nei circa 160 anni di storia del nostro paese, si calcola che siano emigrati milioni di italiani. Verso le Americhe e l’Europa soprattutto, ma un po’ verso tutti i paesi del mondo. E “non solo a fine Ottocento quando interi paesi si svuotavano lasciando solo vecchi e bambini, o nel dopoguerra, ma anche in questi ultimi anni seppure in condizioni meno drammatiche”. Lo ha detto questa mattina il direttore generale della Fondazione Migrantes, don Gianni De Robertis davanti ai 50 vescovi riuniti a Roma per i lavori del Sinodo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina. Per il direttore Migrantes la Chiesa italiana “non è rimasta a guardare, indifferente, ma si è presa cura di questi suoi figli. Dapprima ad opera di pastori come mons. Scalabrini, Vescovo di Piacenza, che ha fondato una congregazione di preti disposti a partire insieme ai migranti, o mons. Bonomelli, Vescovo di Cremona, o figure come Santa Francesca Saverio Cabrini, patrona dei migranti. Poi in modo più strutturato, attraverso un apposito organismo, l’UCEI (Ufficio Centrale Emigrazione Italiana) che a partire dal 1987 ha cambiato nome in Fondazione Migrantes, essendo diventato il nostro un paese non solo di emigrazione, ma anche di immigrazione”. Si è venuta così costituendo nel mondo una rete di missioni italiane – sono ancora oggi più di 300 – che costituiscono – ha aggiunto – un importante punto di riferimento per gli emigrati italiani non solo dal punto di vista religioso ma anche sociale e culturale. Questa lunga esperienza di emigrazione ha spinto la Chiesa italiana da subito a farsi vicina alle tante persone di diversa nazionalità presenti nel nostro paese”, circa 5 milioni e mezzo, di cui oltre la metà cristiani e circa 1 milione cattolici. E a sostenere le diverse Chiese nel costituire delle comunità dove i loro fedeli possano trovare non solo un aiuto materiale, ma anzitutto conservare la propria identità religiosa e linguistica.   Fra queste gli ucraini hanno un posto “importante”: sono il quinto gruppo più numeroso, dopo Romania, Albania, Marocco e Cina: 237.047 al 1 gennaio 2018 (numero abbondantemente per difetto, essendo in Italia alto il numero di coloro che sono privi di titolo di soggiorno e quindi invisibili), di cui il 78% donne. “Ci guida un pensiero più volte ripetuto da papa Francesco: le attuali migrazioni e il divenire delle nostre società sempre più cosmopolite, deve aiutarci a riscoprire e a vivere la nostra cattolicità. E cioè non solo a riconoscere e ad apprezzare le diversità, ma insieme a fare in modo che esse non restino giustapposte, ma entrino in dialogo fra loro, si sentano parte dell’unica Chiesa”, ha sottolineato il sacerdote che ha ricordato poi il ruolo delle donne ucraine nel servizio nelle case degli italiani soprattutto nella cura delle persone bisognose. “Quello che però è un beneficio per i nostri anziani, costituisce oggi –ha concluso – un grande dramma per il vostro paese, come anche per altri paesi dell’est-Europa (Romania, Georgia, Moldavia, ecc). Intere generazioni di bambini crescono lontani dalla loro madre, spesso da entrambi i genitori”.

 

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