Torino – Con gli stessi sogni degli italiani. È il tratto che fissa l’atteggiamento verso il risparmio e l’educazione finanziaria dei migranti che sono arrivati nel nostro Paese e che si sono stabilizzati. Gente pressoché da tutto il mondo che, come gli italiani, deve anche risolvere le questioni legate al denaro da mettere da parte (se ci riesce). Con la complicazione magari della quota da inviare al Paese d’origine.
A scattare la fotografia – la prima di questo genere in Italia –, è stato il Museo del Risparmio di Torino insieme a Intesa Sanpaolo e ad Ipsos. La ricerca viene presentata domani, ma Avvenire è in grado di anticiparne i contenuti. A partire dalla conferma di alcuni stereotipi. Fra questi, l’immagine dei “Cinesi formiche”: il 65% riesce a risparmiare. In buona posizione sono anche i migranti dell’Est Europa (48,6%) e del Sud America (42,9%). Più in generale, circa il 49% riesce comunque a mettere qualcosa da parte (il 21% risparmia oltre il 20% del reddito). Conta molto la cultura di provenienza: “In alcune culture africane – dice Giovanna Paladino, direttore e curatore del Museo del Risparmio –, non esiste il concetto di risparmio, ma per il semplice fatto che in quegli ambienti è difficilissimo conservare quasi ogni cosa”.
Fra “vecchi” italiani e “nuovi” italiani, tuttavia, l’atteggiamento di fronte ai soldi e alla loro conservazione non è poi così diverso. Ad iniziare dagli obiettivi. C’è la casa al primo posto. Per il 40% l’acquisto di un’abitazione in Italia è il traguardo principale e lo è ancora di più nei luoghi di origine. Segue l’apertura di un’attività in proprio (26% in Italia e 34% nel proprio Paese). Far studiare i propri figli per garantire loro un futuro migliore, è invece l’obiettivo principale solo per il 12% del campione rappresentativo. Al di là dei traguardi da raggiungere, vale anche per i migranti il livello scarso di conoscenze finanziarie e la diffidenza nei confronti delle banche come «punto d’informazione». «Si tratta di una constatazione che non è ovvia», spiega ancora Paladino che aggiunge: «L’indagine ci riporta comunque una situazione difficile: il 60-70% circa della popolazione in Italia non ha un’educazione finanziaria adeguata». Solo il 31% del campione ha dimostrato un grado di conoscenza finanziaria alto: una percentuale molto simile a quella dei ‘vecchi’ italiani. Si tratta di persone che hanno un’istruzione più elevata, oppure che sono in Italia da più tempo. «Il rischio di finire nella mani sbagliate – sottolinea Paladino –, esiste e per i migranti si fa più forte».
Certo, alcune differenze ci sono. La ricerca dice che buona parte del denaro risparmiato è custodito in casa. Nelle comunità di migranti, inoltre, è maggiore la percentuale di donne più preparate e attente ai temi finanziari; così come forte è l’attenzione dei giovani. C’è poi il grande capitolo delle rimesse verso i Paesi d’origine. Il 61% dei migranti invia soldi a casa propria almeno una volta ogni sei mesi: si aiutano i figli lontani, ma anche i genitori, in alcuni casi la comunità dalla quale si arriva, scarse sono le rimesse per investimenti. Atteggiamenti e strategie che, fra l’altro, accomunano questi migranti con gli italiani che nel secolo scorso hanno preso la strada dell’estero per sopravvivere. L’Italia di oggi non è però l’America di una volta. Molti ‘nuovi’ italiani si dicono delusi da quanto offerto dal nostro Paese: hanno trovato condizioni precarie e redditi spesso sufficienti solo a sopravvivere. Come per i ‘vecchi’ italiani infine, anche per i ‘nuovi’, la necessità è avere più informazioni e un’attenzione diversa da parte del sistema del credito e della formazione. Una condizione che deve fare i conti con il tempo a disposizione. Anche per i migranti che devono prima di tutto sopravvivere, ma per i quali possono giocare un ruolo importante le associazioni di accoglienza. Da qui l’indicazione dell’indagine: iniziare dalla scuola e costruire un sistema attento anche agli aspetti finanziari oltre che linguistici e sociali. (Andrea Zaghi – Avvenire)