Vicenza – L’estate è tempo di viaggi: da quello per una meritata vacanza fino a quello dei preti che migrano da una comunità a un’altra.
Il vescovo Beniamino (mons. Pizzioli, vescovo di Vicenza, ndr) ci ha rivolto un messaggio la scorsa settimana, suggerendoci quasi un viaggio (il nostro!), fino alla terra di coloro che migrano: l’Africa.
Le parole del Vescovo si possono associare a una parola che viene dalla bocca stessa di Gesù, il quale vedendo le barche di Pietro e Andrea, poi di Giacomo e di Giovanni, li fa sbarcare in un’esperienza sconvolgente: lasciare le barche e seguire Lui, il profeta di Nazaret.
In quella occasione però, Gesù vuole che gli apostoli, pur lasciando le barche, conservino qualcosa della loro qualità: «Vi farò pescatori…di uomini» (Mc 1,17). Questo è il marchio iniziale, incancellabile, per i discepoli. Di ogni tempo.
Pescatori di uomini, dovremmo esserlo tutti. Tirare fuori dal mare l’umanità vuol dire salvarla. È una sfida grande quella che il Signore chiede, e ciascuno la vive già nel silenzio dei gesti più ordinari, perché ciascuno di noi “salva”, tutti i giorni “altri”. Lo fanno madri e padri con i loro figli, lo facciamo nel lavoro che non è solo per la busta paga, ma anche per la qualità della vita di altri. Il cristiano, in fondo, non è altro che un salvato, che salva. Come può, e meglio che può.
«Pescare gli uomini», oggi suona con un significato speciale, per noi spettatori di fatti non nuovi nella storia, eppure mettono sempre in questione.
Il fenomeno della migrazione sta così agitando la nostra vita sociale, al punto che sembra smarrirsi, a volte, il nostro cristianesimo. Come se fosse il vangelo a migrare, espulso e sconosciuto, lontano dal cuore di chi lo dovrebbe conoscere, vivere e annunciare.
Dal messaggio del Vescovo possiamo trarre alcune indicazioni per il discernimento cristiano dei fatti che stiamo vivendo.
Anzitutto l’invito a continuare.
Confermiamo lo stile di accoglienza “speciale” attivato da qualche tempo in 17 realtà della nostra diocesi. Continuare, con uno stile mite, a fare quello che stiamo già facendo. I messaggi contrari all’accoglienza rischiano di dare forza a molti che non fanno nulla, ma il rischio è anche che quelli che fanno qualcosa, sentano un senso di debolezza e di sfiducia.
Non è giusto che chi non fa, tolga forza e fiducia a quelli che fanno. Dunque continuiamo, senza paura e con coraggio. Non è il tempo per avvilirci.
Un secondo invito: a pulire il linguaggio.
A guardare non solo il male, ai pericoli, agli allarmi tante volte gonfiati per qualche strano compiacimento. Guardiamo al bene, parliamo bene del bene, smorziamo un reagire frettoloso, che entra perfino nelle comunità cristiane.
Non c’è niente di cristiano nella barbarie del linguaggio, semmai preghiamo di più per quello che succede.
La preghiera, nelle comunità, è un bel linguaggio cristiano: qui confessiamo la nostra fragilità, ma
nello stesso tempo non rinunciamo a desiderare ciò che Dio desidera. I cristiani non sbattono la porta della chiesa quando sentono parlare di migranti, ma bussano con più forza al cuore di Dio.
Il terzo invito riguarda l’apertura della mente.
Non chiudiamo “il porto” dell’informazione. Se ci limitiamo a “bere” tutte le notizie che ci danno, rimaniamo avvelenati. Anche le notizie possono essere una minaccia, un assedio continuo di scarsa intelligenza. Ci sono strane scelte precise di dare solo notizie parziali, canali di informazione che tutti i giorni ci allenano alla pura paura.
Il Vescovo ci ha ricordato i problemi grandi e nascosti dell’Africa, che rendono talvolta ridicole le piccole notizie di soluzioni facili e comode. Se almeno noi cristiani apriamo gli occhi sulla povertà, sull’ingiustizia e sulla disuguaglianza, siamo certi di aiutare anche la nostra società a non scherzare sul futuro. O impostiamo le soluzioni sulla giustizia o le ingiustizie sui poveri ci sommergeranno.
L’ultimo invito è piuttosto delicato, ma anche deciso. Al cristiano non dovrebbe mai essere scomodo togliere la polvere dal Vangelo.
Facciamolo, e accettiamo che sia fatto nelle nostre comunità. A volte diciamo che basta togliere “qualcosa di nocivo” alla realtà per poter continuare le nostre abitudini. Togliamo la caffeina e continuiamo a bere il caffè decafeinato. Togliamo i grassi, e continuiamo a usare la panna. Eliminiamo l’alcol, e continuiamo a bere la birra analcolica.
Non possiamo applicare la stessa regola al cristianesimo: togliamo il vangelo, e continuiamo a dirci
cristiani. Non possiamo togliere il vangelo, perché il vangelo non è mai “nocivo”. Se lo facessimo avremmo un cristianesimo senza Cristo. L’appello del Vescovo ci aiuti, tutti, ad essere rispettosamente fieri (a non vergognarci) del Vangelo. (P. Michele de Salvia, Ufficio Migrantes – d. Matteo Pasinato, Ufficio Pastorale sociale Diocesi di Vicenza)