Oltre le bugie per accogliere

di Silvia Canuti, Aristide Pelagatti e Marco Pirovano *

Mantova – La scelta politica di chiudere i porti italiani per impedire altri arrivi di migranti fa discutere.

Tante le prese di posizione contrarie, soprattutto di voci autorevoli della Chiesa. Sarà accaduto però anche di ascoltare commenti favorevoli alla chiusura, perfino nelle nostre parrocchie. E così possiamo ritenere che sia rivolta anche a noi la domanda dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini:

«Possono coloro che partecipano alla Messa della domenica essere muti e sordi di fronte al dramma di tanti poveri, che sono fratelli e sorelle?».

Di fronte alla convinzione che «siamo invasi, gli immigrati sono troppi» vale la pena di documentarci.

Secondo una ricerca condotta nell’Unione Europea, in Italia si registra la più grande differenza tra la percezione della presenza di stranieri e la realtà.

Si ritiene siano il 26% della popolazione quando risultano essere solo il 9%. Rispetto al numero di rifugiati, i dati del ministero dell’Interno indicano che a metà 2017 erano 131mila su una popolazione di circa 60 milioni, ovvero il 2 per mille. In Svezia, dove la popolazione è un sesto di quella italiana (10 milioni), i rifugiati sono 186mila. In Germania (82 milioni di abitanti) i rifugiati sono 478mila. Se rapportiamo il dato nazionale a Mantova (meno di 50mila abitanti), la proporzione

corrisponde a cento persone. E come possiamo ritenerla un’invasione?

Una seconda affermazione, priva di verità, dice che vengono «tutti in Italia… e in Europa?». In realtà nel mondo su oltre 17 milioni di rifugiati, solo 2,3 milioni si trovano in Europa. La maggior parte è in Africa (più di 5 milioni), Asia (3,5 milioni) e Medio Oriente– Nord Africa (2,7 milioni).

C’è chi afferma che «gli immigrati ci rubano il lavoro», ma i dati Istat dimostrano che fanno i lavori che noi italiani non facciamo più: il 74% dei collaboratori domestici è infatti straniero, così  come il 56% delle badanti.

Il 39,8% di pescatori, pastori e boscaioli è di origine straniera, così come il 30% dei manovali edili e braccianti agricoli. Gli stranieri sono esclusi dalle professioni più qualificate, l’importante livello di scolarizzazione della popolazione italiana e la maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro ci hanno spinti verso professioni a più alta specializzazione.

Un ulteriore luogo comune indica che «gli immigrati non pagano le tasse», lasciando intendere che, quindi, vivono sulle nostre spalle. I dati elaborati dalla Fondazione “Leone Moressa” sulle dichiarazioni dei redditi 2017 dimostrano il contrario. Per non parlare che i contributi versati all’Inps da lavoratori stranieri costituiscono il 5% dei contributi totali; senza un ulteriore flusso di immigrati da oggi al 2040 non si sosterrebbe il sistema previdenziale e si creerebbe un buco da 37 miliardi.

Si potrebbe proseguire, dimostrando l’infondatezza di tante  altre affermazioni che alimentano la paura. Non dimentichiamoci che se qualcuno chiude un porto o alza un muro, lo fa se la folla applaude chi ferma le navi delle organizzazioni non governative.

Ricordiamoci che nel Vangelo si narra che la gente gridava a Pilato di crocifiggere Gesù e liberare Barabba.

Da che cosa si vede il nostro essere cristiani? Non sono di certo una marcia o una maglietta indossata che ci faranno ritrovare la forza del nostro credo, pur riconoscendo a queste manifestazioni un grande valore umano e un prezioso monito contro l’indifferenza; dobbiamo andare più in là, dentro ognuno di noi. Questo articolo è una “provocazione al pensiero” per ciascuno che vorrà fermarsi un momento per rispondere da cristiani a ciò che ci viene chiesto: accogliere. Ci è stato detto «ero straniero e mi avete accolto» e «qualunque cosa farete a uno di questi l’avete fatta a me». Nel frattempo la preghiera rimane quella risposta personale e comunitaria capace di sostenere, accogliere, includere, aprire, sovvertire e, speriamo, orientare i prossimi passi. Ciò che preme a noi è gridare convintamente che bisogna continuare a soccorrere chi rischia la morte in mare, perché non esiste nessuna ragione umana che possa giustificare il non intervenire per

salvare delle vite.

Dal settembre 2017 papa Francesco non manca di ricordarci di aprire le braccia all’accoglienza verso i migranti, perché «Dio ha bisogno delle nostre mani per soccorrere. Ha bisogno della nostra voce per denunciare le ingiustizie commesse nel silenzio, talvolta complice, di molti».

Nell’anniversario della sua prima visita, fatta a Lampedusa – 8 luglio 2013, ndr –  cinque anni fa, ricordando le vittime dei naufragi, il Papa ha lanciato un accorato appello all’accoglienza e alla solidarietà dei cristiani verso chi scappa dalla miseria e dalle guerre. Con l’aiuto della Parola e della preghiera, impegniamoci anche noi a trovare quelle risposte, personali e comunitarie, alla perenne domanda rivolta all’umana responsabilità: «Dov’è il tuo fratello?». Solo se prenderemo sul serio questa domanda, rilanciata da papa Francesco, «potremo continuare a essere testimoni di speranza in un mondo sempre più preoccupato per il suo presente, con pochissima visione del futuro e riluttanza a condividere». Come cristiani non possiamo tacere di fronte a un mondo che vuole arricchirsi di sicurezza, impoverendosi di umanità. (* direttrice Caritas diocesana Mantova, direttore Ufficio Migrantes Mantova, direttore Centro pastorale sociale e del lavoro Mantova – Fonte La Cittadella – Avvenire)