Milano – Siamo tutti gente di mare, anche se viviamo in pianura e non sappiamo nuotare. Tutti in navigazione su onde a volte così alte che non si vede la terra. Tutti mendicanti d’ infinito su barche di fortuna alla ricerca di un porto sicuro per approdare. E il mare di volta in volta è un alleato, un nemico, un amplificatore di solitudine, una finestra spalancata sulla speranza. Un muro a separarci dagli altri. Un ponte a legare insieme i colori delle diversità perché diventino arcobaleno. Un altare da cui elevare la preghiera all’ unico Dio della vita e dell’ amore per l’ uomo. Da Bari, dalla rotonda del suo lungomare, il Papa e gli altri leader cristiani riuniti con lui rilanciano l’immagine del Mediterraneo come porta aperta, come crocevia di pace, come luogo d’incontro. Lo sguardo, la mente, il cuore, sono fissi sul Medio Oriente, la terra in cui si trovano «le radici delle nostre stesse anime». Per questo le ferite inferte a quei luoghi fanno ancora più male. E negli ultimi tempi, come poche altre volte prima, le nubi sulla regione «in cui è venuto a visitarci il Signore» sono perennemente color tenebra. Un unico mistero doloroso di un infinito rosario fatto di guerre, violenza, distruzione, occupazioni forzate e fondamentalismi. Germi di odio cresciuti e pro-liferati, anche, grazie al silenzio complice. Perché l’indifferenza uccide, pur senza sparare un colpo, malgrado sia in doppio petto e non in mimetica. È omicida il silenzio che alza le braccia di fronte ai piccoli grandi soprusi quotidiani, che dice ‘non mi riguarda’, che fa finta di niente di fronte alla fuga forzata dei cristiani. Un’emorragia che sembra non finire mai rendendo anemico il tessuto sociale della regione, quasi dimezzando la presenza dei credenti in Gesù in Siria, riducendoli a 250mila in Iraq, quand’erano un milione e mezzo all’ inizio degli Anni Novanta. No, non si può tacere di fronte all’orrore, grida il Papa e con lui gli altri leader di Chiese e comunità. Bisogna parlare, denunciare, urlare se necessario, per «dare voce a chi non ce l’ ha, a chi può solo inghiottire le lacrime» a chi subisce impotente i soprusi dei cacciatori di potere e ricchezza. È la logica del Vangelo a chiederlo, è la Parola a chiamare i credenti a rifiutare le strade della gloria terrena, è l’ amore per Dio e per l’uomo a far scegliere di stare dalla parte dei semplici, dei piccoli, dei feriti. Se i cristiani infatti sono la luce del mondo devono esserlo soprattutto nei momenti bui della storia, rifiutando di rassegnarsi all’oscurità, alimentando lo «stoppino della speranza con l’ olio della preghiera e dell’amore». Purtroppo non è stato, non è sempre così. «Anche il nostro essere Chiesa – ha detto Francesco – è tentato dalle logiche del mondo, logiche di potenza e di guadagno, logiche sbrigative e di convenienza. E c’è il nostro peccato, l’incoerenza tra la fede e la vita a oscurare la testimonianza». Ecco allora l’ importanza, la straordinarietà dell’incontro di Bari, che vede insieme il Vescovo di Roma e i Patriarchi di tutte le Chiese del Medio Oriente. Accomunati nel mea culpa. Uniti al di là delle differenze teologiche e ecclesiologiche, per dire basta agli interessi di pochi giocati sulla pelle di molti, basta alle occupazioni di terre che lacerano i popoli, basta alle sfrenate corse al riarmo, basta con il mancato riconoscimento dei diritti. «Perché solo avendo cura che a nessuno manchino il pane e il lavoro, la dignità e la speranza, le urla di guerra si muteranno in canti di pace». E tra i sentieri di riconciliazione, tra i barlumi di aurora nella notte del Medio Oriente, tra le vie di uscita dai sentieri chiusi della contrapposizione, c’è l’ascolto di chi chiede di poter convivere fraternamente con gli altri, c’è la strada «verso un diritto alla comune cittadinanza», c’è la tutela delle minoranze. Negli angoli più nascosti della Terra Santa come a Gerusalemme, diventata quasi periferica nel più recente dibattito internazionale e invece più che mai cuore della fede, «città per tutti i popoli, unica e sacra per cristiani, ebrei e musulmani». La sua martoriata storia, icona e insieme sintesi di tutte le inquietudini del Medio Oriente sta lì a ricordarci che non esiste futuro senza dialogo, che solo se uniti i cristiani possono essere testimoni credibili, che non c’è alternativa alla pace. Che la speranza ha il respiro della fede, ha il cuore di chi si prende cura degli altri, ha il volto dei bambini. Sono troppi i fanciulli che ancora oggi passano la maggior parte della vita tra le macerie invece che a scuola, costretti ad ascoltare il rumore delle bombe anziché la musica delle feste. È tempo che i loro occhi tornino a sorridere, a incantarsi di fronte a una nuvola, a perdersi nella scia di una colomba bianca, simbolo di pace, in volo sul mare. (Riccardo Maccioni – Avvenire)