Milano – Il Sinodo indetto dall’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha innescato un processo che sta facendo incontrare persone diverse, nei luoghi della quotidianità, per scambiarsi esperienze e sogni sul futuro della Chiesa. Mi capita di incontrare migranti e giovani – due categorie molto affini tra loro perché si stancano se non camminano – che coltivano uno sguardo aperto a cogliere nei problemi le sfide che riaprono l’orizzonte; nelle fatiche, le doglie del parto di un mondo capace ancora di umanità; nelle ferite le feritoie che possono generare vita nuova non solo per chi è accolto ma anche per chi accoglie. Ascoltandoli ricevo spesso questo messaggio: coloro che si trovano a varcare i confini non sono un problema, bensì “degli avamposti del futuro”. L’esilio, qualunque sia la sua forma, può essere incubazione di azioni creative, il focolaio del nuovo. E forse per questo nell’esiliato si vede spesso una minaccia: egli rovescia ciò che è abituale.
Ma se questo processo è attraversato positivamente, allora può sorgere qualcosa di creativamente nuovo per tutti. A ciò vuole contribuire il percorso sinodale, edificando la cattolicità della Chiesa, il suo essere ab origine “Chiesa dalle genti”: la Chiesa della Pentecoste, popolo di popoli in cammino, comunione nella diversità. Il metodo sinodale invita a pensare e agire insieme cogliendo i segni della presenza di Dio nell’umanità gravida della Pasqua. Sono in particolare i giovani, esuli del senso, ad avere a cuore il desiderio di superare forme e linguaggi divenuti inadeguati rispetto alla vita. “La presenza di persone che emigrano – dicono – ci apre finestre su questioni che vanno affrontate”: si tratta di ripensare il proprio essere “civili” sulla base non tanto della sicurezza per alcuni, ma della capacità di prendersi cura della comune aspirazione a un futuro vivibile per tutti. Certamente, il Sinodo costituisce un momento prezioso per la Chiesa, ma il suo valore si allarga: in un tempo in cui il benessere produce nella metropoli tante forme di solitudine e depressione mentre la deprivazione delle periferie (geografiche ed esistenziali) produce disperazione nelle notti di un’umanità che fatica a ritrovare se stessa, forse ci si salverà dai muri e dalla violenza attraverso l’ascolto reciproco e la condivisione. Giovani e migranti dicono di “sentirsi a casa in una Chiesa che ascolta, cammina ‘con’ e sta nella realtà”: “Vorremmo che la Chiesa non fosse un club di amici, ma aperta a correre il rischio dell’incontro” così da “esprimere la dimensione fraterna del Vangelo” in cui la vita chiama altra vita. A questo desiderio fanno eco le parole di Francesco nell’Evangelii gaudium: “Sentiamo la sfida di scoprire la ‘mistica’ di vivere insieme, di mescolarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica”, che è l’incontro dei popoli, il quale “può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio”.( Monica Martinelli – membro della Commissione per il Sinodo Monore di Milano)