Modena – Giornata clou per la seconda edizione del Festival della Migrazione, l’iniziativa promossa da Fondazione Migrantes, Porta Aperta, Università e Crid, IntegriaMo, con la presenza di 35 enti aderenti del territorio e col sostegno di Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, Hera, Bper, Conad e Menù, che si chiude domani.
Nel pomeriggio è intervenuto mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale della Cei, mentre al mattino si è parlato di media e migrazione con un interessantissimo approfondimento sulle Ong: ‘Oltre il mare, riflessione sulle due sponde’.
“Quando si parla di povertà – ha esordito mons. Galantino – la mente va subito ad afferrare le immagini di chi sbarca sulle nostre coste, degli immigrati che hanno scelto di vivere stabilmente sul nostro territorio. Non si può cadere nell’errore di associare sempre e comunque l’immigrazione alla povertà. Questo stretto legame tra immigrazione e povertà chiede che le politiche migratorie siano strettamente connesse con le politiche di sviluppo, che la salvaguardia del diritto di migrare sia connesso con la salvaguardia del diritto di rimanere nel proprio Paese. Parlando della povertà degli immigrati in Italia, è preferibile affrontare la questione non con i parametri della povertà, sia questa assoluta o relativa, ma con quelli del disagio socio-economico che meglio descrive la condizione dei migranti oggi”.
“Prendo spunto – ha aggiunto mons. Galantino – dallo studio condotto da ben 26 anni dalla Fondazione Migrantes insieme alla Caritas Italiana , entrambi organismi pastorali della Conferenza Episcopale italiana, ovvero il Rapporto Immigrazione. Le difficoltà di accesso ad un lavoro regolare, all’abitazione, all’istruzione, alla sanità: è questo che rende la vita del migrante svantaggiata rispetto a quella degli autoctoni. Il vero nodo della questione è verificare in che modo la povertà colpisce la popolazione migrante nell’educazione, nelle competenze professionali e in tutto ciò che costituisce il naturale percorso per un corretto inserimento degli immigrati. La possibilità di accedere agli strumenti di riscatto socio-economico sono basse soprattutto se rapportate ad un mercato del lavoro sempre più precarizzato e che per questo tende a penalizzare le posizioni poco qualificate come quelle dei migranti”.
Per mons. Galantino una politica migratoria “non può non prevedere una dinamica e legittima regolamentazione all’ingresso, il facile accesso ai servizi di base, la tutela dei lavoratori e delle loro famiglie, fino ad arrivare alla protezione sociale e internazionale, ai ricongiungimenti familiari, alla partecipazione e alla cittadinanza: tutti aspetti oggi deboli nell’affrontare politicamente la migrazione in Italia. Il fenomeno dell’immigrazione chiede più che politiche di contrasto, politiche di inclusione sociale e di dialogo che aiutino a non far leggere l’incontro e il rapporto con persone e popoli nuovi ingenuamente e semplicemente con ‘orgoglio e rabbia’, ma con attenzione alla verità dei fatti e degli accadimenti e soprattutto, vista la grave situazione demografica, occupazionale, economica italiana – che coinvolge soprattutto i giovani, indistintamente italiani e di origine non italiana – occorrono lungimiranza e saggezza perché davvero si innesti un processo di rinascita e sviluppo”.
La chiusura, appassionata, è per i giovani: “Lo sviluppo deve partire dal mettere al centro i giovani: occorre dar loro la possibilità di diventare attori del loro presente e si avverte la necessità che l’Italia rinasca a partire dalla sua endemica multiculturalità. Non possiamo tralasciare 5 milioni di cittadini che vivono stabilmente nelle nostre città; non possiamo volgere le spalle ai tanti giovani che reclamano di poter essere – non solo sentirsi – italiani. L’insieme è sempre più della forza delle parti: i dati sulla povertà che abbiamo visto sono numeri gravi, seriamente preoccupanti. Numeri incredibili che dovrebbero riuscire a smuovere le coscienze, a smuovere le persone tutte, ma anche le agende politiche di chi decide affinché gli scarti non siano lasciati ai margini.
Linda Laura Sabbadini, ricercatrice sociale, ha aggiunto: “Non è vero che gli immigrati ‘rubano’ il lavoro agli italiani, questo è un falso mito. I settori dove diminuisce il lavoro degli italiani non sono gli stessi di dove lavorano le persone che vengono da altri paesi” mentre per padre Camillo Ripamonti, Presidente del Centro Astalli, “L’integrazione passa attraverso il lavoro, la casa e la salute. Sono questi i tre punti cardine da cui partire per restituire dignità agli immigrati come persone, senza questo non è data una reale integrazione”.
La mattina, invece, si è parlato di Ong. Regina Catrambone, direttrice e fondatrice Moas ha affermato: “La Libia non è un Paese sicuro, per questo motivo abbiamo fermato la missione nel Mediterraneo e, su invito di papa Francesco, ci siamo spostati in Bangladesh dove il flusso di rohingya che fuggono dal Myanmar è enorme. La comunità internazionale va richiamata prima che questo fenomeno diventi incontrollabile. Nel Mediterraneo abbiamo già incontrato tante persone provenienti dal Bangladesh, questo è un fenomeno che coinvolge già l’Europa e che aumenterà col tempo. Il popolo rohingya è apolide, non ha una cittadinanza e non ha un luogo dove andare”.
Marco Bertotto, responsabile Advocacy & Public Awareness di Medici Senza Frontiere, ha proseguito: “Le Ong hanno salvato vite in mare. Non vogliamo aperture indiscriminate, riconosciamo il diritto degli stati a presidiare i propri confini, ma senza una gestione il fenomeno migratorio diventa incontrollato. Il contenimento delle partenze, voluto dal ministro Minniti, non è la strada giusta, questa scelta ha esternalizzato la sofferenza e generato l’idea che l’Europa è una fortezza. Così, invece, naufragano anche i nostri principi”. L’europarlamentare Elly Schlein ha concluso: “È ipocrita parlare di immigrazione irregolare quando è impossibile arrivare legalmente in Europa. Così come è ipocrita parlare di successo in merito all’accordo fatto con la Turchia e con a Libia. L’Europa deve lavorare a soluzioni a breve, come la revisione del trattato di Dublino in atto”.