Ferrara – “Con emozione e preoccupazione, unite alla gioia e alla speranza, inizio il mio ministero episcopale tra voi e con voi, cari fratelli e sorelle della Chiesa di Ferrara-Comacchio”. Inizia così l’omelia di ingresso nella diocesi mons. Gian Carlo Perego, già direttore della Fondazione Migrantes. Dopo i saluti ai vescovi partecipanti, tra i quali mons. Matteo Zuppi di Bologna, mons. Antonio Napolioni di Cremona, mons. Guerino Di Tora, presidente della Fondazione Migrantes e il suo predecessore mons. Luigi Negri, lo sguardo del neo arcivescovo è andato alla cattedrale di Ferrara “la cui facciata coperta oltre che l’interno, portano i segni di sofferenza e le piaghe del terremoto. Nelle sue ferite vedo anzitutto – ha detto – le ferite di tante nostre comunità, dove le case, la chiesa, la scuola, i luoghi del lavoro e dell’incontro non sono ancora stati risanati. Nelle ferite della Cattedrale vedo, inoltre, anche le sofferenze di tante famiglie e persone: per il lavoro che manca o non è degno, per la malattia, per la solitudine e l’abbandono, per un dialogo generazionale interrotto. Nelle ferite della Cattedrale vedo anche le ferite e le fatiche delle nostre parrocchie: ad arrivare a tutti, in particolare ai giovani, a costruire relazioni con chi vive da anni sul territorio e per chi arriva”. E sempre guardando alla Cattedrale il presule parla delle “tre meravigliose facciate”: la porta centrale “ci ricorda e rimanda all’Eucaristia, forma della Chiesa che – diceva Giorgio La Pira – salva la città, anche quando è povera, solitaria e celebrata nel cuore della città con poche persone, che magari vi partecipano un po’ svagatamente. Dalla stessa porta l’Eucaristia esce nel cuore delle persone e tocca i luoghi familiari della nostra vita: la casa, il lavoro, la malattia, il peccato, la vita e la morte. Una delle altre due porte ci ricorda che in Cattedrale si entra per l’ascolto e l’annuncio della Parola che invita a scelte responsabili, a un nuovo stile di vita. E da questa porta si esce e si portano in città le ragioni della speranza cristiana, con gioia. La terza porta è la porta della carità, che ricorda che la Chiesa è aperta a tutti, con una preferenza per i più deboli, i sofferenti. E da questa porta si esce e s’impara a condividere, ad accogliere, a dialogare, ad aprirsi alla pace e alla vita”. Da qui l’invito a “non chiudere mai queste tre porte della Cattedrale e delle nostre chiese, perché queste tre porte ci ricordano i tre impegni del cristiano! Anzitutto l’impegno di strutturare la nostra vita di fede, illuminata dallo Spirito Santo, come ricorda la costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, sui tempi di Dio e dell’uomo (l’Anno liturgico), sui segni della grazia (i sacramenti), che baciano le stagioni diverse della nostra vita”. E poi l’invito a “testimoniare la fede non solo a parole, ma con i fatti, con il coraggio del dialogo, dell’accoglienza, della giustizia e della carità, con uno sguardo dalla città al mondo”. Questa Cattedrale – ha concluso – ricorda oggi, “ad ognuno di noi, ad ogni famiglia, ad ogni comunità, alla città, a chi arriva o a chi passa ‘la bellezza della fede’, che illumina la vita”. E poi il ricordo del neo arcivescovo di ferrara-Comacchio dello “sguardo ad Oriente di questa nostra Chiesa”: una Chiesa che “ha saputo dalle sue origini respirare ‘a due polmoni’ – per usare un’espressione del Santo Papa Giovanni Paolo II – Oriente e Occidente, con una teologia e una spiritualità monastica aperta alla fraternità (privilegium amoris) e al dono di sé (donum lacrimarum), ispirandosi a S. Romualdo, di cui S. Guido, abate di Pomposa, è discepolo. In secondo luogo, questa Chiesa ha interpretato in diverse occasioni la voglia di riforma della Chiesa, di una purificazione da abitudini, resistenze, chiusure, di cui sono testimonianza esperienze straordinarie di vita contemplativa e attiva e figure – come il beato Vescovo Giovanni Tavelli da Tossignano e il domenicano Girolamo Savonarola – che sogneranno e daranno anche la vita per una Chiesa ‘libera, povera e bella’. Infine nella storia della spiritualità contemporanea di questa Chiesa incontriamo l’impegno sociale e politico come luogo per un nuovo servizio all’uomo nel lavoro, nell’economia, nella finanza, nella cultura”. Lo sguardo ad Oriente, che oggi “significa apertura al mondo e al dialogo ecumenico e interreligioso”, una riforma della Chiesa, che “oggi chiede responsabilità e trasparenza, sinodalità, un rinnovato impegno politico e sociale sono tre linee di continuità nella Chiesa tra Ferrara e Comacchio, che vive in pianura e si affaccia la mare, che guarda a Roma e a Costantinopoli, ad Atene e a Gerusalemme, e che vuole prepararsi al futuro con gioia e speranza”.
Prima della celebrazione mons. Perego ha ricevuto il saluto dell’arcivescovo metropolita mons, Zuppi, del suo prececessore mons. Negri e il saluto di rappresentanti delle varie componenti religiose e laicali della diocesi. (Raffaele Iaria)