Palermo – Un iniziale momento di incredulità, di smarrimento, poi la piccola Oumoh si accuccia sul petto della madre e torna a sentire il respiro, l’odore, il calore. È un abbraccio tra le lacrime, delle protagoniste e di chi non riesce a staccare gli occhi da quel quadro di tenerezza, quello tra Oumoh, 4 anni, e la sua mamma Zanabou Camara, 32 anni, scappate dalla Costa d’Avorio in tempi diversi per sottrarre la piccola all’orrenda pratica dell’infibulazione. «Merci beaucoup, merci beaucoup», ripete la donna guardando tutte le persone che hanno scalato le montagne della burocrazia per consentire un ricongiungimento che sembrava impossibile.
Ieri giorno di festa in una saletta dell’aeroporto Falcone Borsellino di Palermo, un giorno difficile da dimenticare. «È un miracolo, un miracolo…» dice la mamma ivoriana. Ci sono voluti cinque mesi, ma alla fine la piccola Oumoh, sbarcata da sola sull’isola di Lampedusa nell’autunno scorso, ha ritrovato la sua mamma, rimasta bloccata in Tunisia per un problema burocratico. Scesa dal volo proveniente da Tunisi, la donna emozionatissima trova ad accoglierla l’ispettrice Maria Volpe della questura di Agrigento, che in autunno si era presa cura della piccola. Ma anche la psicologa Maria Lea Ziino e gli operatori delle Misericordie d’Italia, che in questi mesi si sono occupati della piccola. «Io avrei fatto di tutto per ritrovare mia figlia – dice ancora frastornata ai giornalisti –. È stata una sofferenza enorme stare senza di lei». E racconta di essere scappata dalla Costa d’Avorio per impedire che la figlia fosse sottoposta alla mutilazione genitale con la nipotina di 12 anni. Per un problema, però, era stata costretta a tornare nel suo Paese per prendere gli averi e il passaporto e aveva affidato la figlia a un’amica. Ma qui è iniziata l’odissea della donna. L’amica, infatti, ha portato la piccola Oumoh sul barcone a Lampedusa e la mamma non ha più potuto vedere la sua bambina, se non via Skype. «Quando sono tornata nel luogo in cui avevo lasciato mia figlia e non l’ho ritrovata volevo morire. Mi sono imbarcata subito dopo ma il gommone affondava e io ho gridato: “Dio non farmi morire”». Nei giorni scorsi, l’ispettrice di polizia Volpe è stata inviata a Roma all’ambasciata della Costa d’Avorio per sollecitare il rilascio dei documenti, così come il visto all’ambasciata della Tunisia: «Sto tremando, non dimenticherò mai questo momento pensando a questa emozione. La signora potrà restare qui a Palermo, in comunità con la bambina fin quando vorrà». Rossana Barbato e Marilena Cefalà sono due operatrici delle Misericordie del centro di accoglienza di Lampedusa: «Una frase che diceva sempre la bambina, in francese, era: “Mamma è tornata a casa”. E noi le rispondevamo: “Non ti preoccupare, mamma ritornerà’”. «Ringrazio tutti gli operatori – afferma Roberto Trucchi, presidente della Confederazione nazionale delle Misericordie –. che ogni giorno lavorano per aiutare i migranti nel centro di Lampedusa in tante altre piccole, medie e grandi realtà di tutta Italia. I nostri confratelli non si limitano a dare vitto, alloggio ed assistenza, ma anche aiuto psicologico con uno spirito di carità che li porta quasi ad “adottare” questi fratelli provenienti dal mare». (A.Turrisi-Avvenire)