Pil in frenata e pensioni a rischio: senza immigrati rischiamo il crac

Roma – I demografi la chiamano piramide della popolazione ma in Italia oggi assomiglia a un trapezio, quasi a un rombo. E in un futuro non lontano rischia di diventare l’opposto di ciò che sempre è stata: una piramide rovesciata. Parliamo di quel grafico che mostra la suddivisione dei cittadini in base alle classi di età e che tradizionalmente aveva una forma triangolare: una base con i tanti nuovi nati che andava ad assottigliarsi al salire degli anni. Oggi invece in Italia le classi di gran lunga più numerose stanno nell’età adulta: i 40-60enni nati tra la fine degli anni Cinquanta e la metà dei Settanta. Una popolazione numerosa e matura che, grazie all’allungamento della vita media, nei prossimi 20-30 anni è destinata a trasformare l’Italia in un Paese di vecchietti. Un esercito di capelli bianchi che dipenderà per il suo sostentamento (pensioni, sanità, assistenza) da una popolazione attiva sempre più ristretta. Secondo i dati del Rapporto sulla popolazione e l’immigrazione, curato dalla Società italiana di statistica e appena pubblicato dal Mulino, gli ultra 65enni tra il 2015 e il 2065 aumenteranno in Italia dal 24 al 32% del totale mentre la popolazione in età di lavoro scenderà dal 63 al 55%: in pratica ci saranno 5 milioni di anziani in più e 6 milioni di adulti in meno. Ma se dal conto si togliesse l’apporto degli immigrati la situazione sarebbe ancora più allarmante: gli anziani salirebbero a ben il 36% del totale, più di uno su tre, e i cittadini in età di lavoro si ridurrebbero al 53%, praticamente uno su due.

“Appare chiaro che il contributo della componente straniera risulterà fondamentale per garantire la sostenibilità economica del sistema di Welfare del Paese”, afferma il rapporto. Piaccia o no, il futuro dell’Italia dipende dai non italiani. Senza di loro non possiamo farcela. Se anche riusciremo finalmente a far risalire l’indice di natalità, per avere effetti concreti sulla popolazione attiva ci vorrà un ventennio. E si tratterà di effetti comunque limitati dal fatto che le donne in età procreativa sono destinate a diminuire. Abbiamo e avremo quindi sempre più bisogno di allargare i confini della nostra popolazione giovane e attiva. Per tenere in piedi il sistema previdenziale bisogna riportare il rapporto tra lavoratori e pensionati sopra quota 1,5 (oggi è sceso a 1,38). Ma non c’è solo il problema pensioni. L’invecchiamento della popolazione, spiegano gli economisti, ha di per sé un effetto di freno sul Pil e sulla produttività di un Paese. I giovani spendono e producono di più. Con il saldo naturale negativo degli italiani (-189mila nel 2016) solo per mantenere la popolazione intorno ai 60 milioni serviranno, secondo i demografi, tra i 200 e 300mila nuovi ingressi ogni anno (considerando le migrazioni all’estero). L’apporto delle popolazione straniera all’equilibrio economico e sociale italiano è già oggi ben visibile. Sono infatti gli immigrati a sostenere le poche nascite: con circa il 10% della popolazione danno oltre il 15% dei neonati perché le donne di origine straniera fanno più figli (1,95 a fronte degli 1,27 delle italiane). Hanno redditi inferiori a quelli medi degli italiani e un rischio di povertà doppio (35,9%). Ma senza di loro il nostro Pil sarebbe inferiore di circa il 9%, cioè di 150 miliardi di euro. E diversi settori economici non starebbero in piedi. Gli occupati stranieri sono il 10,5%, ma il 16% nelle costruzioni, il 18,5% in alberghi e ristoranti e addirittura il 74,7% nei servizi domestici: colf, badanti e baby-sitter che assistono le famiglie, i nostri bambini e i nostri anziani. (Nicola Pini – Avvenire)