di Mons. Gian Carlo Perego
Città del Vaticano – Ero vicino a una famiglia di rifugiati eritrei – papà, mamma e il piccolo Adonai (che in ebraico significa ‘Mio Signore’) -, mentre ascoltavo le parole del Papa ai partecipanti al VI Forum internazionale “Migrazioni e pace”, ieri mattina, 21 febbraio, nella sala Clementina. Il loro sguardo commosso, ma soprattutto la loro storia di migrazione forzata che li ha prima divisi e poi ricongiunti dopo un viaggio per l’una dallo Yemen attraversando il Mar Rosso e per l’altro dal deserto del Sahara per poi attraversare il Mediterraneo e sbarcare a Lampedusa, rendevano ancora più reali e concrete le indicazioni di Papa Francesco. Un discorso che è quasi un programma pastorale e sociale, articolato attorno a quattro verbi. Accogliere, anzitutto, che non equivale ad aspettare, attendere i migranti, ma favorire “canali umanitari accessibili e sicuri” e preparare le nostre comunità a un’accoglienza diffusa, personale e familiare. Proteggere, tutelare i migranti dallo sfruttamento, dall’abuso, dalla violenza, con una lotta aperta ai trafficanti di esseri umani, ma anche rafforzando e non indebolendo gli strumenti giuridici di tutela dei migranti forzati. Promuovere, lavorando per lo sviluppo, la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato, perché le migrazioni forzate di oggi nascono dall’impossibilità delle persone di vivere nella loro terra, troppe volte violate da guerre, terrorismo, disastri ambientali anche causati dall’uomo, ingiustizie: non si può indebolire la cooperazione internazionale in questo momento. E infine integrare, un processo biunivoco di mutuo riconoscimento, che nasce dal basso, evita ghettizzazioni, facilita il ricongiungimento familiare e, per la comunità cristiana, è segno di una Chiesa Cattolica, universale. Quattro verbi, quattro azioni che sono guidati da tre doveri, che sempre il Magistero sociale, in particolare, cinquant’anni fa, l’enciclica Populorum progressio di Paolo VI, ha sottolineato: il dovere di giustizia, di civiltà, di solidarietà. Attorno a questi doveri si costruisce una testimonianza cristiana nella vita sociale che s’impegna a superare le ingiustizie: da quelle di una distribuzione non equa dei beni, a quelle legate allo sfruttamento di persone e territori. I più non possono accontentarsi delle briciole. L’impegno per la giustizia si accompagna ad ogni forma di tutela della dignità della persona umana del migrante, anche in condizione di irregolarità. Giustizia e civiltà camminano se c’è un impegno sempre più allargato di solidarietà, che nasce dall’interesse per l’altro, riconosciuto come fratello, superando paure, pregiudizi, separazioni. E “la cultura dell’incontro”, ancora una volta ribadita da Papa Francesco, è l’alfabeto che deve guidare il nostro cammino.
Papa Francesco ha concluso il suo discorso affidando alla Chiesa, ancora una volta, i bambini e gli adolescenti in fuga, oltre il 50% di tutti i rifugiati nel mondo e 26.000 tra i migranti sbarcati sulle nostre coste nel 2016. E’ a partire da loro che la nostra testimonianza cristiana con i migranti è chiamata a coniugare i verbi accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Un impegno. Un cammino insieme. (Mons. Gian Carlo Perego, Direttore Fondazione Migrantes e Arcivescovo eletto di Ferrara-Comacchio).
Papa Francesco ha concluso il suo discorso affidando alla Chiesa, ancora una volta, i bambini e gli adolescenti in fuga, oltre il 50% di tutti i rifugiati nel mondo e 26.000 tra i migranti sbarcati sulle nostre coste nel 2016. E’ a partire da loro che la nostra testimonianza cristiana con i migranti è chiamata a coniugare i verbi accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Un impegno. Un cammino insieme. (Mons. Gian Carlo Perego, Direttore Fondazione Migrantes e Arcivescovo eletto di Ferrara-Comacchio).