Roma – Il 13 ottobre 2015, la Camera dei deputati ha approvato a larga maggioranza (310 sì, 66 no e 83 astenuti) la riforma della cittadinanza. Un compromesso tra le posizioni più avanzate e quelle più prudenti, ma che supera l’idea, tuttora alla base della legge in vigore, che si possa essere italiani solo per sangue (ius sanguinis). In particolare, il testo approvato da Montecitorio cambia le norme relative ai bambini nati o cresciuti in Italia, figli di genitori regolarmente residenti, che oggi invece devono aspettare i 18 anni per chiedere la cittadinanza. Tre sono i punti principali del testo. Lo “ius soli temperato”: la cittadinanza ai bambini nati in Italia con un genitore in possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo. Il cosiddetto “ius culturae”: la cittadinanza ai ragazzi arrivati nel territorio nazionale entro i 12 anni, che abbiano concluso le elementari o 5 anni di scuola. Infine il valore retroattivo della legge: si applica alle seconde generazioni adulte, ancora non italiane, che rientrino in uno dei due punti precedenti. Il permesso di lungo periodo, di cui deve essere in possesso almeno uno dei genitori, si può ottenere dopo cinque anni di residenza in Italia e un determinato reddito (per un adulto con coniuge e due figli a carico almeno 14mila euro lordi l’anno).