Roma – Sono trascorsi 129 anni da quando il vescovo Mons. Giovanni Battista Scalabrini, nella chiesa di Sant’Antonino in Piacenza, ricevendo nelle sue mani, l’atto di impegno solenne dei primi due missionari di dedicarsi alla nuova missione e di osservare il “regolamento provvisorio”, dette inizio alla famiglia religiosa dei Missionari di San Carlo – Scalabriniani. Il tempo trascorso da quel lontano 1887, scrive per l’occasione P. Alessandro Gazzola, superiore generale della Congregazione, “ha visto un avvicendarsi di momenti di entusiasmo e di situazioni critiche, di ripresa degli ideali fondativi e di eventi sofferti, a volte sconfortanti, di esempi straordinari di eroicità di tanti confratelli missionari, di chiusure di posizioni storiche, come pure di aperture e impegni pastorali una volta impensabili”.
“Il futuro che si apre davanti a noi”, aggiunge p. Gazzola, “con un mondo in cui cresce sempre più il continuo migrare di uomini e donne quasi sempre in condizioni drammatiche, colloca la nostra missione e la nostra Congregazione nel cuore delle sfide che interpellano la Chiesa stessa”. Quanto appena intuito nel 1887 dal beato Scalabrini ha trovato lungo gli anni missionari generosi e tra di loro dei veri e propri “profeti”. “Il passato”, continua il Superiore generale, “irrobustito da una storia fatta con sacrifici, scelte, santità di vita e gesta da parte di numerosi missionari scalabriniani”, costituisce le “radici”, senza le quali “la nostra storia, non solo diventerebbe incomprensibile, ma sarebbe destinata a morire”.
Nella complessa modalità di espressione del fenomeno migratorio negli ultimi decenni, non si può restare sordi al grido di umanità che scuote varie nazioni nel mondo, snodi cruciali e dolorosi di passaggio per milioni di persone. P. Gazzola invita perciò uomini e donne di buona volontà, ad accogliere “il lamento delle persone strappate alla loro terra e all’affetto dei propri cari a causa della fame, della guerra, delle carestie, delle ingiustizie, dei cambiamenti climatici, delle persecuzioni” in quanto costituisce “un appello di fronte al quale non è possibile ‘girarci dall’altra parte’”.