Milano – «Oggi in Europa si stimano tra 2 e 4,5 milioni di immigrati irregolari: più del 90% di loro arriva con un visto turistico e non riparte alla scadenza». Lo riferisce una fonte della Commissione UE dopo avere esaminato gli ultimi report dei Paesi membri. In altre parole, agli irregolari provenienti da aree non in crisi è possibile entrare attraverso la porta principale, mentre ai profughi dei Paesi in guerra, e che certo non possono prendere un volo di linea né spacciarsi per vacanzieri, viene sbarrata ogni via d’accesso sicura. La sproporzione tra le buone intenzioni e gli scopi reali è tutta in un paio di cifre. Tra il 2007 e il 2013 l’Unione Europea ha stanziato quasi quattro miliardi di euro per il controllo delle frontiere. Ma quali sono le priorità? Due miliardi di euro, la metà dell’intero fondo, è stata destinata alla protezione dei confini. Solo 700 milioni per sostenere le procedure d’asilo. Nel 2012, per fare un esempio, 20 milioni di euro sono stati erogati da Bruxelles alla Turchia per «rafforzare la capacità di sorveglianza delle frontiere». Quello stesso anno gli aiuti umanitari inviati ad Istanbul, dove già 280mila siriani avevano cercato protezione, si erano fermati a 3,8 milioni, a cui si aggiunsero 10,5 milioni donati da tutti gli stati membri dell’Unione. Come dire che l’UE «sta pagando i Paesi confinanti per sorvegliare i confini al posto proprio», osserva John Dalhuisen, direttore per l’Europa di Amnesty International, l’organizzazione che a questo tema ha dedicato un rapporto nel quale vengono calcolati i ‘costi umani’: dal 2000 almeno 23.000 hanno perso la vita tentando di arrivare in Europa. Dall’inizio della crisi in Siria nel 2011, oltre 2,8 milioni di siriani sono fuggiti dalle loro case. A fine aprile 2014 solo 96mila avevano raggiunto l’Europa e chiesto asilo. Nel 2013, il 48% di tutti coloro che erano entrati irregolarmente via terra e il 63% di quanti sono sopravvissuti alle traversate via mare provenivano da Siria, Eritrea, Afghanistan e Somalia, Paesi lacerati da conflitti e diffuse violazioni dei diritti umani. «L’UE e gli stati membri stanno inoltre finanziando e cooperando con i Paesi vicini, come Turchia, Marocco e Libia – aggiunge Dalhuisen – per creare una zona cuscinetto intorno all’UE, nel tentativo di fermare migranti e rifugiati prima ancora che raggiungano i confini dell’Europa». Quale idea quei Paesi abbiano dei diritti umani è superfluo ricordarlo. Nonostante i risultati dovrebbero far riesaminare l’intera piattaforma, alle strategie per chiudere ermeticamente le vie d’accesso l’Ue si sta dedicando con perseveranza. In Bulgaria sono attive telecamere fisse e mobili oltre a sensori di movimento che coprono un tratto di 58 chilometri lungo il confine con la Turchia. Il sistema viene adoperato per bloccare migranti e rifugiati prima che arrivino alla frontiera. I sistemi di rilevazione tracciano qualsiasi oggetto in movimento sul territorio turco entro 15 chilometri dal confine. Che quello di serrare le porte d’ingresso senza distinzioni tra migranti irregolari e profughi sia una scelta politica condivisa dal governo di Bruxelles lo confermano anche altre cifre. La Bulgaria spende 38,1 milioni per proteggere i confini e 4 milioni per le politiche di assistenza ai rifugiati. La Grecia dispone di 207 milioni per tenere a bada quanti bussano all’uscio del Continente e meno di 22 milioni per le politiche di asilo. In Spagna la sproporzione è ancora più vistosa: quasi 290 milioni per chiudere i confini e poco più di 9 milioni per i richiedenti asilo. Unica eccezione resta l’Italia, che a fronte dei 250 milioni spesi per sorvegliare l’ingresso nella Penisola, ha stanziato 36 milioni per i rifugiati oltre ai 9 milioni mensili per l’operazione Mare Nostrum . Perciò non c’è da sorprendersi se Frontex, l’agenzia europea per i confini, su quasi 90 milioni di budget destina meno di un decimo, 7,1 milioni, alle operazioni di salvataggio, ben al di sotto di quanto mette a bilancio mensilmente il governo italiano. (Nello Scavo – Avvenire)