Città del Vaticano – È la vera emergenza che incombe sul fronte migrazioni: l’aumento esponenziale dei bambini che attraversano le frontiere degli Stati senza essere accompagnati da adulti. Un fenomeno, ha detto il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin introducendo lunedì 14 luglio a Città del Messico i lavori del «Colloquio Messico – Santa Sede su mobilità umana e sviluppo», che rappresenta una sfida da affrontare con urgenza. A preoccupare sono soprattutto i numeri pubblicati proprio in questi giorni negli Stati Uniti d’America relativi al movimento dei minori alle frontiere con il Messico e altri Paesi del Centro America. Pertanto è assolutamente necessario «che si superino diffidenze ataviche — ha detto in proposito il porporato — e si pianifichino finalmente strategie comuni a livello sub regionale, regionale e mondiale che includano tutti i settori della società». Obiettivo è la protezione e l’accoglienza di questi bambini sia che essi cerchino di sfuggire «alla povertà o alla violenza», sia che attraversino le frontiere «con la speranza di unirsi ai loro familiari che sono già dall’altro lato», ha sottolineato il cardinale. Il rischio grande che essi corrono infatti è quello di finire vittime «di qualche abuso o disgrazia». Il cardinale Parolin ha fatto così eco al messaggio che Papa Francesco ha inviato ai partecipanti al colloquio, letto dal nunzio apostolico arcivescovo Christophe Pierre in apertura della seduta. In precedenza il porporato aveva sottolineato i grandi progressi compiuti dal Messico per ciò che riguarda la promozione e la protezione dei diritti umani a partire dal riconoscimento della libertà religiosa. Aveva inoltre rimarcato l’apporto del cristianesimo alla promozione umana e soprattutto al riconoscimento della dignità dell’uomo come individuo creato a immagine e somiglianza di Dio. «Di conseguenza — aveva precisato — la dignità della persona non deriva dalla sua situazione economica, dalla sua appartenenza politica, dal suo livello educativo, dalla sua origine etnica, dal suo status di migrante o dalla sua fede religiosa». L’essere umano, per lo stesso fatto di essere persona, «possiede una dignità tale da meritare di essere trattato con il massimo rispetto». E ciò vale anche e soprattutto per i migranti, cioè per quel «gran numero di persone che nel mondo devono lasciare la loro terra in situazioni laceranti di sofferenza e di dolore». E le cause «sono sempre le stesse — ha puntualizzato il cardinale — violazione dei diritti umani più elementari, violenza, mancanza di sicurezza, disoccupazione e miseria. E quanta violenza politica, economica e sociale c’è nel nostro mondo!». Di fronte a questa situazione si capisce quanto sia urgente cambiare mentalità e prendere provvedimenti adeguati. «Credo — ha detto — di poter affermare a ragion veduta che nel nostro mondo globalizzato, il progresso non si guadagna unicamente con un maggior flusso di capitali, mercanzie e informazioni. Un incremento dell’interscambio commerciale e finanziario tra le nazioni non comporta, in maniera automatica, un miglioramento nel livello di vita delle popolazioni, né tantomeno genera automaticamente maggiore ricchezza. Al contrario osserviamo che le nazioni, soprattutto quelle più avanzate dal punto di vista economico e sociale, devono il loro sviluppo in gran parte proprio ai migranti». Quindi non c’è alcuna giustificazione «alla discriminazione, al razzismo, al trattamento vessatorio, alle ingiustizie nel mondo del lavoro». Anzi quelle società «nelle quali i migranti legali non sono accolti apertamente, e sono invece trattati con pregiudizi, come soggetti dannosi o pericolosi, dimostrano di essere molto più deboli e poco preparate per le sfide dei decenni a venire». Al contrario quei Paesi che sapranno riconoscere nei migranti persone capaci di contribuire all’arricchimento umano, culturale ed economico della propria comunità e dunque sapranno accoglierli debitamente e si sforzeranno per assicurare la loro integrazione sociale si garantiranno un solido progresso per il futuro. La soluzione della questione migratoria, ha concluso il cardinale Parolin, «passa attraverso una conversione culturale e sociale in profondità che permetta di passare da una cultura dello scarto a una cultura dell’accoglienza e dell’incontro» come raccomanda Papa Francesco. Conclusa la giornata di lavoro del colloquio il cardinale segretario di Stato si è intrattenuto alcuni momenti con i giornalisti messicani per rispondere ad alcune domande. Sostanzialmente ha ribadito quanto detto nel suo intervento. Parlando del Messico ha notato che il Paese sta attraversando una fase di rinnovamento «come un “tempo di semina”. Una semina fatta con molte mani: di fatto la maggior parte delle riforme sono state varate grazie allo sforzo unitario delle forte politiche maggioritarie del Paese. Saremmo tuttavia poco ambiziosi se non pretendessimo che questo “spirito d’intesa” andasse al di là della realizzazione delle riforme già intraprese. Occorrono uguale audacia e volontà di lavorare uniti per poter affrontare le sfide ingenti che gli Stati Uniti messicani hanno di fronte: mi riferisco principalmente alla povertà che ancora affligge un’importante porzione della popolazione». Queste due sfide — ha detto rispondendo a una domanda — comportano «a loro volta, altre sfide, come la disgregazione delle famiglie o l’esodo dei bambini che emigrano soli, e il cui numero sta aumentando di giorno in giorno. Non possiamo inoltre non menzionare la piaga della corruzione e il traffico delle persone; e la violenza, specialmente quella legata al narcotraffico, che stronca ogni anno un gran numero di vite, soprattutto tra i giovani. A tutti vorrei ripetere l’invito ripetutamente fatto dal Papa: “non permettete che vi rubino la speranza”». A fine mattinata il cardinale ha partecipato al pranzo d’onore offertogli dal presidente del Messico Enrique Peña Neto. Nella circostanza il segretario di Stato ha voluto ribadire gli apprezzamenti della Santa Sede per gli sforzi della nazione messicana nel promuovere il rispetto sia a livello nazionale che internazionale. «Desidero assicurare — ha concluso — che la Chiesa, secondo la missione che le è propria, appoggerà sempre le politiche che vanno nella direzione del rispetto della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali». (Osservatore Romano)