Milano – La scuola italiana è bocciata in internazionalizzazione. A decretarlo, con un 4,9 in pagella, sono gli stessi studenti, intervistati da Ipsos nell’ambito della ricerca “Generazione I. Valori e atteggiamenti di una generazione internazionale per necessità”, promossa dall’Osservatorio nazionale della Fondazione Intercultura, con il sostegno della Fondazione Telecom. L’indagine, presentata ieri a Milano, è stata effettuata sulla base di un campione di 800 studenti delle superiori e 400 genitori, intervistati via web. Se i ragazzi bocciano senza scampo la scuola per la (in)capacità dell’istituzione di aprirsi al mondo esterno (il 56% degli intervistati attribuisce un voto tra 1 e 5), i loro genitori sono ancora più severi, non andando oltre il 4,4. Un giudizio senza appello che si fonda su almeno tre problematiche evidenziate dagli intervistati: un poco (o per nulla) convinto sostegno ai programmi di mobilità (voto 5,6); la scarsa conoscenza delle lingue straniere da parte dei docenti non di lingua (voto 5,4); la debole apertura alle collaborazioni con scuole estere (voto 5). Il 25% degli studenti è inoltre convinto che la scarsa apertura internazionale della scuola sia dovuta alla mancanza di progetti e iniziative, mentre il 15% denuncia «l’assenza d’impegno da parte dell’istituto», inerzia dovuta, per il 15% degli intervistati, a mancanza di fondi, mentre per il 7% a un atteggiamento della scuola ancora troppo conservatrice. Anche in questo caso, più radicale e severo il giudizio dei genitori. Oltre un quinto (il 22%), attribuisce la mancata attuazione di progetti internazionali all’«atteggiamento lassista dei professori». Un problema non di poco conto, che fa il paio con la denuncia del 10% degli studenti: i professori dissuadono i ragazzi dal partecipare a iniziative di internazionalizzazione, quali gemellaggi ed esperienze di studio all’estero. Fortunatamente con scarsi risultati, visto che nel 2011, secondo una stima dell’Ipsos, 4.700 studenti italiani hanno aderito a programmi che prevedono da un trimestre a un anno di studio all’estero, con un aumento del 34% rispetto al 2009. E questo nonostante il 40% dei ragazzi intervistati dichiari di non essere a conoscenza di quest’opportunità. Ciò nonostante, gli studenti hanno le idee chiare sulle competenze che si sviluppano all’estero e che daranno loro una «marcia in più» nel proprio futuro scolastico e lavorativo. Il 42% pensa innanzitutto al miglioramento della lingua straniera (i genitori sono il 45%) e il 27% alle maggiori abilità nell’utilizzo di strumenti informatici. Altre percentuali altrettanto alte di studenti riflettono sull’impatto personale e culturale dell’esperienza: il 26% pensa di migliorare le capacità di ragionamento e di critica, il 25% sia all’aumentato livello di autonomia sia al maggior senso di responsabilità; sempre il 25% alla maggiore capacità di “problem solving”, attraverso decisioni e superando avversità, il 24% alla capacità di far valere i propri diritti e riconoscere quelli degli altri, il 19% sia all’abilità nel relazionarsi con persone di culture diverse sia quella di lavorare in gruppo, il 15% all’acquisire e interpretare le informazioni ricevute da altri, il 13% a una migliore capacità di apprendimento e il 10% a una maggiore flessibilità. «Ci auguriamo – ha spiegato Roberto Ruffino, segretario generale della Fondazione Intercultura – che, con l’affermarsi dell’autonomia scolastica, negli istituti prendano corpo figure professionali che possano farsi carico delle iniziative volte alla formazione internazionale degli studenti. Per incoraggiare questo processo un ruolo chiave può essere svolto dagli Uffici scolastici regionali, dove esiste sempre un referente per queste funzioni che, conoscendo le realtà territoriali, riesce talvolta a far attivare progetti di eccellenza, contando sulla buona volontà di tanti presidi e insegnanti». (P. Ferrario – Avvenire)