Svizzera: le sfide di una pastorale in un contesto multiculturale

Berna ‐ La Chiesa cattolica in Svizzera attraversa un periodo di grandi trasformazioni per quanto riguarda le sue strutture pastorali, in risposta alle attuali sfide della società secolarizzata. L’organizzazione basata su parrocchie capillarmente presenti sul territorio appare attualmente in crisi. Per questo motivo, stanno sorgendo nelle diverse diocesi le cosiddette unità o aree pastorali (Pastoralräume) che abbracciano più parrocchie di una stessa zona e sono guidate da un team composto in genere da un sacerdote e da operatori pastorali laici.

 
In questo contesto di cambiamento, quale posto può avere la pastorale migratoria? Come tener conto della crescente varietà culturale e linguistica presente anche all’interno della chiesa? Come realizzare la collaborazione tra parrocchie e missioni di altra lingua presenti nella stessa area pastorale?
Per riflettere su queste domande Migratio, l’Ufficio della Conferenza dei vescovi svizzeri incaricato per la pastorale migratoria, ha organizzato lo scorso 21 settembre una giornata di studi a Berna dal titolo: “Parrocchia/area pastorale multiculturale. Opportunità e sfide della pastorale multiculturale”. Il tema è molto attuale, tant’è che verrà affrontato da altre due conferenze nei prossimi mesi: il convegno nazionale delle missioni cattoliche italiane a Delémont (2427.10.2011) intitolato “Multiculturalità nelle unità pastorali. Chance per l’evangelizzazione” e la giornata di studi della Commissione per la pianificazione pastorale della Conferenza dei vescovi, “Una chiesa in molte lingue”, prevista per il 5 novembre prossimo a Friburgo.
L’incontro a Berna ha visto come primo relatore p. Tobias Kessler, missionario scalabriniano, che lavora attualmente presso l’Institut für Weltkirche und Mission dell’Università St. Georgen di Francoforte. Il suo intervento ha presentato con chiarezza le sfide pastorali legate al volto sempre più multiculturale della chiesa cattolica nel contesto ecclesiale svizzero. A partire dal battesimo e dall’unica fede che ci accomuna come cattolici autoctoni e immigrati siamo appartenenti gli uni agli altri nell’unico corpo di Cristo e avvertiamo la responsabilità di testimoniare e rendere visibile la comunione tra le nostre diversità.
Per questo la coesistenza parallela tra parrocchie territoriali e missioni viene spesso percepita come contraddittoria rispetto alla visione comunionale della chiesa. Inoltre, nella fase di scarsità di risorse finanziarie e di personale che le comunità cristiane stanno attraversando risulta ancora più difficile far comprendere la necessità di una pastorale specifica per i migranti.
P. Kessler ha illustrato i motivi per cui non si può rinunciare a tale pastorale attenta alla persona del migrante e al complesso processo di costruzione di una nuova identità anche religiosa che egli deve attraversare dopo aver lasciato il proprio paese di origine ed essere approdato in un nuovo contesto;
un lavorio che continua spesso nelle generazioni successive e che dipende anche dall’atteggiamento di accoglienza o di rifiuto sperimentato nel paese di adozione. È necessario prendere coscienza delle reali diversità esistenti nei modi di esprimere la religiosità, nell’immagine che si ha della chiesa, nel
rapporto dei fedeli con il sacerdote e in altri ambiti. Proprio la situazione di sradicamento del migrante e il suo cammino di radicamento in più lingue e culture richiede da parte della chiesa un’attenzione specifica, anche attraverso delle strutture pastorali come le missioni, per dare la possibilità a tutti di crescere nella fede in Gesù Cristo e di poterla praticare. Il rispetto della persona e le motivazioni teologiche dovrebbero far sì che nella chiesa non si assumano in modo acritico i modelli di integrazione/assimilazione proposti dalla società, usati magari per giustificare tagli finanziari e chiusure di strutture pastorali.
Una volta presa coscienza del fatto che il cammino di accoglienza reciproca e di testimonianza della comunione tra le diversità richiede del tempo e il superamento di paure e di ferite, è importante approfondire le motivazioni teologiche che possono guidare sia i fedeli locali che quelli immigrati nel percorso di avvicinamento vicendevole.
È guardando a Cristo, che per amore si è incarnato ed è venuto a condividere la nostra esistenza umana, che possiamo trovare la strada per un incontro che non sia imposto dall’esterno, ma scelto liberamente. P. Kessler ha dato, poi, a partire da questi fondamenti, anche degli impulsi di carattere pratico.
I successivi interventi, tenuti dal vicario generale della diocesi di Losanna-Ginevra-Friburgo,
mons. Rémy Berchier, e dal sacerdote polacco Artur Czastkiewicz, hanno presentato rispettivamente il progetto di creazione di un’unità pastorale multiculturale a Renens e l’esperienza
di un sacerdote che si pone a servizio contemporaneamente di una parrocchia territoriale svizzera e di una missione di lingua polacca, mettendo a frutto le proprie competenze linguistiche ed interculturali. Entrambe le relazioni così come la tavola rotonda, a cui hanno partecipato don Angelo Saporiti, sacerdote italiano ora parroco della parrocchia svizzera di Dübendorf, don Mikel Sopi, missionario degli albanesi ad Aarau, ed Eberhard Jost, responsabile laico di una parrocchia a Ins, hanno dato conferma alle osservazioni proposte da p. Kessler. Sia per quanto riguarda la trasformazione delle strutture che il lavoro degli operatori pastorali a servizio di fedeli di diverse lingue e culture, migranti e autoctoni, è necessaria una grande sensibilità nell’accoglienza delle differenze, puntando non all’obbiettivo dell’omogeneità, ma di un’effettiva comunione che lascia spazio a espressioni diverse dell’unica fede. (L. Deponti/CSERPE)