Un intervento al Meeting “Uomini e Religioni” di Monaco
Monaco di Baviera – Le parole di Carlo Mikic, il giovane italiano appartenente al gruppo dei Rom Rudari, che ha preso la parola nell’Udienza con Papa Benedetto XVI lo scorso 11 giugno, hanno aperto il secondo contributo dei mons. Antonio Maria Veglò, Presidente del Pontificio Consiglio per i Migranti ed Itineranti, all’incontro internazionale per la Pace «Bound to Live Together (Destinati a vivere insieme). Religioni e culture in dialogo», in corso a Monaco di Baviera.
Mikic aveva detto alla fine della sua testimonianza: “Quando penso al futuro, penso a città e paesi dove ci sia posto anche per noi, a pieno titolo, come cittadini come tutti gli altri, non come un popolo da isolare e di cui avere paura”. Queste parole, ha continuato mons. Vegliò «dimostrano che in Europa è ancora largamente diffuso l’approccio ai Rom che li considera come marginali, da recuperare socialmente e riconciliare con il resto della popolazione, fino ad esserne assimilati». Un popolo spesso ancora escluso dai sistemi educativi, dagli ambiti del lavoro, dalla politica e dall’assistenza sanitaria, costretto a vivere «in condizioni di povertà, ai margini delle città, in quartieri degradati e non attrezzati, vittime di violenze e di fenomeni di razzismo e antiziganismo», ha sottolineato il presule.
Gli stereotipi, i pregiudizi radicati nella società, certo non aiutano a sviluppare atteggiamenti di apertura e accoglienza, di solidarietà e rispetto. Nella “casa comune” europea deve esserci posto anche per i Rom ed anche in questo processo la guida di Benedetto XVI illumina che, nell’udienza del giugno scorso, ha esortato i Rom ad una concreta e franca collaborazione per l’integrazione, invitandoli «a scrivere insieme una nuova pagina di storia per loro e per l’Europa».
Una storia, quella della popolazione Rom e di altre etnie zingare che «è complessa e, in alcuni periodi, dolorosa, ricordava Benedetto XVI nell’Udienza agli Zingari. Siete un popolo – diceva – che nei secoli passati non ha vissuto ideologie nazionaliste, non ha aspirato a possedere una terra o a dominare altre genti. Siete rimasti senza patria e avete considerato idealmente l’intero Continente come la vostra casa. Le parole conclusive del Papa a giugno sono ricordate da Mons. Vegliò in tutta la loro forza: «La coscienza europea non può dimenticare tanto dolore! Mai più il vostro popolo sia oggetto di vessazioni, di rifiuto e di disprezzo!».
I primi chiamati, però, sono i Rom stessi: l’invito è ad essere veri protagonisti dell’integrazione socio-culturale, definiti dal pontefice “un’amata porzione del Popolo di Dio pellegrinante”.
C’è uno spiccato orientamento positivo, ricorda mons. Vegliò, «su cui ha insistito il Papa», che «richiede la capacità di guardare ai Rom senza generalizzazioni e preconcetti, in modo da permettere loro di vivere secondo l’identità etnica e culturale propria. È opportuno, dunque, offrire loro più occasioni per il coinvolgimento nelle relazioni non come destinatari di assistenza ma come portatori di risorse, dando maggior spazio per il protagonismo nella gestione della propria esistenza», ha auspicato il prelato.
Non mancano i segni di comunione, sia a livello istituzionale, con le iniziative promosse dall’Unione europea come il Decennio per l’integrazione dei Rom, la Piattaforma sull’inclusione dei Rom e il Fondo per la loro istruzione e il Secondo Vertice Europeo sulle problematiche Rom a Cordoba (in Spagna) nell’aprile 2010; o, ancora, l’opera di varie Organizzazioni come il Contact Point on Roma and Sinti Issues dell’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, il Forum Europeo dei Rom e degli Itineranti e molti altri.
Ma i segni di comunione si registrano anche a livello ecclesiale, con gli appositi programmi e strutture con i quali la Chiesa manifesta la propria sollecitudine verso i Rom, elaborando positivi itinerari di inserimento. È importante ricordare, ribadisce mons. Vegliò, i «numerosi Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica che si dedicano all’ambito educativo e a quello della scolarizzazione, mentre il lavoro di sensibilizzazione dell’opinione pubblica vede attivi soprattutto i movimenti ecclesiali”. Le parole del beato Giovanni Paolo II all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1995 hanno concluso il secondo intervento di mons. Vegliò:: alla fine del suo discorso il Papa diceva: “Non dobbiamo avere timore del futuro. Non dobbiamo avere paura dell’uomo. Non è un caso che noi ci troviamo qui. Ogni singola persona è stata creata ad «immagine e somiglianza» di Colui che è l’origine di tutto ciò che esiste. Abbiamo in noi la capacità di sapienza e di virtù. Con tali doni, e con l’aiuto della grazia di Dio, possiamo costruire una civiltà degna della persona umana, una vera cultura della libertà. Possiamo e dobbiamo farlo! E, facendolo, potremo renderci conto che le lacrime di questo secolo hanno preparato il terreno ad una nuova primavera dello spirito umano”.
Un invito valido ancora oggi, per tutti.