La tragedia del Nord Africa interroga le Chiese locali
Agrigento – In occasione della festa di san Gerlando (25 febbraio), patrono di Agrigento, l’arcivescovo, mons. Francesco Montenegro, ha invitato a celebrare il pontificale un altro vescovo che segue le orme di Gerlando, mons. Domenico Mogavero, della diocesi di Mazara del Vallo, da anni impegnata nel dialogo interreligioso e gemellata con la diocesi di Tunisi.
Pochi giorni prima che scoppiasse la rivolta in Tunisia, fine gennaio, mons. Mogavero è stato in Tunisia e mai avrebbe immaginato che, solo dopo alcuni giorni dal suo ritorno in Italia, cadesse il governo di Ben Alì e venisse ucciso un giovane sacerdote. “Nessuno immaginava che potesse accadere tutto questo. Il clima a Tunisi – ha raccontato mons. Domenico Mogavero – è abbastanza tranquillo, i rapporti tra arabi e cattolici sono consolidati, senza elementi di criticità. L’uccisione di padre Marek li ha sconvolti perché al di fuori di ogni possibile previsione, questo omicidio ha creato una situazione d’incertezza, non si sa che peso dare, se si è trattato di un caso isolato, se un atto di follia di un povero sciagurato o se, vi è sotto, una linea di tendenza che potrebbe incrinare i buoni rapporti tra arabi e cattolici”. Il vescovo di Mazara non immaginava che potessero nascere così velocemente in Nord Africa dei focolai di rivolta, “si percepiva che la situazione in cui versava il Nord Africa non sarebbe potuta andare avanti ancora per molto tempo”.
“In Tunisia – ha detto mons. Mogavero – che era il Paese più aperto, più permeato di modelli occidentali, la presenza di Ben Alì era piuttosto ingombrante. Era prevedibile che il suo governo finisse, la popolazione tunisina non ce la faceva più”.
In merito alla situazione critica che Europa, Italia e Sicilia si trovano oggi a dover affrontare mons. Mogavero è molto duro nelle sue riflessioni. “L’Europa ha un rapporto fasullo con il Nord Africa, è un rapporto interessato sotto il profilo degli affari, ma dal punto di vista del rapporto umanitario non c’è niente. L’Italia – secondo mons. Mogavero – sta a guardare, la sciagura sarà quando questa zona si sarà politicamente consolidata e noi dovremo andarci a mettere in ginocchio davanti ai nuovi detentori del potere perché la situazione non la stiamo controllando dal punto di vista di una presenza e di una vicinanza solidale. Li stiamo considerando tutti come degli straccioni che vogliono venire a sconvolgere le nostre vite ma senza percepire che in loro vi è una sete di libertà e di partecipazione superiore a qualsiasi potenza umana”.
Il fenomeno dell’immigrazione è una sfida che la società civile fatica ad accogliere nella prospettiva solidale, ma non la Chiesa. “Noi nel nostro piccolo – ha spiegato il vescovo di Mazara – come diocesi abbiamo messo a disposizione 50 posti per accogliere gli immigrati, se le altre sedici diocesi della Sicilia, escludo Agrigento, perché con Lampedusa sta facendo già la sua parte, mettessero a disposizione ciascuna 50 posti, avremmo già abbondantemente raggiunto un buon numero di immigrati fuori dall’isola delle Pelagie. Rispetto ad altri abbiamo un’ottica ed una sensibilità che, di fronte a questi problemi, non ci fanno guardare dall’altra parte o mettere la testa sotto la sabbia”.
Del ruolo intrapreso dalle diocesi di Agrigento e Mazara del Vallo ha parlato anche mons. Francesco Montenegro, il quale, nel suo saluto al vescovo Mogavero all’inizio del pontificale, ha sottolineato come “la nostra diocesi, quella di Mazara, le diocesi che si affacciano sul Mediterraneo sono ormai chiamate a confrontarsi con quanto accade a pochi chilometri di distanza. Il Mediterraneo non è più mare che divide ma è porta che consente il passaggio e l’ingresso e, come tale, è opportunità che unisce. E noi come cristiani non possiamo certo stare a guardare”.
“Dio – ha concluso – ci sta parlando, Dio sta bussando alle nostre porte, ci sta facendo toccare con mano le miserie del terzo mondo per le quali tante volte abbiamo pregato. Adesso è il nostro territorio ad essere interessato ad una missione che passa attraverso l’accoglienza, il dialogo, l’integrazione”. (SIR Italia)