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Vangelo Migrante: XXIX Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 18,1-8)

13 Ottobre 2022 - Pregare sempre senza stancarsi mai. È il cuore del Vangelo di questa domenica. ‘Sempre’ e ‘mai’sono parole infinite e definitive allo stesso tempo. Impossibili da raggiungere? Non proprio. Tommaso da Celano dice di San Francesco che alla fine della vita non pregava più... “egli stesso era diventato preghiera”. Un padre della vita spirituale, Evagrio Pontico, rassicurava: “non compiacerti nel numero dei salmi che hai recitato: esso getta un velo sul tuo cuore. Vale di più una sola parola nell’intimità, che mille stando lontano”. Pregare è come voler bene, c’è sempre tempo per voler bene: se ami qualcuno, lo ami giorno e notte, senza smettere mai. La cosa che a Gesù sta più a cuore, e anche la più difficile, è proprio “non smettere mai”. E allora porta un esempio: quello di una vedova che, inopportuna, insolente, molesta, importuna un giudice che non si decide a farle giustizia. Questi, alla fine, scocciato dalla sua richiesta, cede. Attenzione: quel giudice non è Dio, quel giudice è il criterio umano di valutare le cose, il buon senso, la misura con cui noi siamo soliti regolare l’andamento della vita; è quell’insieme di compromessi che sono stati consegnati a qualcuno perché li faccia osservare; in una parola: il potere. In questo ‘manage’ si generano le ingiustizie che tanto male fanno agli uomini. Chi ha forza si difende da solo; chi non ne ha, ha bisogno di essere difeso... Ma non è detto che esista qualcuno disposto a farlo. Proprio a partire dal caso della vedova, a cui nessuno risponde, Gesù sposta tutto sulla preghiera; non come ultima ratio ma come la vera e definitiva fonte di giustizia. L’unica capace di tenere testa ai problemi e a chi li dovrebbe regolare. La parabola non è contro quelli che non pregano mai, ma è per quelli che ammettono la preghiera, la conoscono anche e, tuttavia, credono che il ‘qualche volta’ o ‘il pregare spesso’ possa bastare... No. La vera preghiera di cui c’è bisogno e che si rivela anche efficace è: ‘non smettere mai!’. È necessaria: non a caso essa è accostata al respiro di cui non possiamo fare a meno! Si tratta di avere il cuore immerso in Dio. Costantemente. Che sorpresa, trovarsi a fare le cose di Dio anche senza averlo invocato esplicitamente! A riguardo, interroghiamo i Santi: è tutta gente che non spiega quali sono state le strategie delle loro opere ma canta lo stupore dell’Opera di Dio, che non lascia vacillare e non prende sonno. “Egli è come ombra che ti copre”, dice il Salmo! (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: XXVIII Domenica del tempo Ordinario (Lc 17,11-19)

6 Ottobre 2022 -
Il brano del Vangelo di questa domenica, contiene in sé delle contraddizioni, una strategia dell’evangelista Luca per aiutarci a comprendere e focalizzare, alcuni significati che la vicenda reca in se stessa. Uno degli elementi che attira da subito la nostra attenzione, emerge dal percorso che Gesù compie nel dirigersi a Gerusalemme che è situata nel sud del Paese, Egli passa dalla Samaria e dalla Galilea, che si trovano nel nord, da tutt’altra parte: hai l’opportunità di incontrare Gesù nei luoghi dell’infedeltà (Samaria) e della vita quotidiana che nel suo profondo è pagana (Galilea). Un altro elemento di contraddizione riguarda il luogo in cui si trovano i lebbrosi, i quali dice il Vangelo, vanno incontro a Gesù uscendo dal loro villaggio. Siamo ben consapevoli che la lebbra è una malattia infettiva, proprio per questo motivo anche ai tempi di Gesù, i lebbrosi erano costretti a vivere fuori dalla città, espulsi dalla comunità, qui invece sono situati all’interno del villaggio. Sino a questa domenica abbiamo compiuto un cammino dove ci siamo riscoperti il Figlio maggiore della parabola del padre misericordioso, l’amministratore che sperpera i beni del suo padrone, il ricco immerso nelle sue ricchezze che ha tagliato fuori dalla sua vita il bisognoso… quei lebbrosi dunque, rappresentano noi stessi, la nostra umanità, le nostre comunità (in Israele, il numero dieci è il quoziente minimo per poter creare una comunità), infettate dall’aridità e dal consumismo, dalla nostra mancanza di fede. L’uomo peccatore come quei lebbrosi si sente lontano da Dio, si fermano infatti a distanza, ma Gesù annulla il tutto invitandoli ad andare presso i sacerdoti a Gerusalemme, a compiere cioè quel cammino di amore che anche Lui sta effettuando, lì dove troverà la morte. Durante il tragitto vengono guariti: la salvezza che Cristo ci ha garantito con il suo cammino verso la croce è per ciascuno, ma non tutti se ne accorgono. Mentre gli altri viaggiano secondo il protocollo di quello che gli è stato detto, solo uno ritorna all’origine dell’incontro per ringraziare (eucarestia) e dunque stringersi in relazione esclusiva con la fonte della sua salvezza. Tuttavia sarà impossibile fare eucarestia se gli altri fratelli non ci sono, per questo motivo fecondati dalla fede, diviene necessario incamminarsi nuovamente alla ricerca del fratello assente. (Luca De Santis)

Vangelo Migrante: XXVII Domenica del Tempo Ordinario- | Vangelo (Lc 17,5-10)

29 Settembre 2022 -

La prima lettura di questa domenica, ci consegna una frase molto bella per mezzo della quale, ci accostiamo alla meditazione del vangelo: il giusto vivrà per la sua fede. Iniziamo la nostra riflessione, chiedendoci se siamo pienamente consapevoli del significato della fede. Nel vivere la dimensione spirituale, si riscontra una certa confusione tra religione e fede, in quanto alcuni ritengono che le due cose siano uguali: la persona religiosa è anche un uomo e una donna di fede? Essere delle persone religiose, significa esser nati all’interno di un contesto culturale, caratterizzato da usanze e tradizioni. Sin dalla nascita ci sono stati trasmessi degli insegnamenti riguardanti anche la sfera religiosa: il segno di croce prima di andare a dormire, la domenica a Messa, per certi versi anche i sacramenti dell’iniziazione cristiana più che una maturazione di fede, per alcuni scandiscono i processi della crescita umana. Anche il vivere in società risente dell’aspetto religioso: la festa del santo patrono, le caratteristiche processioni, le pietanze che si preparano in occasione di una solennità. La religione dunque, richiama una credenza vaga, non definita, che non indica un cammino di maturazione, ma semplicemente un’educazione sociale o famigliare che è stata inculcata. Si può essere religiosi senza conoscere per bene Dio, la Sua parola e la Sua logica. La fede è tutt’altra cosa, essa pur nascendo dal contesto religioso, pretende qualcosa di più: il desiderio di conoscere Dio, istruire un rapporto personale con Lui, orientarsi continuamente a Lui, porlo alla base della nostra esistenza, nelle scelte che siamo chiamati a compiere. Entrato in questo processo prendo consapevolezza in modo progressivo di quanto sono amato, del fatto che Dio non ama in modo generale la gente o il popolo, ma si manifesta nella sua misericordia in modo specifico per ogni uomo e ogni donna: il mondo è amato poiché lo è ciascuno di noi. La fede non ha una misura quantitativa, non consiste nel dire ne ho tanta o poca, essa è semplicemente un seme, il più piccolo, che decide di farsi fecondare dal terreno misericordioso di Dio, entrando così in un processo di crescita dinamica.

Farsi fecondare per mezzo della fede aiuta ad affrontare due aspetti della vita molto importanti, che sono riportati all’interno del Vangelo di questa domenica. La fede è potente, mi aiuta a estirpare anche l’impossibile: l’albero di gelso possiede delle radici poderose, molto probabilmente ai tempi di Gesù era impossibile sradicarlo, così nella nostra vita, riteniamo irrealizzabile il liberarsi da alcuni aspetti, come un vizio o degli episodi spiacevoli, la fede è capace di estirpare tutto questo. In secondo luogo l’essere immerso nella misericordia di Dio, mi introduce nel servizio amorevole (senza utile), eliminando ogni forma di mercificazione del bene in favore del prossimo, tutto ciò si apprende dall’amore gratuito e personale di Dio. (Luca De Santis)

Vangelo Migrante: XXVI Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 16,19-31)

22 Settembre 2022 - I farisei, amici della ricchezza e inclini a considerarla come un segno della benedizione di Dio sopra il giusto (solo i farisei?) non a caso deridevano Gesù per i suoi inviti a distaccarsi dai beni materiali. L’attaccamento al denaro, ieri come oggi, è frequente e la ricchezza molto apprezzata. Gli uomini ricchi sono ammirati e facilmente s’illudono di essere uomini grandi per il semplice fatto di essere ricchi. La celebre parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro smaschera i grandi pericoli che corrono gli uomini ricchi. La parabola mette in evidente contrapposizione un ricco anonimo che vive nel fasto e un povero di nome Lazzaro, che in ebraico significa ‘Dio viene in aiuto’. Il fatto che sia riportato il nome del povero e non quello del ricco fa subito intendere il diverso modo di ragionare di Dio rispetto agli uomini: non sono i ricchi ma i poveri a stargli particolarmente a cuore! L’uomo ricco, vestito di porpora e di bisso che vive nel lusso, non è crudele nei confronti del povero Lazzaro, semplicemente non si accorge di lui e non si occupa minimamente dei suoi problemi. Egli vede solo sé stesso. La ricchezza ha lo stesso effetto di un panno nero dietro a un vetro: da trasparente, diventa specchio. Così nella vita degli uomini: con la ricchezza non ci si accorge più degli altri e dei loro problemi, anche quando sono vicinissimi, e si pensa solo a se stessi. La morte li raggiunge entrambi e produce un radicale rovesciamento della situazione. Lazzaro è portato dagli angeli accanto ad Abramo in un posto di grande onore. Il ricco si ritrova negli inferi, luogo tradizionale di tormenti per gli uomini, condannato a causa delle sue colpe. Il ricco non è condannato perché violento e oppressore, ma semplicemente perché ha vissuto ignorando completamente il povero. Appurato che non è più possibile fare nulla a suo favore, il ricco vorrebbe fare qualcosa per i suoi fratelli perché non seguano la sua sorte. La risposta di Abramo è chiara: le ricchezze, assieme allo sguardo ricurvo su se stessi procurano anche un intontimento che preclude qualsiasi altro sguardo o messaggio. Creano un abisso tra noi e la verità delle cose! Come la verità dello sguardo e della Parola di Dio, decisivi per la salvezza. I piaceri e gli agi di cui ci circondiamo, e di cui andiamo sempre di più alla ricerca, non ammettono altro. Nient’altro. … E la parabola non ammette mezze misure: non si può essere cristiani e superficiali allo stesso tempo, incuranti, evasivi o in fuga da ciò che ci circonda. Gesù annuncia l’unica cosa che conta e che resta veramente: la salvezza del Padre, per tutti. E ci dice come ottenerla. Sarà utile farci qualche domanda: chi è il mio Lazzaro? Qual è la mia occasione di salvezza? Chi c’è da mare? Chi c’è da curare? (p. Gaetano Seracino)

Vangelo Migrante: XXV Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 16,1-13)

15 Settembre 2022 - Si sa che l’arte di cavarsela è molto applicata nelle ambigue imprese di questo mondo. Lo è molto meno nella grande impresa della salvezza eterna. Per questo Gesù ci riprende per come siamo più pronti a salvarci dai mali mondani che dal male eterno. E racconta la parabola di un fattore disonesto che, chiamato a rendere conto al padrone della sua amministrazione, si vede costretto a fare sconti a destra e a manca, ai debitori del suo padrone perché costoro da lì a poco, il giorno in cui sarà licenziato, lo possano accogliere; la parabola, tuttavia, non dice se resta o viene licenziato… Per le logiche umane, il racconto è sconclusionato perché pur dinanzi ad un comportamento che è disonesto a tutto campo, il padrone finisce comunque per lodarlo: “i figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”. Qualcosa non torna. Siamo in una parabola e il discorso pur muovendo dalle cose di questo mondo, non rimane nelle logiche di questo mondo ma si porta nella logica di Dio. E quindi: se quel padrone è Dio, i suoi beni non sono i denari per come li intendiamo noi ma per come li intende lui; per Dio la vera ricchezza, simboleggiata anche dal denaro, è la misericordia! E quell’amministratore cosa fa? Fa sconti, rimette i debiti … ai debitori del padrone. In questo, è un amministratore di misericordia perché capisce che l’unica salvezza per lui è rimettere i debiti. Umanamente è un discorso ‘utilitaristico’ ma per come lo usa Gesù, sotto forma di parabola, spiega meglio di tante parole qual è l’unica logica Dio: la vera ricchezza è la misericordia e, se c’è di mezzo il denaro, o è per fare misericordia o sarà per i traffici disonesti e basta. Questo testo è un’immensa spiegazione narrativa di un testo dell’AT: “l’elemosina copre una moltitudine di peccati”. Noi nella vita non saremo mai perfetti nè riusciremo ad aggiustare tutto della nostra amministrazione … Sappiamo solo che alla fine i conti non torneranno mai. Come salvarsi? Abbassando i conti e tagliando le pretese. Come distinguere il servire Dio dal servire la ricchezza? Far sì che la ricchezza serva Dio e non il contrario. Il denaro serve per amare, per perdonare; il denaro va messo al servizio della volontà di Dio. Per Dio non esistono né ‘assoluti’ nè fermezze che non contemplino  la misericordia. È un Vangelo che ci insegna la strada: cancellare i crediti, rimettere i peccati perché questo ci apre le porte dei cieli. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: XXIV Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 15,1-32)

8 Settembre 2022 - A un uditorio di mormoratori Gesù racconta una parabola: “si avvicinarono a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: Costui riceve i peccatori e mangia con loro. Allora egli disse loro questa parabola...”. Tra tutte è indubbiamente la parabola più sconvolgente; non solo perché ci insegna che Dio si interessa di ciò che è perduto e prova grande gioia per il suo ritrovamento, ma soprattutto perché scaturisce da una situazione ben precisa: la mormorazione di alcuni benpensanti, ai quali Gesù rivela cos’è il peccato. È questo ciò che fa dei tre racconti sui ‘perduti ritrovati’ (una pecora, una moneta e un figlio, cosiddetto ‘prodigo’) un’unica parabola. In risposta a quelle mormorazioni, con quel racconto Gesù tira fuori la radice di ogni peccato, già nota nella storia della Salvezza nel dialogo tra un serpente e una donna (Genesi 3). Il serpente presenta la realtà come bella ma vietata, gradevole ma proibita, illuminante ma preclusa. Esiste, ma non si può prendere. E Dio, che ha stabilito tutto questo, è qualcuno che governa l’uomo limitandolo e frustrandolo. È la logica espressa nelle parole dal fratello maggiore della parabola del ‘figlio ritrovato’: … “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Un atteggiamento che trasuda rabbia e invidia. Non fa ragionare da figlio ma da servo e fa pensar male del padre. Il peccato ha origine in questo smarrimento, in questa ribellione, in questa morte: vivere dentro il giardino di Dio ma con il cuore ribellato a Dio. Rompere la comunione con il Padre vuol dire svilirsi, svuotarsi, perdersi… Lo fanno entrambi i figli ma uno, disperato, torna e sperimenta l’attesa e l’abbraccio del Padre; l’altro nemmeno si accorge di un Padre così! Anche se quel Padre lo martella con la frase “questo tuo fratello era morto ed è stato ritrovato”. È curioso, ma il ‘figlio prodigato’ è colui che scopre che la relazione dell’uomo con Dio è sempre possibile perché è una storia di perdono… E la gioia di quel Padre è la verità. È questa la chiave per capire tutto. Il risultato è una festa: per il pastore che ritrova la pecora smarrita, per la donna che ritrova la moneta e per il padre che ritrova suo figlio! La Verità prima, è lo smisurato amore del Padre per tutti. Nessuna forma di perdizione può precludere la salvezza. Al contrario, si può stare dentro la casa del Padre ed essere ostaggio di un cuore in catene. A noi la scelta: stare nella casa del padre e ritenere che servire Dio sia una schiavitù o scegliere di servire Dio, e regnare! Perché, servire Dio è regnare (Concilio Vaticano II).

p. Gaetano Saracino

Vangelo Migrante: XXIII Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 14, 25-33)

1 Settembre 2022 - “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre... e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”. Lo diciamo subito: Gesù non indice una competizione di sentimenti fra le sue creature; sa bene che non ne uscirebbe vincitore. Ci ricorda, invece, che, per creare un mondo nuovo, ci vuole una passione forte almeno quanto quella degli amori familiari. Gesù vuole cambiare l’uomo e, allora, riparte dalle relazioni umane. E lo fa puntando tutto sull’amore, il fulcro sul quale l’uomo poggia la felicità di questa vita: dare e ricevere amore. Anche se le Sue parole sembrano eccessive o contro la bellezza e la forza degli affetti, il verbo centrale attorno a cui ruota il tutto è “amare di più”. Non si tratta di una sottrazione ma di una addizione. Gesù non sottrae amori, aggiunge un “di più”. Il discepolo è colui che sulla bellezza dei suoi amori stende una bellezza più grande. E il risultato non è una sottrazione ma un potenziamento, un’aggiunta. Gesù è la garanzia che i nostri amori saranno più vivi e più luminosi, perché Lui possiede la chiave dell’arte di amare. E prosegue: “colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”. La croce noi la pensiamo come metafora delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, di una malattia da sopportare o addirittura del perdere la vita. In realtà la vita ‘si perde’ così come si spende un tesoro: donandola goccia a goccia. Un tesoro nascosto non serve a nulla. Un tesoro speso con ‘giustizia’, produce altra ricchezza. Il vero dramma non è morire ma non avere niente e nessuno per cui valga la pena spendere la vita. Nel Vangelo la croce è la sintesi dell’intera storia di Gesù: amore senza misura, amore disarmato, coraggioso, che non si arrende, non inganna e non tradisce. È l’emblema del prendere su di sé una porzione grande di amore, altrimenti non si vive; prendere la porzione di dolore che ogni amore comporta, altrimenti non si ama. E, in progressione, conclude: “chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. Si tratta di un taglio: la vita non dipende dai beni materiali; Gesù chiede una rinuncia a ciò che la impedisce (la Vita). Esistono creature che nella loro umanità hanno fatto spazio all’Amore più grande, hanno vissuto portando la porzione di croce che ogni amore comporta e hanno davvero tagliato con tutto il resto per fare posto alla Vita di Dio. Sono i Santi. E Dio, in loro, ha rivelato tutta la potenza del suo amore. Papa Francesco il 9 di ottobre eleverà agli onori degli altari una di queste figure: il vescovo Giovanni Battista Scalabrini, padre dei migranti. La Vita di Dio  vissuta da Scalabrini e dal suo carisma, è profezia di quella umanità nuova, riconciliata dall’amore nelle diversità, secondo il disegno di Dio. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: XXII Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 14, 1.7-14)

25 Agosto 2022 - “Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”, dice Gesù nel Vangelo di questa domenica. I maestri di vita spirituale, suggeriscono che è meglio non darsi subito come obiettivo l’umiltà perché c’è il rischio di scivolare verso una ‘sottile sufficienza’ o innescare una eccessiva considerazione di se stessi. L’umiltà, infatti, è essenzialmente volgere il proprio sguardo al di fuori di se stessi e lasciarsi condurre. Gesù la suscita in reazione ad una scena che gli capita innanzi. “Notando come sceglievano i primi posti” oppone ‘a quel segno del potere, il potere dei segni’: “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!” (…) Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!” A Gesù non interessa stigmatizzare un comportamento sociale e piazzarlo tra le cose da fare o non fare nel traffico delle relazioni umane. L’umiltà che Lui indica, non è ‘bon ton’, svalutazione personale fine a se stessa o ‘escamotage’ per evitare brutte figure, ma apertura a Dio e ai fratelli. Tutti abbiamo un nervo scoperto che corrisponde all’ansia del primo posto, all’incessante sottolineatura del proprio ego. Una fatica angosciante che mai smettiamo di inseguire! Sembra che non ne possiamo fare a meno. E, invece, Gesù fa capire che ce ne possiamo liberare solo dinanzi alla consapevolezza che c’è Qualcuno che assegna il posto giusto a ciascuno. Vivere nella convinzione che il posto lo assegna Dio oltre che a vivere felici, genera anche la vera inversione di rotta nella storia e apre il sentiero per un tutt’altro modo di abitare la terra. Si tratta di una consapevolezza che ci permette di valorizzare il reale: quanti notabili e personaggi in vista sono stati respinti nella storia! E quanti perseguitati e testimoni, invece, vivendo dove Dio li ha posti…, anche in posti scomodi, si sono lasciati condurre da Lui e hanno illuminato di quella luce interi corsi della storia! Come il padrone di casa della parabola, che invita i commensali ad avanzare, così Dio si occupa di noi e ci conduce. Una vita dove il posto che abbiamo lo abbiamo ricevuto in dono, non sarà più il luogo del contraccambio ma il luogo del dono: “non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio”; quando si vive in funzione di un amore che non cerca il contraccambio, si trasforma tutto in condivisione. Vivere condividendo, vuol dire fare memoria di qualcuno che ha condiviso con noi quel che era suo. E questi è innanzitutto Dio che ha mandato il Figlio … senza chiederci niente in cambio insegnandoci che la vita si scambia non si commercia. Alla fin fine, umiltà significa esistere in funzione della vera ricompensa del Signore. Dice il libro della Sapienza: “gli empi sono coloro che non sperano salario dalla santità”. Il nostro rischio è che si viva senza sperare che il Signore ricompensi la condivisione e l’amore, credendo che fidarsi di Dio non paghi e non sia una realtà vantaggiosa. E, invece, è proprio questo il segreto delle beatitudini: Dio regala gioia a chi produce amore. (p. Gaetano Saracino)
  1. Gaetano SARACINO

Vangelo Migrante: XXI Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 13, 22-30)

18 Agosto 2022 - Gesù si rifiuta di rispondere ad un tale che chiede: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” Domanda quanto meno sospetta che sembra cercare più nelle statistiche la sicurezza della propria salvezza che non nella misericordia di Dio. Il pensiero sotteso è che se la maggior parte o addirittura tutti si salvano, facilmente ci si può confondere nella massa, evitando di assumersi le proprie responsabilità. Per Gesù la questione della salvezza non si pone in termini generali o per gli altri, ma si pone “per me”. Argomento tutt’altro che datato. L’opinione diffusa che Dio è buono e quindi tutti, in un modo o nell’altro, si salveranno indipendentemente dalla qualità buona o cattiva della loro vita, non trova conferma nelle Sue parole. Gesù non dice se siano pochi, tanti o tutti quelli che si salvano. Sia chiaro, l’universale predestinazione alla salvezza è il nucleo essenziale della Sua predicazione: tutti sono chiamati, senza alcuna eccezione e senza alcun privilegio, a far parte del regno dei cieli; ma la possibilità di salvarsi, offerta a tutti indistintamente, richiede un’impegnativa risposta personale. E allora formula un invito molto chiaro: “sforzatevi di entrare per la porta stretta”. Non è un immagine ‘lacrime e sangue’ o un’impresa fuori della nostra portata. Il Vangelo porta solo belle notizie e, quindi, la porta è stretta, è un’entrata piccola, come lo sono i piccoli, i bambini e i poveri, veri prìncipi del regno di Dio; è stretta ma a misura d’uomo, di un uomo nudo ed essenziale che ha lasciato giù tutto ciò che lo gonfiava: ruoli, portafogli, l’elenco dei meriti, i bagagli inutili, il superfluo; la porta è stretta, ma è aperta. L’insegnamento è chiaro: fatti piccolo e la porta si farà grande! E va oltre. Attenzione: non è la stessa cosa stare dentro o fuori! Il rischio di rimanere esclusi dal regno esiste ed ha delle conseguenze: “là ci sarà pianto e stridore di denti”. Nè servirà bussare e dire: “Signore aprici!” o vantarsi di cose di poco conto: “abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Quanti non sono passati per la porta stretta a motivo della propria ignavia e falsa coscienza, si sentiranno rispondere: “non so di dove siete”. Dio non riconosce per formule, riti, simboli religiosi o perché si fanno delle cose per Lui, ma perché con Lui e come Lui si fanno delle cose per i piccoli e i poveri. Il resto o sono alibi o false credenziali che normalmente poggiano su un Dio a misura d’uomo. Non mancheranno sorprese. Oltre quella porta Gesù immagina una festa multicolore: verranno da oriente e occidente, dal nord e dal sud del mondo e siederanno a mensa. La porta stretta non è porta per pochi, o per i più bravi. Tutti possono passarvi, per la misericordia di Dio. Il suo sogno è far sorgere figli da ogni dove, per una offerta di felicità, per una vita in pienezza. Lui li raccoglie da tutti gli angoli del mondo; il Suo regno ammette quelli che il mondo reputa clandestini; e se arrivati ultimi, Lui li considera primi. Attrezzarsi a passare quella porta, non è ‘fare di meno’ … ma darsi da fare con un Vangelo che travalica tutti i confini, non solo quelli geografici! (p. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante:XX Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 12, 49-53)

10 Agosto 2022 - Gesù non usa giri di parole: “sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! (...) Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione”. Ma cosa sono questo fuoco e questa divisione di cui parla? Il Vangelo non è ottundimento e illusione ma “morso del più”: visione, coraggio, creatività, appunto, fuoco! Altro che oppio dei popoli! Dio non è neutrale: vittime o carnefici non sono la stessa cosa davanti a lui, tra ricchi e poveri, Dio ha delle preferenze e si schiera. Il Dio di Gesù Cristo non porta la falsa pace della neutralità o dell’inerzia, ma “ascolta il gemito” di chi lo invoca e prende posizione contro i faraoni di sempre. La divisione che porta evoca il coraggio di esporsi e lottare contro il male. Perché si può uccidere anche stando alla finestra, muti davanti al grido dei poveri e di madre terra, mentre soffiano il vento dell’odio, si chiudono approdi, si alzano muri, avanza la corruzione. Non si può restarsene inerti a contemplare lo spettacolo della vita che ci scorre a fianco, senza alzarsi a lottare contro la morte e ogni forma di morte. Altrimenti il male si fa sempre più arrogante e legittimato. Quel fuoco è l’alta temperatura morale che rende possibili le trasformazioni positive del cuore e della storia. Come quella fiammella che a Pentecoste si è posata sul capo di ogni discepolo e ha sposato una originalità propria, ha illuminato una genialità diversa per ciascuno. Abbiamo bisogno estremo di discepoli geniali, con fuoco. È questo che intende papa Francesco quando nella Evangelii Gaudium invita i credenti a essere creativi, nella missione, nella pastorale, nel linguaggio. Propone instancabilmente non l’omologazione, ma la creatività; invoca non l’obbedienza ma l’originalità dei cristiani. Fino a suggerire di non temere eventuali conflitti che ne possono seguire perché senza conflitto non c’è passione (EG 226). Un invito pieno di energia a non seguire il pensiero dominante, a non accodarci alla maggioranza o ai sondaggi d’opinione. Essere discepoli significa essere profeti: invito forte, anche se molte volte disatteso! Essere profeti anche scomodi, per Gesù significa far divampare quella goccia di fuoco che lo Spirito ha seminato in ogni vivente. (p. Gaetano Saracino)