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Vangelo Migrante: IV domenica del tempo ordinario | Vangelo (Mt 5,1-12)

26 Gennaio 2023 - Chi non vuol essere felice? Nel Vangelo di questa domenica Gesù ci offre addirittura la beatitudine, un di più di felicità. A prima vista per come è strutturato il testo, l’attenzione può essere rapita da quelle condizioni di vita che umanamente non sono proprio un vantaggio o non sono la condizione accettata dai più: beati quelli che sono poveri in spirito, nel pianto, i miti, quelli che hanno fame e sete della giustizia, i puri di cuore, i misericordiosi, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia, gli insultati, i perseguitati e i calunniati. Sembra di assistere ad una benedizione delle sventure! Non è così! Il testo annuncia la beatitudine partendo, sì, da una condizione di vita ma si allunga dicendo anche ‘perché’. Il punto di partenza non è tutto; il tutto viene annunciato nello snodo del ‘perché’: perché di essi è il regno dei cieli, perché saranno consolati; perché avranno in eredità la terra; perché saranno saziati; perché troveranno misericordia; perché vedranno Dio; perché saranno chiamati figli di Dio; perché di essi è il regno dei cieli, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Accolte così, le beatitudini diventano una provocazione perché costituiscono una domanda diretta e profonda: ti interessa il regno dei cieli, ti interessa vedere Dio, di essere consolato, di avere quella pienezza e sazietà di vita che solo Dio può dare e nessun altro può togliere? Non è una sfida. È l’offerta più alta che sia mai stata fatta al cuore dell’uomo. Gandhi diceva che queste sono “le parole più alte del pensiero umano”. Chi non ha mai vissuto una di quelle condizioni ‘svantaggiose’? Ne siamo venuti fuori? Può darsi; ma, ahinoi, mai per sempre e mai per tutti. Al posto della lotta continua, comunque faticosa e sempre ìmpari, Gesù offre la pienezza di Dio e del Suo Regno disponibile per tutti gli uomini. Non è utopia o nostalgia di un mondo fatto di bontà, sincerità, giustizia e non violenza ma è un tutt’altro modo di essere uomini. Gesù pronuncia queste parole su una montagna, circondato dalla folla e dai suoi discepoli. In quella circostanza insegnerà anche il Padre nostro. Egli è il nuovo Mosè che promulga la legge della nuova alleanza. Per accoglierla è necessario ‘emigrare’, uscire, salire, per poterlo ascoltare e diventare davvero Suoi discepoli. Nelle Beatitudini c’è un’attrazione perchè si avvertono come difficili eppure suonano amiche e necessarie per il cuore dell’uomo. Amiche perché non stabiliscono nuovi comandamenti, ma propongono la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore, necessarie perché quando uno si fa carico della felicità di qualcuno il Padre si fa carico della sua. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: III domenica del tempo ordinario | Vangelo (Mt 4,12-23)

19 Gennaio 2023 - Con il Motu proprio ‘Aperuit illis’, Papa Francesco ha stabilito che “la III Domenica del Tempo ordinario sia dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio”. Non a caso la Parola di questa domenica ci offre il messaggio generativo del Vangelo: “il regno dei cieli è vicino!” Giovanni è stato arrestato, la voce del Giordano tace ma poco più in là sulle rive di un lago si alza una voce libera: esce allo scoperto, e senza paura, un giovane rabbi che da solo va ad affrontare i confini nella meticcia Galilea, crogiolo di genti, regione quasi perduta per la fede, e dice: “convertitevi perché il regno dei cieli è vicino”. Dio è vicino, è qui, e non al di là delle stelle. Quel regno di giustizia, di pace, d’amore, desiderato da ogni uomo di buona volontà, finalmente non è più solo una bella ma irrealizzabile utopia: è vicino. Non si tratta di un regno completamente presente ma in via di costruzione: quanto più gli uomini accolgono Gesù e il suo messaggio, tanto più i segni della presenza del regno dei cieli diventano riconoscibili. “Convertitevi”, allora, significa ‘accorgetevene’, ‘sapevatelo’, si direbbe oggi; giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. La notizia bellissima è questa: Dio è all’opera per guarire la tristezza e il disamore del mondo e ogni strada del mondo è Galilea. La conversione non nasce dalla paura di essere condannati dal giudizio di Dio, ma dalla bellezza del progetto finalmente realizzabile. La gioia nel cuore del discepolo è la naturale conseguenza: la vita ha finalmente un senso compiuto e l’uomo può dedicare tutta la sua vita per collaborare alla costruzione del regno dei cieli. L’esito felice del progetto è assicurato da Gesù. La prima e fondamentale conversione consiste proprio nel fidarsi di Lui e della Sua lieta novella. Chi non crede alla vicinanza del regno di Dio inevitabilmente si rassegna ad una vita mediocre e senza senso. Se l’invito alla conversione per vedere il regno dei cieli, e farne parte, è rivolto a tutti, non tutti però hanno lo stesso compito. Alcune persone sono chiamate a seguire Gesù più da vicino: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”. I dodici apostoli dopo la morte e la risurrezione di Gesù, avranno il compito di guidare le comunità cristiane nella custodia e nella diffusione del Vangelo. Non si tratta di un compito più importante degli altri, ma di un servizio indispensabile perché tutti possano essere discepoli. Quel rabbi ci mette a disposizione un tesoro di vita e di amore, un tesoro che non inganna, che non delude. Ascoltarlo è sentire che la felicità non è una chimera, è possibile, anzi è vicina. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: II domenica del tempo ordinario | Vangelo (Gv 1,29-34)

12 Gennaio 2023 - Il Vangelo domenicale del tempo ordinario riparte dalle parole del Battista che indica in Gesù “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. Quale peccato? L’errore di bersaglio compiuto da tutta l’umanità: creata, ‘vocata’ a vivere in un modo, essa vive un perenne ‘fuori bersaglio’ accumulando sbagli e debiti. Quale Agnello? Non un Dio giudice e carnefice, come spesso viene riconosciuta la divinità, ma un innocente, un non violento, mite ed amante di coloro per cui è venuto a pagare i danni prodotti e l’enormità del debito contratto in ogni errore di bersaglio. Giovanni è consapevole che Gesù ha il potere di salvare il mondo e liberare l’uomo da ogni male, malattia, infermità, morte e schiavitù per condurlo alla pace; ma sa anche che Gesù compirà il suo mandato in modo del tutto inatteso e imprevisto. Gesù, il Messia e il Salvatore, userà sempre e solo le ‘armi’ dell’Agnello: l’amore, la compassione, la misericordia, la mitezza e la dolcezza. E questo per Giovanni umanamente non sarà affatto un vantaggio: in quella consapevolezza, ammette che l’Agnello che sta indicando non combatterà con forza e con violenza nemmeno contro il potere e le ingiustizie che causeranno la sua decapitazione … Provvederà anche a lui ma non nel modo che la mente o la paura umana si aspettano. Giovanni sperimenta la Sua potenza liberatoria ma anche l’assoluta divina imprevedibilità che non lo liberano dalle catene della prigionia e della decapitazione. Il Vangelo di oggi è ad un tempo annuncio e atto di fede. Parole e gesti. Giovanni accetta per davvero di essere parte vera, costi quel che costi, di quel Regno che le sue parole inaugurano. Gesù sa che fino a quando la testa di Giovanni sarà al suo posto, sarà possibile per gli uomini conoscere il più grande tra i nati di donna e ascoltare l’annuncio del precursore; ma sa anche che la testa di Giovanni sul vassoio di Erodiade, manifesterà la gloria di Dio e sarà la semina feconda del Regno di Dio di cui Giovanni, e con lui tutti coloro che stanno affondando, che naufragano in mare o nell’anonimato di un’esistenza ai margini e che soffrono le conseguenze del peccato, sono parte integrante. Ecco l’Agnello di Dio: imprevedibile, certo; ma Salvatore per davvero! (p. Gaetano Saracino)      

Vangelo Migrante: Solennità dell’Epifania del Signore

4 Gennaio 2023 - Il Vangelo racconta la ricerca di Dio come un viaggio, al ritmo di una carovana, al passo di una piccola comunità: si cammina insieme, non solo attenti alle stelle ma anche attenti l’uno all’altro. Fissando il cielo e insieme gli occhi di chi cammina a fianco, rallentando il passo sulla misura dell’altro, di chi fa più fatica. Come quello dei Magi, il cammino di ogni comunità può essere pieno di errori: perdono la stella, trovano la grande città anziché il piccolo villaggio; chiedono del bambino a un assassino di bambini; cercano una reggia e troveranno una povera casa. Ma hanno l’infinita pazienza di ricominciare. Il dramma non è cadere ma arrendersi alle cadute. Allo stesso modo, una stella che sorge non indica soluzioni immediate ai problemi della vita ma intende suscitare nuovi inizi e nuovi cammini, anche nella notte più nera, dopo un fallimento o un pericolo. Ed ecco: videro il bambino in braccio alla madre, si prostrarono e offrirono doni. Il dono più prezioso che i Magi portano non è l'oro, l’incenso o la mirra ma è il loro stesso viaggio che permette di cercare e arrivare ad una luce che c’è. “Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra”, ripeteremo nel Salmo responsoriale. I Magi, e i nuovi popoli con loro, non sono già formati, indottrinati, perfetti ma sono popoli, comunità, persone in cammino che cercano e portano al Figlio di Dio la vita nel suo ‘migrare’. Il ‘tutto’ degli uomini è preceduto dal ‘tutto’ di Dio: la venuta di Dio è per tutti, la culla di Betlemme è per tutti, la mensa eucaristica è per tutti. Quel che conta non è arrivare prima ma arrivare tutti. I Magi sono la nostra possibile risposta al Natale del Signore! (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: Solennità di Maria Santissima Madre di Dio | Vangelo (Lc 2,16-21)

29 Dicembre 2022 - La festa cristiana che venera Maria Madre di Dio, suggerisce una meditazione su Maria che custodisce tutti gli avvenimenti straordinari e misteriosi della sua vita, meditandoli nel suo cuore, e in tal modo li strappa alla consunzione del tempo. La data del calendario civile, il primo giorno dell’anno, suggerisce una meditazione apparentemente di segno opposto: il tempo divide e disperde, il tempo fugge e inesorabilmente si porta via la nostra vita. Il passare degli anni rischia infatti di produrre una stanchezza progressiva, connessa all’incapacità di trovare un senso compiuto alla vita sempre insidiata dall’inarrestabile scorrere del tempo. Il tempo fugge e non puoi fermarlo. Lentamente rischia di uccidere ogni speranza e tutto diventa inutile e vano; praticamente un’attesa (più o meno lunga) del colpo finale: la morte. La ragione non vede altre vie. Nel Vangelo odierno si affaccia la risposta dell’intervento di Dio: dopo la nascita di Gesù, Giuseppe e Maria compiono un rito al tempio di Gerusalemme: “quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù”. Nella cultura semitica il nome ha una grande importanza in quanto esprime la realtà stessa della persona che lo porta. Il nome Gesù significa ‘Dio è salvatore’, ‘Dio salva’. In modo perfettamente appropriato, il nome Gesù esprime dunque il mistero del Dio che si è fatto uomo per salvarci. Mistero appena intravisto negli avvenimenti del Natale, mistero che Maria non pretende di capire subito in modo compiuto ma che serba nel suo cuore, così come accadrà per quelli successivi della vita del suo Figlio; dispone il suo cuore alla sequela e alla fine la verità, espressa nel nome del suo Figlio, diventerà per lei realtà luminosa. L’icona di Maria rappresenta la fede cristiana che conferma e soprattutto precisa che l’unico rimedio alla dispersione del tempo non è pretendere di capire subito e sempre tutto, ma innanzitutto nell’offrire a Dio tutto noi stessi e tutte le nostre opere. Da lì nasce la fiducia che in Gesù Cristo Dio ha rivelato definitivamente il suo volto e ci ha dato l’esempio luminoso ed impegnativo di quale sia l’unica strada per salvare la propria vita. Come Maria, anche noi in Gesù scopriremo il Dio che salva, il Dio che si è fatto presente nella storia ma che sta prima del tempo e oltre ogni tempo. È lui il Dio che raccoglie anche il più piccolo frammento della nostra vita, quando viene spesa per gli altri, per restituircelo bello, quanto neppure riusciamo ad immaginare. Fidiamoci di lui, come Maria, e ad ogni anno che passa capiremo qualcosa di più del tempo che scorre per portarci alla vita definitivamente ‘rialzata’: la vita eterna. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: IV domenica di Avvento | Vangelo (Mt 1,18-24)

15 Dicembre 2022 - A differenza di quanto spesso si sottolinea, il maggior turbamento di Giuseppe non nasce dal dubbio a proposito della fedeltà di Maria, ma dalla difficile comprensione di quale potesse essere il suo ruolo in una nascita tanto misteriosa. Il progetto divino rischia di essere compromesso dalla decisione di Giuseppe. Infatti egli, che è giusto, non può riconoscere una paternità alla quale non ha diritto. Per questo senza disonorare Maria vuole andarsene: la soluzione migliore e più giusta sarebbe quella di farsi da parte e lasciare che un evento tanto grande e misterioso facesse il suo corso senza di lui. Dio solo poteva condurre Giuseppe ad assumere una tale paternità; egli accetta per obbedienza il suo importantissimo compito paterno: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”. Giuseppe è giusto, cioè desidera solo che la sua vita sia vissuta nella fede e nell’obbedienza a Dio. È fedele nel seguire la volontà di Dio sia nel suo primo proposito di rinviare Maria, sia nell’accoglierla alla fine. E quindi riconosce in quel Figlio un dono fatto a lui e a tutta l’umanità, segno inequivocabile e definitivo dell’amore di Dio per ogni uomo. Con molto coraggio e molta umiltà, si dispone a collaborare a quel singolare progetto di salvezza: “Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”. Subito Giuseppe prende con sé Maria ed accetta di mettere al bimbo che sarebbe nato il nome Gesù. La sua grande fede semplice, riflessiva, silenziosa gli permette di conoscere la gioia immensa di essere lo sposo di Maria e il custode del Redentore. Maria dà il corpo a Gesù, ma Giuseppe, dandogli il suo nome, ne fa un essere sociale: lo introduce nella condizione umana. Attraverso di lui Gesù potrà radicarsi in un popolo, appartenere ad una discendenza, entrare in una tradizione, crescere sereno, imparare un mestiere. La vicenda di Giuseppe rende manifesta una verità che interessa ogni padre della terra: Padre vero, dall’origine e per sempre, è soltanto quello dei cieli. È necessario che tutti i padri della terra salgano fino al cielo per comprendere chi siano davvero i loro figli: sono tutti figli di quel Padre di cui Gesù svelerà finalmente il volto misericordioso e fedele. La gioia di Giuseppe è dunque la gioia che conosce ogni uomo che si fida di Dio. In particolare la sperimenta chi sa accogliere e riconoscere in ogni figlio un dono di Dio. In Gesù Dio ci ha visitati. Allo stesso modo, ogni uomo nuovo che arriva rinnova il segno che Dio non si è stufato di loro. Accoglierlo, è dire Amen! (p. Gaetano Seracino)  

Vangelo Migrante: II domenica di Avvento | Vangelo (Mt 3,1-12)

1 Dicembre 2022 - Fa il suo esordio la figura di Giovanni il Battista che annuncia la svolta radicale della storia umana: il Cristo sta per venire. L’imminente arrivo del regno di Dio è legato all’assoluta necessità della conversione: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”. La prima buona notizia è che Dio è vicino, è qui: Dio è accanto, a fianco, si stringe a tutto ciò che vive; come una rete raccoglie insieme, in armonia, il lupo e l’agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente (parola di Isaia), uomo e donna, arabo ed ebreo, musulmano e cristiano, bianco e nero. Il regno dei cieli è la terra come Dio la sogna, e in Gesù, incarnato, la realizza: si fa intimo come un pane nella bocca, una parola detta sul cuore, un respiro. Egli battezzerà in Spirito Santo e fuoco e chi si farà raggiungere cambierà vita, sarà immerso, avvolto, intriso, impregnato della vita stessa di Dio. Riconosce i segni della vicinanza e della presenza del regno dei cieli, solo chi ha nel cuore la fame e la sete della giustizia. Chi non sente nel cuore il desiderio grande e la nostalgia intensa di una vita più giusta e più fraterna, non può riconoscerlo ed accogliere il Suo regno. Proprio come quei farisei e sadducei a cui il Battista rivolge parole estremamente dure perché sa troppo bene che non sono disposti a cambiare vita: “razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente?” Vanno nel deserto spinti dalla curiosità, ma con la convinzione di non aver nessun peccato da confessare e nulla da dover cambiare. S’illudono di potersi sottrarre all’ira di Dio attraverso la pratica di un battesimo solo esteriore, al quale non corrisponde nessun proposito serio di cambiare vita. Spirito assai diffuso e pericoloso: più di quanto non si pensi. Ragion per cui le parole rivolte ad essi non possono non colpire la coscienza di ciascuno: “già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco”. Cosa vuol dire? Vuol dire che così come nella vita non si va avanti se uno non accetta dei tagli, delle perdite, delle potature allo stesso modo non si accoglie il regno dei cieli se non si è disposti ad eliminare tutto ciò che non è buono o è ambiguo. La prima forma di conversione è proprio il desiderio che il Signore arrivi con tutta la chiarezza e la bellezza che ha in sé; ma anche con la selettività che serve per liberarci dei rami stupidi e inutili della nostra vita. Non possiamo proprio fare a meno, allora, di una venuta che, come fuoco, bruci le nostre menzogne e ci liberi dalle perdite di tempo, dagli inganni, dalle trappole, liberi il mondo da tutto ciò che non è il bene. Essa avrà il volto della misericordia di Dio, che non vuole la morte del peccatore ma la sua conversione, e la forza dello Spirito che sostiene, illumina, rafforza. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrantes: 1 domenica di Avvento

25 Novembre 2022 -
Inizia un nuovo anno liturgico, tramite il tempo forte dell’Avvento siamo invitati a rivolgere la nostra attenzione verso le ultime realtà, riflettere intorno al destino della creazione e della vita di ciascuno di noi. Lo scopo di un’esistenza, può essere meglio compreso, solo nel momento in cui si ha presente il fine verso cui siamo incamminati. Vi è un potenziale rischio: avere lo sguardo basso, immerso nel vivere quotidiano, senza rendersi conto di quale sia il traguardo della vita. Qualcun altro invece, può essere ben consapevole che il nostro essere creature ha un termine, però non vuole pensarci, quasi a esorcizzare il momento. Il tempo dell’Avvento, soprattutto nella prima parte, ci dona delle indicazioni molto preziose, aiutandoci a comprendere che la nostra esistenza acquista sapore se consapevole di ciò che accadrà: è in base al fine che si prendono le misure del vivere. Questo tempo, che non va ridotto a una mera preparazione al Natale, ci insegna che la vita umana non ha una fine, bensì un fine, uno scopo: il mio incontro con Cristo luce del mondo. La corona d’avvento mi ricorda proprio questo aspetto, l’esistenza umana non va verso la morte intesa come oscurità, annullamento, ma verso la luce che è Cristo. Il fine si caratterizza come un ad-ventus: un appuntamento tra l’uomo e Gesù, infatti, mentre noi camminiamo incontro a Cristo, Lui a sua volta procede verso di noi. “E vide che era cosa buona e giusta” ci ricorda il libro della Genesi, e se così è, anch’io come creatura possiedo un senso che nasce dal Cristo che mi attende, mi salverà, mi condurrà con Lui. Andare incontro al “fine” non significa che stiamo camminando verso un futuro che accadrà, quest’ultimo non è scritto da nessuna parte, non siamo dei destinati, il Vangelo piuttosto desidera che ciascuno di noi si mobiliti su cosa fare, perché possiamo giungere ben preparati all’incontro con il Signore. Il tema predominante del Vangelo di oggi e dell’Avvento è il vegliare: la religione non è un oppio, non è una realtà in grado di chiuderti gli occhi e anestetizzarti dalla concretezza della vita, al contrario sostenendo che l’esistenza è un cammino, ti chiede di darle uno scopo: se sei ben conscio di dove stai andando, non perder tempo con il distrarti guardando il paesaggio. Vegliare: c’è un oltre che attendo, c’è un di più imparagonabile rispetto alle bellezze che nell’immediato l’occhio può osservare. Vegliare: la mia vita non trova il suo senso profondo, la motivazione del cammino in quello che è mortale come me, ma il fine è in Lui che mi sta venendo incontro, è l’eternità che viene per avvolgermi e farmi divenire luce. Stai attento a non inciampare. Il giorno dell’incontro non ci è dato saperlo perché ciascuno di noi non si culli sul tempo mancante o non entri nel panico quando esso si avvicina, vivi bene: ogni giorno può essere il giorno, tieni sempre aperti gli occhi. La tua fede assume sapore non in base al ruolo o alla classe sociale che hai acquistato su questa terra o sulle categorie umane che determinano il realizzarsi. Due persone possono svolgere il medesimo lavoro, avere lo stesso modello di vita, si determina però una differenza: vi è chi ama e chi invece “prende”, chi lavora per edificare il bene comune e chi invece si impadronisce delle cose, procurando sofferenza per il prossimo. Uno sarà preso e l’altro no, chi era consapevole del “fine” è accolto nell’eternità sperata, chi credeva di trovare senso nelle cose del mondo si dissolverà con esse. (Luca De Santis)

Vangelo Migrante: Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo| Vangelo (Lc 23,35-43)

17 Novembre 2022 - Che Dio è un Dio che muore? E per di più, di una morte infamante come la croce, maltrattato e deriso: ‘guardatelo, il Re!’ I più scandalizzati sono i devoti osservanti: “ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto”. Si scandalizzano i soldati, gli uomini forti; come a dire: ‘se sei il re, usa la forza!’ E per bocca di uno dei crocifissi, ritorna con prepotenza anche la tentazione del deserto: “non sei tu il Cristo? salva te stesso e noi”. Fino all’ultimo Gesù deve scegliere quale volto di Dio incarnare: quello di un messia di potere, secondo le attese di Israele, o quello di un Re che sta in mezzo ai suoi come colui che serve? Il messia dei miracoli e della onnipotenza, o quello della tenerezza e del perdono? E sceglie. Ce lo dice l’assassino che prova un moto compassione per Lui e vorrebbe difenderlo pur nella sua impotenza di inchiodato a morte. In risposta all’altro detrattore, urla: “non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?”. Egli vede Gesù nella loro stessa pena. Eccolo il Re: è dentro il nostro patire, è crocifisso in tutti i crocifissi della storia, naviga nel fiume di lacrime che scorre nel mondo, o tra le onde che solcano mari in cerca di approdo, entra nella morte perché là entra ogni figlio di Dio. E mostra come il primo dovere di chi ama è di essere insieme con l’amato. “Non ha fatto nulla di male!”: questo è Gesù! Niente di male, per nessuno, mai, solo bene, esclusivamente bene. E fa del bene fino alla fine: perdona, si preoccupa non di sé ma di chi gli muore accanto. Anche sull’orlo della morte, stabilisce un momento sublime di comunione che diventa via al cielo: “ricordati di me quando sarai nel tuo regno”, gli chiede uno dei due compagni di sventura. Gesù non solo si ricorda, ma lo porta via con sé, se lo carica sulle spalle, come fa il pastore con la pecora perduta e ritrovata, perché sia più leggero l’ultimo tratto di strada verso casa: “oggi sarai con me in paradiso”. La salvezza è un regalo, non un merito. I re, per come li intende il mondo, la vita la chiedono ai sudditi. Mandano in guerra gli eserciti e garantiscono la vita di tutti salvando la propria! Per Gesù no: Lui è la Via e la fa con noi, la verità e la condivide con noi, la vita e ce la dona! Qualunque sia il nostro passato: questa è la Buona Notizia di Gesù Cristo, Re dell’Universo. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: XXXII Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 20,27-38)

3 Novembre 2022 - Dopo i farisei e gli scribi anche i sadducei sono avversari di Gesù. Aristocratici e conservatori in campo religioso e politico, conducevano una vita agiata. Ai loro occhi la fede nella resurrezione non era normativa, anzi doveva essere fermamente rifiutata. Presunzione e saccenteria stanno alla base della loro posizione teologica; ritengono, infatti, con una banale storiella di poter chiudere definitivamente tutti gli interrogativi relativi alla vita oltre la morte. Lo stravagante racconto secondo cui sette fratelli sposano in successione la stessa donna ha come unico obiettivo quello di screditare la fede nella risurrezione. Dal loro punto di vista, qualora si ammettesse la resurrezione, si avrebbe l’insolubile caso di una donna moglie di sette mariti. Il loro obiettivo non è certo quello di sapere chi sarà il marito di quella donna, ma quello di ridicolizzare e negare la risurrezione. Nel racconto, se da una parte stupisce la fermezza con cui negano la resurrezione, e la conseguente vita oltre la morte, dall’altra sono inequivocabili le parole di Gesù che smascherano le ragioni di tanta ostilità. Gesù, innanzitutto, rigetta il pregiudizio che la resurrezione sia semplicemente un rozzo prolungamento della vita terrena: “i figli di questo mondo prendono moglie e marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito”. La meta finale della speranza cristiana è la pienezza della vita dei figli di Dio: “infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio”. È proprio in forza di un’intima comunione con Dio che siamo strappati per sempre alla morte. E, quindi, si può rinunciare al matrimonio e agli affetti conseguenti per il regno di Dio, proprio perché questo mondo non è quello definitivo. Se con la morte finisse tutto sarebbe impensabile e assurdo rinunciarvi. Né deve sfuggire che solo i giusti sono giudicati degni della risurrezione per la vita: “quelli che sono giudicati degni”. Ora, i sadducei vivevano tenacemente aggrappati al presente e alle cose che si vedono, arrendendosi ad essere per sempre sconfitti dalla morte perché non disponibili a trasformare la loro vita e a renderla buona e giusta. Esiste una scintilla del divino deposta in noi. Ognuno deve però alimentarla, vivendo una vita buona e giusta. Non serve né negare la risurrezione e neppure limitarsi ad un vago desiderio di vita oltre la morte incapace di promuovere una vita buona. Gesù non intende dare informazioni precise sull’aldilà, sulle modalità della risurrezione, ma afferma in modo perentorio la fede nel Dio vivente capace di produrre opere buone in vita e più forte della morte stessa. Il desiderio di immortalità è ben espresso in un passaggio molto efficace tratto dai Demoni di Fedor Dostoevskij: “La mia immortalità è indispensabile perché Dio non vorrà commettere un’iniquità e spegnere del tutto il fuoco d’amore ch’egli ha acceso per lui nel mio cuore. […] Io ho cominciato ad amarlo e mi sono rallegrato del suo amore deposto in me come una scintilla divina. Come è possibile che Lui spenga me e la gioia e ci converta in zero? Se c’è Dio, anch’io sono immortale”. Il racconto è posto quasi al termine del cammino terreno di Gesù. Quello che ci consegna è decisivo: fidarsi di Dio in modo incondizionato, compiere ogni giorno la sua volontà e produrre frutti di bene e di giustizia, sostenuti dalla speranza certa di essere in cammino verso la vita piena e definitiva: una vita che certamente non deluderà. (p. Gaetano Saracino)