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Don Bruno Nicolini: 10 anni fa la morte di uno dei pionieri della pastorale dei rom e sinti

16 Agosto 2022 - Roma - Ricorrono domani, 17 agosto, dieci anni dalla morte di don Bruno Nicolini, uno dei sacerdoti pionieri nella pastorale con il mondo dei rom. Aveva 85 anni e aveva dedicato a questo mondo oltre 50 anni della sua vita. Fin dal lontano 1958, infatti, quando vice parroco a Bolzano, aveva iniziato ad occuparsi dei Rom e Sinti nella sua diocesi. Qui aveva fondato l’Opera Nomadi. Fu chiamato a Roma da Papa Paolo VI per continuare ad occuparsi della pastorale dei Rom nella diocesi capitolina nel 1964 dove aveva preparato, nello spirito del Concilio Vaticano II, il primo grande incontro europeo tra il popolo Rom e Papa Paolo VI, a Pomezia nel 1965. Ha creato il Centro Studi Zingari, punto di riferimento culturale per molti per la comprensione della lunga storia dei Rom in Europa. Dalla fine degli anni ’80 è stato responsabile per la Diocesi di Roma della cappellania per la pastorale dei Rom e Sinti. “Con la morte di don Bruno Nicolini i rom hanno perso un padre e un amico, la Chiesa in Italia un pastore attento a riconoscere e tutelare il popolo rom, la Migrantes un collaboratore fedele e intelligente fino agli ultimi incontri degli operatori rom e sinti nei mesi scorsi”, dice oggi il presidente della Commissione Cei per le Migrazioni e della Fondazione Migrantes, mons. Gian Carlo Perego. Don Nicolini – ha aggiunto il presule - è stato “un protagonista della nuova stagione conciliare della Chiesa, aiutando a sentire i rom ‘di casa nella Chiesa’, valorizzando percorsi di giustizia e di cittadinanza dei rom attraverso l’Opera Nomadi da lui fondata e la conoscenza storica e culturale del popolo rom attraverso il Centro Studi zingari, fondato con Mirella Karpati”. I funerali si sono svolti il 18 agosto di dieci anni fa nella Basilica di Santa Maria in Trastevere presieduti dall’attuale presidente della Cei, il card. Matteo Zuppi che nell’omelia ha  sottolineato che il sacerdote nella sua vita “si è fatto nomade. Ha camminato molto, in tanti modi. Si è messo in viaggio con attenzione intelligente e libera, appassionata e profonda; con una carità esigente, mai pigra e soddisfatta di sé, sempre, sempre alla ricerca, inquieta perché innamorata. Ha amato quanto Gesù e la Chiesa stessa il popolo dei rom e dei sinti”. “In questo giorno lo accogliamo in questa casa di amore, dedicata all’Assunta, dove ha celebrato, quando i suoi passi si erano fatti lenti e incerti, negli ultimi anni, il giorno del Signore”, ha aggiunto l’allora vescovo ausiliare Zuppi ripercorrendo la vita del sacerdote che ha trascorso gli ultimi anni in una casa della Comunità di Sant’Egidio: “lo accompagniamo con molto affetto nell’ultimo tratto del suo cammino. Peraltro morto nel giorno della memoria di san Rocco, santo pellegrino, che superava anche la frontiera più difficile, quella che allontana dalla sofferenza e dalla malattia. Bruno ha cercato di superare la frontiera del pregiudizio”. Di mons. Nicolini il card. Zuppi  ha ricordato, nell'omelia per i funerali di dieci anni fa, il dialogo con le istituzioni sempre improntato “alla ricerca di soluzioni giuste e soprattutto durature e rispettose della dignità della persona”, anche se “non possiamo non constatare come incredibilmente, ed è un’amarezza e anche una promessa a don Bruno, la condizione dei rom è ancora tanto lontana da condizioni minime di rispetto” a causa di scarsa determinazione e lungimiranza, “come se occuparsi di rom sia una concessione mal sopportata e non un diritto da garantire”. Per  Zuppi il sacerdote ha lasciato “la passione per la Chiesa, per il Vangelo e per gli ultimi. E gli zingari purtroppo sono spesso gli ultimi perché in molti casi nei confronti degli zingari il pregiudizio è forte. Noi, ci insegna don Bruno, dobbiamo amare i poveri per quello che sono, il Signore ci chiede di amare i poveri e di riconoscere i fratelli più piccoli, senza chiedergli né certificati penali né certificati fiscali né certificati di bontà o di cattiveria, bisogna volergli bene e basta. In don Bruno dobbiamo riconoscere un testimone che ci ha insegnato e ci ha aiutato ad amare e a conoscere e anche a valorizzare la grande tradizione, la grande cultura dei Rom". (R.Iaria)          

Rom e sinti: una mostra sull’olocausto a Bratislava. All’inaugurazione l’ambasciatrice italiana

4 Agosto 2022 -
Bratislava - In occasione della Giornata di commemorazione delle vittime dell’Olocausto dei Rom, l’Ambasciatrice italiana a Bratislava, Catherine Flumiani, ha partecipato all’inaugurazione di una mostra sulle persecuzione dei Rom durante la Seconda Guerra Mondiale ospitata dal Museo dell’Olocausto di Sered. Assieme alle autorità slovacche e membri del corpo diplomatico presenti ha visitato il nuovo allestimento, le cui finalità sono state illustrate dal Direttore del Museo Martin Korcok e dal curatore della mostra Matej Beranek e che offre al pubblico numerose testimonianze, documenti e materiale fotografico. Sono state altresì presentate attività di volontariato da parte di alcuni ragazzi della comunità Rom in Slovacchia.

Caritas-Migrantes Latina su “Campo Rom Al Karama”

3 Agosto 2022 - Latina - Ad un mese dall’incendio del campo rom Al Karama di Latina una nota degli uffici Caritas e Migrantes della diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno circa la situazione che vivono oggi gli sfollati e dei piani futuri per la loro sistemazione. Da anni le persone abitanti nel campo nomadi di Borgo Montello sono seguite dai volontari Caritas e Migrantes della diocesi laziale  i quali si sono attivati anche nell’immediatezza dello sgombero del campo a seguito dell’incendio continuando ad assistere gli sfollati nell’attuale allocazione presso il Polo fieristico Ex Rossi Sud. «A un mese dall’incendio che, lo scorso 2 luglio, ha distrutto il cosiddetto “campo rom di Al Karama”, una nota dell’Associazione 21 luglio, che da anni svolge attività di analisi e studio sulle condizioni delle comunità rom in emergenza abitativa nel nostro Paese e sulle politiche a loro rivolte, sottolinea di nuovo e con forza la necessità che la riflessione si allarghi, fino a toccare la vera questione, che Caritas e Migrantes della diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno  pongono da sempre: cioè se quella sistemazione, in un “campo”, dislocato ai margini del territorio comunale, in una situazione di completa emarginazione, ben distante dagli occhi e dai cuori di tutti, sia dignitosa, rispettosa cioè della dignità di quelle persone, neonati, minori, anziani, donne e uomini, costretti a vivere in un “ghetto”. Di questo infatti si tratta, per il pensiero che c’è dietro, per come il campo viene trattato e vissuto, e per l’immaginario collettivo», si legge nella nota dei due uffici: "eppure, quando per quel luogo si scelse un nome, tanti anni fa (era il tempo dell’attuazione della Legge Martelli, sull’immigrazione, e sembrava dovesse essere il fiore all’occhiello per l’accoglienza degli immigrati), si optò per Al Karama, termine arabo che vuol dire “dignità”. Ma pochi immigrati hanno goduto di dignità in quel luogo, abbandonato dopo pochi anni, con uno sperpero enorme di denaro pubblico. Sicuramente – la dignità – non l’hanno trovata le famiglie rom che fino ad oggi l’hanno utilizzato come un rifugio. Un rifugio oggi diventato una trappola, che il 2 luglio ha rischiato di essere letale e da cui ora le stesse famiglie rom devono tenersi alla larga». Caritas e Migrantes, facendo proprie le preoccupazioni e le attese delle persone di Al Karama, e anche dei tanti volontari e cittadini che le hanno seguite e sostenute negli anni (e lo fanno ancora oggi nell’area ex-Rossi Sud), chiedono che «la politica faccia la sua parte, mettendo fine, una volta per tutte, alle lungaggini burocratiche, alle decisioni rinviate, ai protocolli mai realizzati. E invitano i futuri decisori della città a mettere le persone di Al Karama al centro di un confronto onesto, aperto e chiaro, che è l’unica possibilità concreta per superare definitivamente il concetto stesso di “campo”».  

Migrantes: 2 agosto, la memoria come sguardo sull’attualità

2 Agosto 2022 - Roma - Il 2 agosto di ogni anno è diventata la Giornata della memoria dell'olocausto dei rom e dei sinti. Le legge antirazziali hanno colpito anche le persone e famiglie rom e sinte, portando alla morte nei lager almeno 500.000 persone rom e sinti, tra cui molti bambini. La memoria ha sempre uno sguardo all'attualità ed oggi anche ad ogni forma di violenza, di disprezzo, di abbandono, di umiliazione delle persone e famiglie rom e sinte. Il loro stile di vita, che talora ci provoca per l'essenzialità, il senso della provvisorietà, è motivo di riflessione e contestazione sul nostro stile di vita. L'amore alla famiglia, alla vita, ai piccoli e agli anziani forse ha qualcosa da insegnare alle nostre famiglie e alle nostre città.  È un giorno, il 2 agosto, che ricorda fino a che punto possa arrivare il disprezzo per un altro uomo, di un'altra religione o minoranza, per essere vigili affinchè non ritorni in altre forme di violenza e disumanità nelle nostre città. È un giorno per ricordare e riflettere, ma anche per impegnarci per un mondo fraterno, dove non esistono più minoranze - come ci ricorda Papa Francesco nell'enciclica Fratelli tutti - ma uomini e donne in cammino insieme nella storia. (Mons. Gian Carlo Perego - Presidete Cemi e Fondazione Migrantes)

Rom e sinti: Commissione Ue, “non dimentichiamo la loro persecuzione durante l’Olocausto né chiudiamo gli occhi di fronte alle discriminazioni di oggi”

2 Agosto 2022 - Roma - “Nella Giornata europea della memoria dell’Olocausto dei Rom, commemoriamo le centinaia di migliaia di vittime Rom dell’Olocausto che hanno sofferto e sono state uccise sotto il regime nazista”. Lo dichiarano in una nota congiunta la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, la vicepresidente Vera Jourova e la commissaria Ue Helena Dalli. “Non dimenticheremo mai la persecuzione dei Rom durante l’Olocausto. Non possiamo nemmeno chiudere gli occhi di fronte alle sfide e alle discriminazioni che la minoranza Rom deve ancora affrontare”, aggiungono. “Lavoriamo a stretto contatto con i nostri Stati membri per combattere l’antiziganismo. Quest’anno presenteremo una prima valutazione delle strategie nazionali per i Rom. Nella nostra Unione, ci impegniamo per l’apertura, la tolleranza e il rispetto della dignità umana per tutte le persone. Solo con questo spirito possiamo combattere il razzismo e la discriminazione”, concludono. Oggi, 2 agosto, la commissaria Dalli visiterà il campo di concentramento nazista di Auschwitz-Birkenau. Dalli incontrerà un gruppo di giovani, molti ucraini e i sopravvissuti dell’Olocausto con l’obiettivo di mantenere viva la memoria.  

Rom e sinti: è morta sr. Mercedes Amostegui

25 Luglio 2022 - Roma - Si è spenta ieri suor Mercedes Amostegui delle Suore Francescane Missionarie di Maria. E’ morta a Pamplona, in Spagna, dove era nata. Intenso nella sua vita l’impegno pastorale a fianco dei rom e sinti e molto vicina all’attività della Fondazione Migrantes insieme all’impegno delle sue consorelle. “Noi della Comunità di Sant’Egidio abbiamo conosciuto a Roma le suore Francescane Missionarie di Maria, quando erano accampate nel quartiere di Tor Bella Monaca, all’inizio degli anni Ottanta. Le Suore si fermavano spesso con i Sinti e con alcuni Rom Xoraxane, condividendo in modo semplice e concreto la loro vita quotidiana, vivendo con loro nell’ascolto e nella condivisione”, ricorda oggi Susanna Placidi della Comunità di Sant’Egidio. Stare con gli zingari -  diceva sr. Mercede durante sun convegno, nel 1990 promosso dal Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti – “è una risposta al Vangelo che viviamo come Missionarie, pronte ad andare ovunque e a tutti per annunciare la salvezza, siamo inviate come priorità a coloro ai quali Cristo non è rivelato e a coloro tra i quali la Chiesa è meno presente… Desideriamo porci sulla linea dell’’Ultimo’ tentando di concretizzare la Parola: ‘Ultimo tra gli ultimi’, vivendo in carovana con la presenza di Cristo Eucarestia. Per noi l’evangelizzazione è fuori del tempo, fuori da schemi, fuori da programmi, essere Chiesa in mezzo ai Rom, cogliendo le occasioni offerte dalla vita quotidiana perché possano conoscere Dio e la sua Provvidenza che salva. Stabilire soprattutto un’amicizia nell’ascolto. Giorno per giorno in una dimensione di Fede che è Luce, Faro, forza alla nostra vita insignificante, ma cristianamente vera”. “Ricordiamo – ci dice Susanna Placidi -  con affetto tanti momenti vissuti insieme di preghiera e di amicizia con i Rom come quando Giovanni Paolo II venne a visitare i Rom accampati a Tor Bella Monaca, ma anche nei momenti bui degli sgomberi romani e nelle messe di Natale con i Sinti nei quartieri della periferia romana”, insieme a don Matteo Zuppi, oggi arcivescovo di Bologna, cardinale e presidente della Cei: “una presenza sempre vicina, silenziosa e attenta ai piccoli, fedele al Vangelo e pronta all’amicizia e all’ascolto. La accompagniamo con la nostra preghiera, che il Signore la accolga come donna di fede, appassionata al popolo Rom e Sinto, riposi in pace”. La Fondazione Migrantes ricorda questo impegno di sr. Mercedes e la affida al Padre ringraziando il Signore “per avercela donata” e come esempio di vicinanza a chi è più povero ed indifeso.

Bologna accoglie rom e sinti da 600 anni: una targa a Porta Galliera

18 Luglio 2022 -
Il testo scelto per la targa commemorativa, informa l'agenzia Dire -  è quello della cronaca Rampona che, assieme alla cronaca Varignana: entrambe sono conservate tra i codici della Biblioteca universitaria di Bologna in via Zamboni 33-35, a Palazzo Poggi, e per il momento restano le prime testimonianze della presenza romanì in Italia. La 'festa' per i 600 anni continuerà sabato e domenica, con un programma di iniziative promosse dalle associazioni di riferimento. Ricorda intervenendo alla cerimonia di oggi Tomas Fulli, 43enne sinto bolognese presidente dell'associazione Mirs-Mediatori interculturali rom e sinti: "Quando ancora qualcuno ci dice 'andate a casa vostra", noi rispondiamo che ci siamo già da tanto tempo. Veniamo messi al muro per mancanza di conoscenza, più che altro. Ringraziamo allora associazioni, Comune e Regione per il loro aiuto e per il loro lavoro".

Rom e sinti: l’ambulatorio mobile del Bambino Gesù nei campi

8 Giugno 2022 - Roma - “Dal 2016, con costanza e fedeltà, andiamo tutte le settimane in quattro campi rom: Salone, Castel Romano, Candoni e Salviati. Non siamo partiti in contemporanea con tutti, anche perché per ciascuno è stato un inserimento difficile. E proprio la costanza ci ha premiati perché dall’inizio dell’attività ad oggi abbiamo riscontrato un miglioramento del concetto di salute, prendendo in considerazione l’adesione al programma diagnostico e di cura (programmazione di visite specialistiche, indagini strumentali e day hospital) che per le famiglie del campo di Castel Romano è passata dal 25% al 62%. Questo ha significato la riduzione delle visite mancate e il completamento dell’iter diagnostico e terapeutico in un numero maggiore di casi. È un dato molto importante che ci dice due cose: che gli abitanti dei campi hanno imparato a fidarsi di noi e a utilizzare il servizio nel modo corretto, il che ha come conseguenza una forte riduzione delle visite mancate”. A illustrare i risultati di questi 6 anni di attività dell’ambulatorio mobile dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, attivo dal 2016 in quattro campi rom della capitale, la responsabile del servizio Rosaria Giampaolo. “Un risultato non scontato, l’aumento della percentuale di visite effettuate - tiene a chiarire - se pensiamo anche che molte di queste persone non hanno possibilità di muoversi in automobile e, ad esempio, nel caso di Castel Romano per poter raggiungere il campo devono fare lunghi giri in autobus e poi percorrere tratti a piedi anche superiori al chilometro. È evidente che in queste condizioni non sia facile aderire a un programma di visite mediche”. Gli operatori dell’ambulatorio mobile, infatti, non si limitano solo a trattare i casi nell’immediato, nel giorno della settimana in cui vanno. “Come attività prettamente ambulatoriale - spiega la pediatra - curiamo le bronchiti, le dissenterie o le influenze, insomma trattiamo le urgenze. Ma poi assistiamo queste persone anche nelle prenotazioni delle visite, qualora emerga la necessità di un percorso diagnostico”. Riguardo alle patologie più diffuse tra i bambini che vivono nei campi rom, “non ne abbiamo mai riscontrate di specifiche, ma di sicuro alcune legate alle condizioni igieniche dei campi che sono delle realtà difficili. Prevalgono le infezioni cutanee, le impetigini o i parassiti. Molto presente, invece, è la malnutrizione, perché tanti di loro hanno davvero difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena”. Gli operatori sanitari del Bambini Gesù non si fermano all’attività clinica e al supporto per le pratiche burocratiche legate alla sanità, sono impegnati anche in un importante lavoro di supporto psicologico, di sostegno all’integrazione sociale degli abitanti dei campi e alla scolarizzazione di bambini e ragazzi, principalmente attraverso il rilascio dei certificati per la riammissione dopo la malattia: “Cerchiamo di far andare i bambini a scuola, anche grazie all’importante lavoro della comunità di Sant’Egidio.  Sproniamo i più piccoli, ma ci occupiamo anche di educare i genitori rispetto all’importanza dell’andare a scuola, perché per le molte difficoltà e anche per una questione culturale sono più permissivi sul non mandare i bambini. Ci occupiamo anche tanto di stimolare l’autostima che questi bambini non hanno per niente, si sentono diversi dai loro compagni, si sentono discriminati. Abbiamo fatto fare anche delle valutazioni di tipo cognitivo. Il nostro impegno è non fermarci solo all’aspetto acuto”. Non manca, infine, il lavoro di prevenzione, “ad esempio rispetto all’igiene delle mani e all’uso della soluzione alcolica che non può bastare se le mani sono troppo sporche. Cerchiamo di sensibilizzare sia i piccoli che i grandi anche sull’uso del cellulare e sui suoi rischi. Aiutiamo le famiglie anche a districarsi nel mondo della burocrazia, per chiedere una tessera sanitaria scaduta o per ottenere un’esenzione. Fa parte della promozione umana di queste persone che- conclude Rosaria Giampaolo- devono essere come gli altri, devono sapere come esercitare i propri diritti ed essere messi in condizioni di farlo”. (Dire)  

Mons. Prastaro a convegno Migrantes: il superamento delle baraccopoli astigiane rappresenta “un obiettivo alla portata della città di Asti”.

16 Maggio 2022 - Asti - Si è svolto presso il Seminario Vescovile di Asti il Convegno dal titolo “Superare le baraccopoli di Asti. Una proposta, un impegno”, organizzato dall’Ufficio Migrantes della diocesi  di Asti. Nel corso dell’evento è stato presentato un documento redatto dall’Associazione 21 luglio di Roma che, come riportato nella sua introduzione dal vescovo di Asti, mons. Marco Prastaro, “sono lieto di consegnare a chi sarà chiamato ad amministrare la città di Asti nei prossimi anni, ai tecnici comunali, agli operatori socio-assistenziali e sanitari, agli insegnanti, alle realtà associative e di volontariato, alle parrocchie e a tutta la cittadinanza». Così come riportato nel rapporto, in Italia si registra la presenza di 45 baraccopoli abitate da circa 7.100 persone identificate come rom e di 67 baraccopoli dove risiedono circa 4.800 persone riconosciute come di origini sinte. il 70% è rappresentato da cittadini con nazionalità italiane, il 25% di origine jugoslava con differente status giuridico e il 5% con cittadinanza rumena. Il 55% del totale è rappresentato da minori. In Piemonte gli insediamenti formali abitati da rom e sinti sono presenti nei Comuni di Cuneo (1), Villafalletto (1), Pinerolo (1), Alba (1), San Damiano d’Asti (1), Torino (3), Carmagnola (3), Asti (3), Collegno (1). Differenti ricerche dimostrano come nascere e vivere in una baraccopoli formale “condiziona fortemente il benessere interiore e influenza quello della propria famiglia. Il prezzo più alto è sicuramente pagato dall’infanzia, la cui vita dentro una baraccopoli appare imprigionata in un ascensore sociale bloccato, dove il primo diritto ad essere infranto è quello di sognare un futuro differente da quello dei propri genitori”, si legge in una nota. In Italia nascere in una baraccopoli significa “avere un’aspettativa di vita di 10 anni inferiore rispetto al resto della cittadinanza; avere solo una possibilità su 4 di concludere il ciclo scolastico obbligatorio; rispetto a un coetaneo non rom avere 40 volte in più la probabilità di essere allontanato dalla propria famiglia per essere dichiarato adottabile; incorrere in un matrimonio precoce; restare vittima delle cosiddette ‘malattie della povertà’”. Negli ultimi anni sono state diverse le Amministrazioni Comunali italiane che hanno iniziato a maturare al loro interno una riflessione sulla necessità di superare le baraccopoli rom e sinte presenti sul proprio territorio e a misurarsi con interventi messi in atto a questo scopo. Dal 2018 ad oggi sono ben 26 gli insediamenti che sono stati chiusi o superati. Attualmente sono 21 quelli nei quali sono attivi processi di superamento con risultati parziali differenti. All’interno del Comune di Asti insistono da decenni 3 baraccopoli abitate da un totale di quasi 300 persone: la baraccopoli di Via Guerra, 36, nata nel 1992 e abitata da circa 109 persone identificate come rom; la baraccopoli di via Guerra, 27, nata nel 1991 e abitata da circa 130 persone identificate come sinte; la baraccopoli sita in località Vallarone, nata nel 1988 e abitata da circa 45 persone identificate come sinte. Lo studio presentato da Associazione 21 luglio, si concentra sulla baraccopoli di Via Guerra, 36, proponendo modelli operativi che possono essere facilmente declinati sugli altri due insediamenti. Tale scelta – è stato ribadito - si fonda sul fatto che la suddetta baraccopoli prescelta è stata oggetto di tentativi di superamento avviati dalla passata Amministrazione Comunale e pertanto risulta auspicabile portare a compimento, pur cambiando approccio, le azioni già promosse nel passato. L’intervento proposto da Associazione 21 luglio, scandito in 6 fasi, potrà “spalancare nuovi orizzonti di prassi politica sul territorio di Asti, ispirandosi a diversi modelli di progettazione partecipata tra cui la metodologia Romact, programma di sviluppo voluto dal Consiglio d’Europa e dalla Commissione Europea nel 2013 e le pratiche previste dal Community organizing”. Si tratta di metodologie che si sta sperimentando in diverse città italiane e che l’associazione romana sta disseminando presso sempre più numerose amministrazioni. Essa si fonda su un approccio partecipativo che vede il coinvolgimento della stessa comunità residente dell’insediamento, dei rappresentanti politici, delle figure tecniche operanti all’interno dell’Amministrazione, delle parrocchie, delle realtà associative, delle istituzioni scolastiche e sanitarie. Tali realtà, riunite in un Gruppo di Azione Locale, attraverso un percorso possono” elaborare un piano strategico di intervento dopo aver fotografato l’esistente. Prendere in carico tutte le famiglie negoziando e condividendo l’intervento; elaborare interventi di inclusione sociale complessi; predisporre un ventaglio variegato di soluzioni abitative; individuare la strategia operativa per una soluzione della problematica legata allo status giuridico dei residenti; individuare i fondi. Questi i principali nodi da sciogliere per l’avvio di azioni che potrebbero sicuramente consentire, nell’arco temporale pari al mandato della prossima Giunta chiamata a governare la città, di chiudere definitivamente la triste stagione delle baraccopoli”. Per fare ciò viene raccomandato nel rapporto, occorre “attivarsi da subito verso un riposizionamento retorico che abbandoni definitivamente la sottolineatura etnica e abbracci riflessioni sul vantaggio collettivo che si potrà avere, in termini economici e sociali, dal superamento delle 3 baraccopoli. Un obiettivo alla portata della città di Asti, da raggiungere per una questione di giustizia. “La nostra città – riporta nel testo mons. Prastaro - che in tante occasioni ha saputo mostrare il volto bello dell’accoglienza e dell’inclusione – la solidarietà nei confronti dei profughi ucraini è solo l’ultimo esempio in ordine di tempo –, non può che vivere come una ferita la precarietà e la marginalità sociale che caratterizzano la vita degli abitanti dei campi. Le pagine [del report ndr] ci offrono una diagnosi accurata e ci propongono dei validi strumenti per la cura e, senza dissimulare le proporzioni della sfida che ci attende, ci suggeriscono che andare ‘oltre il campo’ non è un’utopia, ma un obiettivo alla nostra portata”. Resta quindi fondamentale, conclude il vescovo, essere “sempre più consapevoli della responsabilità che abbiamo gli uni nei confronti degli altri, affinché sappiamo operare per garantire a tutti una vita dignitosa. Prima ancora di essere una questione di fede, è una questione di giustizia”.