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Lesbo: tutti sfollati dopo l’incendio

11 Settembre 2020 - Lesbo - Per terra, sull’erba o sull’asfalto, ai bordi della strada provinciale o nel parcheggio di un supermercato: gli abitanti di Moria mai avrebbero pensato potesse esistere una sistemazione peggiore di quella conosciuta dentro il campo più sovraffollato d’Europa. Si sbagliavano. Hanno passato all’aperto le prime due giornate dopo l’incendio infernale che martedì notte ha carbonizzato tre quarti della tendopoli per rifugiati più grande del continente. Ad appiccare il fuoco, pare ormai pressoché certo, sono stati gruppi di migranti, esasperati dal confinamento rigido e prolungato da coronavirus, ma anche dalle condizioni estreme che nell’hotspot si sopportavano da troppo tempo. Fino a ieri pomeriggio gli sfollati erano ancora quasi tutti per strada, senza accesso a servizi igienici e, per la maggior parte, senza viveri. Al tramonto, sono iniziati i primi trasferimenti. Le poche tende rimaste in piedi dopo il rogo di martedì erano state mangiate dalle fiamme in un secondo incendio e ieri in un terzo episodio. Giusto per essere sicuri che di Moria non resti più traccia. «La notte scorsa i poliziotti non ci hanno portato nemmeno un po’ d’acqua, hanno solo guardato i nostri bambini dormire al freddo» racconta Amina, 42 anni, ex professoressa di filosofia che ha passato gli ultimi sette mesi a Moria. È rimasta seduta per ore con il marito e i suoi cinque figli sotto un pergolato di una casa abbandonata. Insieme a lei, molte altre famiglie, in attesa su teli e materassini, le poche cose salvate dal fuoco, a pochi passi da uno dei posti di blocco della polizia greca: «Nessuno può passare, hanno lanciato lacrimogeni contro chi cercava di andare in città» racconta la donna, che non nasconde le difficoltà più intime della situazione che sta vivendo. «Non troviamo un posto dove potere andare al bagno». Né Amina né le persone con lei hanno avuto nulla da bere né da mangiare dagli operatori del campo. «Abbiamo visto solo polizia, nessuno delle autorità». È andata meglio a un altro folto gruppo di migranti che si è radunato nel parcheggio del supermercato Lidl, luogo molto frequentato dai migranti perché circa a metà strada tra Moria e la città di Mitilene. «Più della metà delle persone sfollate è rimasta senza assistenza né aiuti istituzionali, mentre ai gruppi che sono confluiti verso il supermercato è stato distribuito cibo» ha spiegato ieri sera Nawal Soufi, attivista italiana, al lavoro da molto tempo come operatrice umanitaria indipendente dentro l’hotspot. «Il problema è che la gente si è sparpagliata in diverse direzioni». Mentre eravamo in contatto con lei, ieri attorno alle 19, sono entrati nel parcheggio del supermercato i primi due autobus che, con ogni probabilità, hanno poi condotto i rifugiati nel porto di Sigri, a circa 100 chilometri dal capoluogo Mitilene. Lì, poco prima, era attraccato il traghetto Blue Star Chios che – insieme a due navi della Marina militare – dovrebbe ospitare temporaneamente 2mila sfollati. «Purtroppo non viene comunicato nulla ai rifugiati, come se non fosse loro diritto sapere quale sarà la loro sorte» dice Nawal Soufi. Altri ragazzi sono stati più fortunati: circa 400 adolescenti avrebbero già lasciato Lesbo in aereo e si troverebbero nella Grecia continentale. Al proposito, ieri, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron hanno concordato un piano per l’Ue con l’obiettivo di accogliere, dall’isola, circa 400 minori non accompagnati. E il premier Giuseppe Conte in serata ha fatto sapere che l’Italia darà una mano: «Affiancheremo l’iniziativa per i minori non accompagnati, ma in prospettiva dobbiamo evitare si possano ripetere episodi del genere». Anche l’Olanda del primo ministro Mark Rutte – finora molto freddo all’ipotesi di accettare richiedenti asilo dalla Grecia – ha annunciato che accoglierà 100 minori non accompagnati e famiglie con bambini. Le fiamme di Moria, che per un soffio non hanno provocato una strage, hanno fatto molto di più di tante denunce rimaste inascoltate nei cinque lunghi anni di patimenti fra le tende. (Francesca Ghirardelli – Avvenire)