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Papa Francesco: l’impatto della crisi sull’economia informale, che “spesso coinvolge i lavoratori migranti, è stato devastante”

21 Dicembre 2021 - Città del Vaticano - L’impatto della crisi sull’economia informale, che “spesso coinvolge i lavoratori migranti, è stato devastante”. Lo scrive oggi papa Francesco nel messaggio per la 55ma Giornata Mondiale della Pace che si celebrerà il prossimo 1 gennaio sul tema “Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro: strumenti per edificare una pace duratura”.  Molti migranti – scrive il Papa – “non sono riconosciuti dalle leggi nazionali, come se non esistessero; vivono in condizioni molto precarie per sé e per le loro famiglie, esposti a varie forme di schiavitù e privi di un sistema di welfare che li protegga. A ciò si aggiunga che attualmente solo un terzo della popolazione mondiale in età lavorativa gode di un sistema di protezione sociale, o può usufruirne solo in forme limitate. In molti Paesi crescono la violenza e la criminalità organizzata, soffocando la libertà e la dignità delle persone, avvelenando l’economia e impedendo che si sviluppi il bene comune. La risposta a questa situazione non può che passare attraverso un ampliamento delle opportunità di lavoro dignitoso”. La pandemia da Covid-19 – ha aggiunto papa Francesco nel messaggio presentato oggi nella sala Stampa della Santa Sede - ha “aggravato la situazione del mondo del lavoro, che stava già affrontando molteplici sfide. Milioni di attività economiche e produttive sono fallite; i lavoratori precari sono sempre più vulnerabili; molti di coloro che svolgono servizi essenziali sono ancor più nascosti alla coscienza pubblica e politica; l’istruzione a distanza ha in molti casi generato una regressione nell’apprendimento e nei percorsi scolastici. Inoltre, i giovani che si affacciano al mercato professionale e gli adulti caduti nella disoccupazione affrontano oggi prospettive drammatiche”. (Raffaele Iaria)

Sacerdoti, nel segno di Cristo

26 Aprile 2021 - Città del Vaticano -  “È il momento della vergogna”. Prega Papa Francesco per i 130 migranti morti in mare, che “per due giorni interi hanno pregato invano aiuto”; prega anche per quanti possono aiutare “ma preferiscono guardare da un’altra parte”. È un Regina caeli segnato dal dolore per queste vittime, che non vedranno mai le coste cercate e il futuro diverso; vittime di cui nessuno si è preso cura. Prega anche per gli 82 morti dell’ospedale covid a Baghdad. Gesù “conosce e ama” ognuno di noi, dice prima della recita della preghiera che in questo tempo di Pasqua, fino a Pentecoste, sostituisce l’Angelus; Gesù “ci conosce ad uno ad uno, non siamo degli anonimi per Lui, e il nostro nome gli è noto”. È la domenica in cui la Chiesa fa memoria del Buon Pastore. Ossia di colui che raccoglie e guida le pecore fino ad offrire la sua stessa vita. Domenica nella quale Francesco ordina nove sacerdoti in una basilica che torna ai tempi precedenti la pandemia: celebra all’altare della confessione e fedeli, tutti con la mascherina compresi gli ordinandi, occupano la navata centrale, nel rispetto delle norme anti Covid. Ai suoi preti, quando era arcivescovo di Buenos Aires, raccomandava misericordia, coraggio, porte aperte, e non si stancava di puntare il dito contro quella che chiamava e chiama “mondanizzazione spirituale”. Il buon pastore, diceva, è colui che sta in mezzo alla gente, “nelle periferie dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni”. C’è un “rifiuto di Dio da parte del mondo”, diceva Benedetto XVI celebrando la festa del Buon Pastore il 3 maggio 2009. E questo perché da un lato “non conosce Dio” e, dall’altro, “non vuole conoscerlo. Il mondo non vuole conoscere Dio e ascoltare i suoi ministri, perché questo lo metterebbe in crisi”. Il Buon Pastore, Gesù, è il “pastore vero”, dice papa Francesco, “ci difende sempre, ci salva in tante situazioni difficili, situazioni pericolose, mediante la luce della sua parola e la forza della sua presenza, che noi sperimentiamo sempre e, se vogliamo ascoltare, tutti i giorni”. Ci conosce, non siamo “massa” o “moltitudine”; “siamo persone uniche, ciascuno con la propria storia […] ciascuno con il proprio valore”. Conosce, Gesù “i nostri pregi e i nostri difetti, ed è sempre pronto a prendersi cura di noi, per sanare le piaghe dei nostri errori con l’abbondanza della sua misericordia”. Ai nuovi sacerdoti ha detto che l’ordinazione non è un passo verso la “carriera ecclesiastica”, ma è “un servizio, come quello che ha fatto Dio al suo popolo”; e che ha uno stile fatto di “vicinanza, compassione, tenerezza”. Vicinanza con Dio nella preghiera: “se uno non prega lo spirito si spegne”. Vicinanza con il vescovo, segno di unità, “anche nei momenti difficili”. Quindi vicinanza tra sacerdoti. Ma la più importante, per Francesco, è “la vicinanza al santo popolo di Dio”. Ricorda loro: “siete stati eletti, presi dal popolo. Non dimenticatevi da dove siete venuti: della vostra famiglia, del vostro popolo. Non perdete il fiuto del popolo di Dio”. Infine, ha detto loro di allontanarsi “dalla vanità, dall’orgoglio dei soldi. Il diavolo entra dalle tasche. Siate poveri, come povero è il santo popolo fedele di Dio. Poveri che amano i poveri”. Ha raccomandato loro di non essere “arrampicatori”. La “carriera ecclesiastica: poi diventi funzionario, e quando un sacerdote inizia a fare l’imprenditore, sia della parrocchia sia del collegio…, sia dove sia, perde quella vicinanza al popolo, perde quella povertà che lo rende simile a Cristo povero e crocifisso, e diventa l’imprenditore, il sacerdote imprenditore e non il servitore”. Ancora, li ha esortati a essere “sacerdoti di popolo, non chierici di Stato”, ma “pastori del santo popolo fedele di Dio. Pastori che vanno con il popolo di Dio: a volte davanti al gregge, a volte in mezzo o dietro, ma sempre lì, con il popolo di Dio”. Finita la celebrazione in basilica, c’è stato anche il tempo di un incontro segnato da un gesto di umiltà: papa Francesco si è chinato per baciare le mani a ognuno dei nove nuovi preti, chiedendo a uno di loro di benedirlo. (Fabio Zavattaro – Sir)  

Centro Astalli: l’emergenza sanitaria si abbatte sulle vite precarie dei rifugiati

20 Aprile 2021 - Roma - Il 2020, l'anno segnato dallo scoppio della pandemia da Covid-19, dal lockdown e dalle misure restrittive per arginare la diffusione dei contagi, ha registrato un aumento degli arrivi via mare di migranti in Italia (34mila), dopo due anni di diminuzione (23mila nel 2018 e 11mila nel 2019). Per molti migranti forzati la pandemia “non è quindi il peggiore dei mali da affrontare. Violenze, dittature, profonde ingiustizie sociali ed economiche costringono quasi 80 milioni di persone nel mondo a mettersi in cammino verso un paese sicuro”. E’ quanto sottolinea il Centro Astalli nel Rapporto Annuale presentato questa mattina.  Allo stesso tempo – scrive il centro per i rifugiati dei Gesuiti - però sono diminuite le richieste d'asilo in Italia: 28mila (contro le 43.783 del 2019). “Nonostante numeri decisamente bassi di arrivi rispetto al recente passato, il sistema di protezione fatica a rispondere efficacemente ai bisogni delle persone approdate nel 2020 o già presenti sul territorio”, evidenzia il Rapporto: in un anno di accompagnamento dei migranti forzati, complice la pandemia, il Centro Astalli ha registrato “un aumento degli ostacoli frapposti all’ottenimento di una protezione effettiva, un intensificarsi del disagio sociale e della marginalizzazione dei rifugiati”. Molte situazioni, già in equilibrio instabile, si sono trasformate in condizioni di grave povertà. Persone rese fragili da viaggi spesso drammatici che durano mesi o anni, si scontrano con normative e prassi dei singoli uffici non di rado discriminatorie, rendendo spesso le questioni burocratica un potenziale vicolo cieco. Non pochi davanti all’ennesima difficoltà rinunciano a far valere i loro diritti, convinti di non avere alcuna possibilità di vederli riconosciuti. La richiesta di servizi di bassa soglia (mensa, docce, pacchi alimentari, medicine) è forte su tutti i territori: si calcolano 3.500 utenti alla mensa  del Centro Astalli di Roma (tra cui 2.198 richiedenti o titolari di protezione) di questi più del 30% è senza dimora, in stato di grave bisogno e tra loro, per la prima volta dopo molti anni, hanno chiesto aiuto anche italiani. Più di 2.600 utenti si sono rivolti al centro diurno a Palermo. A Trento si è avuta la necessità di trasformare un dormitorio notturno per l’emergenza freddo in un servizio di accoglienza di bassa soglia con uno sportello di assistenza dedicato ai richiedenti asilo senza dimora. A Bologna è stato dato in gestione al Centro Astalli uno spazio in cui realizzare un dormitorio per richiedenti e rifugiati.  

L’integrazione al tempo del Covid: una sfida e un’opportunità

12 Aprile 2021 - Roma - Il Covid-19 non ha fermato l’impegno di Sophia Impresa Sociale nell’accompagnamento di giovani migranti in condizioni di vulnerabilità in un percorso che tocca tutti gli aspetti di una reale integrazione. In questo anno di pandemia, Sophia ha accolto dodici nuovi volti, raddoppiando il suo organico, e ha creato aree e metodi di lavoro per rispondere all’incertezza del presente senza sacrificare l’aspetto umano e relazionale. Lo “stop” forzato ha rappresentato un’occasione per rinnovare lo spirito di accoglienza e integrazione del progetto di accompagnamento al lavoro “Creare Valore Attraverso l’Integrazione” e del progetto educativo “Educare Senza Confini” sul tema dell’immigrazione. La solitudine e la paura dovute dall’attuale crisi sanitaria, hanno reso più difficile il percorso dei giovani migranti. Sophia si è fatta carico delle difficoltà incontrate da alcuni giovani migranti residenti a Roma, creando una rete di associazioni ed enti pronta ad assistere ciascuno dal punto di vista legale, sanitario, psicologico e soprattutto formativo, riuscendo a mantenere la relazione sempre viva attraverso tutti gli strumenti di comunicazione possibili, laddove i limiti delle restrizioni anticovid non permettevano l'incontro. Il colpo più duro inferto dalla pandemia è stato, senz'altro, la crisi del mercato del lavoro. Ma anche in questo caso Sophia ha saputo rispondere con responsabilità offrendo, e talvolta creando da zero, delle concrete opportunità lavorative: mentre formava i giovani ai mestieri artigianali - in seno al progetto” Creare Valore attraverso l'integrazione" - è riuscita, con il sostegno della campagna Liberi di Partire, Liberi di Restare della CEI, a creare una squadra capace di portare a termine diverse commesse di lavoro, per enti e aziende esterne. Oggi, un anno dopo, il team di “lavori artigianali” conta 10 giovani e almeno 5 commesse all’attivo. “I ragazzi hanno creato un gruppo solido che riesce a lavorare insieme in serenità e amicizia”, racconta Carlo, responsabile del progetto. Alcuni giovani impegnati nelle commesse artigianali, venuti a conoscenza dei progetti di educazione sul tema dell’immigrazione che Sophia promuove nelle scuole italiane ed estere, hanno espresso il desiderio di partecipare con le loro storie e testimonianze. Emblematico è il caso di Mamady, che Sophia ha integrato nel progetto "Educare Senza Confini”: quest’anno il progetto ha debuttato in Guinea, dove Mamady sta formando più di 700 studenti nelle scuole di Conakry. Parallelamente, nelle classi virtuali italiane, Sophia non ha mai smesso di portare agli studenti testimonianze, esperienze dirette e la verità sul tema dell'immigrazione, cavalcando anche la difficoltà della DAD: Sophia ha messo in piedi modalità interattive, giochi e sondaggi, per toccare il cuore dei giovani e portarli oltre i pregiudizi. Nei primi 3 mesi del 2021, alla sua sesta edizione, il progetto educativo è già arrivato a più di 1000 studenti italiani. "Ma è anche vero che una persona e un popolo sono fecondi solo se sanno integrare creativamente dentro di sé l’apertura agli altri.” (Enciclica Fratelli Tutti di Papa Francesco). Un motto che Sophia ha fatto proprio e che sta portando avanti nonostante tutte le difficoltà del momento presente. (A.C.)