Tag: Immigrati e rifugiati

Migranti morti a Borgo Mezzanone, mons. Pelvi: “sono lavoratori e vanno riconosciuti come persone”

24 Gennaio 2023 -

Foggia - Dopo la morte, la notte tra domenica e lunedì, di Ibrahim e Queen, una coppia di immigrati da Gambia e Ghana che abitavano nel “ghetto” di Borgo Mezzanone, nel foggiano, dove vivono in condizioni di degrado altri 1500 braccianti, il vescovo di Foggia-Bovino, mons. Enzo Pelvi lancia un appello: “Sono lavoratori, hanno bisogno dell’essenziale e di essere riconosciuti come persone”. E invita le Chiese cristiane “a ritrovarsi uniti nella carità” a partire da queste situazioni, cercando di “essere da stimolo e incoraggiamento alle istituzioni locali, per suggerire loro comportamenti virtuosi, perché le emergenze sono tante”. I due trentenni avevano acceso un braciere nella baracca per cercare di riscaldarsi ma sono morti a causa delle esalazioni di monossido di carbonio. “Ieri sera ci siamo riuniti per un incontro di preghiera con evangelici, battisti e ortodossi e cattolici – racconta al Sir monsignor Pelvi -. Il dolore per la morte di questi due giovani ci ha uniti come Chiesa, invitandoci ad assumere una condotta più coerente e a non voltare le spalle alle persone più fragili”. “Foggia non è solo un territorio con tanti problemi", ha aggiunto il presule: "Ci sono anche tanti sforzi e dedizione nella promozione della carità, si stanno creando delle reti virtuose. La carità a partire da un evento luttuoso può essere una strada verso l’ecumenismo" aggiungendo che come accaduto in passato la Chiesa foggiana si preoccuperà di essere vicina alle vittime. 

Commissione Ue: “contribuire a ridurre la migrazione irregolare e non sicura”

24 Gennaio 2023 -
Bruxelles - La Commissione europea propone una strategia per aumentare i “rimpatri efficaci” e accelerarne le procedure. Lo comunica la Commissione Ue in una nota. La strategia si articola in quattro punti: azioni mirate sulle esigenze immediate, comprese operazioni di rimpatrio congiunte in determinati Paesi terzi; accelerazione del processo di rimpatrio; promozione della consulenza e del reinserimento dei rimpatri; digitalizzazione della gestione dei rimpatri. Oggi la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, incontrerà la coordinatrice Ue per i rimpatri, Mari Juritsch. La strategia sarà discussa dal Consiglio informale Giustizia e affari interni che si svolgerà in settimana. Un sistema efficace e comune dell’Ue per i rimpatri è “un pilastro di sistemi di migrazione e asilo credibili e ben funzionanti, nonché dell’approccio globale del Nuovo Patto su migrazione e asilo”, sostiene la Commissione. Questo sistema per i rimpatri “dovrebbe anche servire da deterrente per contribuire a ridurre la migrazione irregolare e non sicura”, ha aggiunto l’Esecutivo Ue.

Due migranti intossicati in una baracca, Francescani secolari: “Nessuno sia considerato materiale di scarto” 

24 Gennaio 2023 - Roma - "È tempo di stare con questi fratelli, perché nessuno sia considerato materiale di scarto". E' l'appello che parte dalla rivista  dell’Ordine Francescano Secolare d’Italia, in seguito alla tragedia di ieri avvenuta nello slum di Borgo Mezzanone, nelle campagne del foggiano, dove due lavoratori immigrati africani hanno perso la vita, intossicati da un braciere. Il messaggio giunge, in particolare, da Roberto Ginese, francescano secolare di Foggia e delegato nazionale OFS presso il Forum delle Associazioni Familiari: "Ancora incendi, ancora morti in luoghi così spettrali, che per definirli è necessario far ricorso ad una terminologia del passato – ghetti, inferni, baraccopoli – eppure ancora tristemente presenti nella nostra terra e vicinissimi alla nostre moderne città del primo mondo. Qualcuno le definisce città fantasma, perché, come i fantasmi, sono realtà invisibili finché, in queste drammatiche circostanze, come colpite da un fascio di luci ad infrarossi, riappaiono all’improvviso e occupano spazi tra le pagine patinate di rotocalchi e nelle scarne note di cronaca; ma anche nei distratti commenti sui social e su qualche nostalgico stato di Whatsapp. Poi quel sapore amarognolo va velocemente dissolvendosi, la curiosità finisce, il ghetto ripiomba nel buio e nel freddo, e per illuminare e riscaldare si riaccendono impianti elettrici improvvisati e pericolosi e bracieri insalubri e mortiferi. E si va avanti così, fino alla prossima disgrazia".

Ginese è tra le persone che hanno sfidato paure, pregiudizi e sospetti e hanno iniziato a dare fiducia, a partire dal primo sconosciuto che chiedeva ospitalità, fino ai tanti, odierni, mendicanti di prossimità agli angoli di periferia. Con un frate francescano e un gruppo di francescani secolari, 36 anni fa ha contribuito a fondare la “Casa d’accoglienza Sant’Elisabetta d’Ungheria” struttura che nel 1986 ha avviato l’esperienza dell’accoglienza dedicata a persone indigenti, senza casa e senza sostentamento. Tra loro, fin dall'inizio vi furono, e vi sono ora, numerosi migranti con le loro famiglie, che vengono accompagnati nell’inserimento nel tessuto sociale, con la conoscenza della lingua, corsi di avviamento al lavoro, laboratori artigianali, tirocini  formativi. Alla rivista "Francesco il Volto Secolare" Ginese racconta cosa significhi la morte dei due immigrati, uomo e donna, nel quadro di una situazione di indifferenza, sfruttamento, emarginazione sociale: "Per chi ha avuto la fortuna, il desiderio, la grazia di essere condotto tra questi fratelli, di entrare nelle loro baracche di condividere un pezzetto della loro vita, la morte di Ibrahim e Queen è una tristezza infinita, una perdita enorme, un dolore senza tempo. Ma, insieme, è la conferma di una sola necessità: non si può rimanere indifferenti, non è umano non lasciarsi smuovere dalla tiepidezza salottiera, non è possibile non sentirsi interpellati da 'questo povero che grida'. È perfino indecente, per un cristiano, non provare a fare qualcosa per chi ci è evangelicamente prossimo. È tempo di usare misericordia, di “stare” con questi fratelli, per conoscere le situazioni, per sensibilizzare le coscienze, per spingere la promozione di norme giuste, per sollecitare interventi politici adeguati per cambiare ciò che non è giusto perché «nessun uomo sia oggi considerato materiale di scarto". Per Ginese è "tempo di uscire dal mondo delle comode abitudini delle nostre fraternità, dei rigidi schemi che intrappolano l’intraprendenza dei desideri e riconducono nei solchi della pigrizia. È davvero il tempo del “tutti fuori”, verso quelle periferie ferite dell’esistenza da riempire di umanità e illuminare di speranza. Non è un sogno, è semplicemente la nostra vocazione". (R.Iaria)

Il Centro Astalli rilegge Hannah Arendt

23 Gennaio 2023 - Roma - C’è un libretto scritto ottant’anni fa che parla di oggi, anzi di domani. Dà espressione all’identità dei rifugiati, partendo dal rifiutarne la definizione: a “noi rifugiati” – questo il titolo – non piace essere chiamati ‘rifugiati’. Un annuncio che racchiude la dolorosa scissione di entrare in un Paese nuovo ed essere destinati a rimanervi, non potendo tornare nel proprio, dopo aver perso la casa e la propria piccola realtà familiare, il lavoro e il ruolo nella società, la lingua e la possibilità di esprimersi spontaneamente, i parenti e gli amici, l’intero proprio “mondo privato”. La contraddizione del ricostruirsi nel luogo di destinazione – del vivervi a lungo, dello sforzarsi di chiamarlo casa e di somigliare ai suoi abitanti – e ciononostante di restare stranieri. Visti come diversi, sempre in fondo “indesiderabili”. Sono le prime pagine scritte da Hannah Arendt da rifugiata negli Stati Uniti, nel 1943, dopo la fuga dalla persecuzione nazista in Europa. L’incontro, svoltosi nei giorni scorsi su iniziativa del Centro Astalli al Goethe-Institut di Roma, è stato l’occasione per rileggerle col pensiero al presente. E per scoprire che non raccontano il Novecento, ma il nostro tempo e il futuro, e non descrivono gli esuli ebrei né soltanto i profughi di tutte le religioni, nazionalità, idee, bensì ogni donna e ogni uomo. Con la limpidezza di pensiero della studiosa, e la profondità dell’esperienza personale, Arendt indica la macchia che il rifugiato non riesce a lavare via: qualcosa dev’esserci nel suo passato o nella sua identità, perché si trovi in questa condizione. Il rifugiato legge l’accusa negli occhi dei nuovi vicini, si sente incolpato della propria sfortuna, e reagisce con uno sforzo di assimilazione. Un tentativo di liberarsi del sé e confondersi tra i cittadini di diritto, che tuttavia rimane un’aspirazione impossibile. Il pensiero ebraico influenza la filosofa: lo spiega Benedetto Carucci Viterbi, rabbino e biblista, che ricorda come in ebraico le parole abitare e straniero derivino dalla stessa radice. Il paradosso di Abramo che si presenta ai cananei come ‘straniero residente’ tra loro, sperimentato dagli ebrei nella Storia, coglie l’essenza dello stato di ogni immigrato: che svolge la sua vita in un luogo senza arrivare ad appartenervi mai, differenziato fisicamente, socialmente e giuridicamente, stretto tra barriere di documenti che dovrebbero aprirgli opportunità e invece lo discriminano. Sono gli Stati nazionali ad aver costruito rifugiati, richiedenti asilo e migranti economici, per conservare la propria omogeneità etnica contro il movimento naturale delle persone, ma queste categorie non esistono nella realtà, chiarisce subito Donatella Di Cesare, filosofa e docente, curatrice di una nuova edizione di “Noi rifugiati”. Per questo le parole di Arendt valgono per chiunque sbarchi oggi sulle nostre coste o scenda dai nostri valichi. Anche chi aggira gli stratagemmi di deterrenza delle partenze, si sottrae alla cattura e al trattenimento violenti, si crea la sua strada nella sabbia, nella neve e nell’acqua e riesce infine ad attraversare la frontiera; anche chi, dopo l’ingresso, si sottrae all’irregolarità, evita o supera il passaggio della detenzione amministrativa – che tiene ristretto chi non ha commesso reati e somiglia così tanto all’internamento sperimentato da Arendt in quanto ebrea, nel campo di Gurs sui Pirenei – e si conquista un documento di soggiorno, anche questo immigrato resterà straniero. Non si radicherà, come fosse destinato a portarsi dentro quel confine che ha oltrepassato una volta, nota Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli. Per questo, il diritto da garantire non è migrare, ma essere accolti. Senza la costrizione ad “integrarsi”, essere accettati con semplicità, ascoltati, ricevere le stesse opportunità dei cittadini per nascita, poter partecipare. Le persone migrano per tante ragioni, spiega Soumaila Diawara – lui, maliano, che lo ha fatto per scampare alla persecuzione politica – ma tutte fuggono dalla prospettiva della mera sopravvivenza. Nel Paese d’arrivo, chi migra cerca il diritto a vivere. A ottant’anni dal manifesto di questo bisogno, la migrazione resta una storia di lontananza nella vicinanza. C’è un modo per rovesciare lo stato delle cose e creare un mondo nuovo, ed è riconoscersi tutti nel “Noi” di Hannah Arendt. Scoprirsi nient’altro che “nudi esseri umani”, tutti ospiti tutti pellegrini, in cerca solo di protezione e della possibilità di una vita piena. (Livia Cefaloni)      

Issaka è morto di clandestinità: la gelida solitudine del portiere

20 Gennaio 2023 - Milano - Gli stenti uccidono sotto un ponte di Milano il giocatore del St. Ambroeus. Queste parole, oggi, sono listate a lutto e hanno un solo argomento: un ragazzo di nome Issaka. Ho guardato e riguardato la figurina del calciatore Issaka Coulibaly. No, non cercatela nella collezione Panini, non la troverete mai, e lui poi, non lo troverete più, l'ha inghiottito una notte gelida e di scighera di questa città, Milano, dove era giunto dal Togo. Posso solo dirvi che Issaka somigliava tanto, per fisico e volto, al fuoriclasse e suo connazionale Emmanuel Adebayor. Ma Issaka faceva il portiere amateur, come quelli che piacciono tanto a papa Francesco (che vorrei tanto conoscesse questa storia di un calciatore triste, sportivo vero anche se mai arrivato nel paradiso del supercalcio), e i gol li evitava, mentre l'altro, Adebayor, di gol ne ha segnati a raffica nella Premier inglese e a 38 anni fa ancora il bomber in qualche parte del mondo. A differenza di Adebayor, Issaka Coulibaly, non è diventato milionario con il calcio, ma il calcio è stata comunque la sua grande passione e lo ha arricchito nella sua breve vita terminata con un triplice e tragico fischio anticipato, a soli 27 anni. Il pallone e i guanti gli sono serviti giusto il tempo di allontanare per un po' la solitudine del portiere, a deviare in angolo i tiri mancini della miseria fino al gol finale della morte che ha insaccato nella porta vuota della sua povera esistenza. È morto di stenti e di freddo, Issaka, sotto un ponte della civilissima Milano, capitale riconosciuta della moralità e dell'accoglienza. Sarà ancora così caro vecchio Enzo Jannacci che cantavi El portava i scarp del tennis? Mah. Il portiere Issaka in campo portava gli scarpini tacchettati di gomma. Al margine della società, ma almeno lì, in campo, il numero 1: fortissimo, per chi lo aveva avvistato dalle parti del Pini, l'ex manicomio, per il torneo estivo dove era stato il migliore e aveva fatto vincere la sua squadra con quei tuffi da gatto nero dei pali. Questo raccontano quelli che hanno avuto il piacere di vederlo e di giocarci assieme, nel St.Ambroeus, la prima formazione milanese interamente composta da rifugiati e richiedenti asilo politico. Una morte annunciata come il risultato di un posticipo di una gara di dilettanti: Issaka è stato ritrovato cadavere, in un capannone di via Corelli, il 25 novembre scorso e la notizia l'abbiamo appresa solo ora, su Facebook, grazie a qualche amico di buon cuore che sa che la memoria di cuoio, qui sotto la Madonnina, non è fatta solo di Supercoppe nerazzurre e di luci rossonere a San Siro. Un amico di Issaka ha avuto la bontà di scrivere un tenero ricordo e di chiosare con una denuncia che suona come uno schiaffo per tutti noi, calciofili accecati solo dalla luce delle stelle milionarie e dalla futilità di un quotidiano clamore sotto i riflettori di questo Skyline italiano: « Issaka è morto di freddo e di clandestinità ». E forse prima di morire sì, « El purtava i scarp de tennis, el parlava de per lü». (Massimiliano Castellani - Avvenire)

Quei volti che guardano al futuro: una mostra a Milano del Centro Astalli

19 Gennaio 2023 - Milano - Venti pannelli ad altezza d' uomo, ciascuno raffigurante un giovane rifugiato che guarda negli occhi chi gli si avvicina. È "Volti al futuro, con i rifugiati per un nuovo noi", la mostra itinerante realizzata dal Centro Astalli di Roma, che verrà inaugurata domani nella Comunità di Villapizzone. Gli scatti, realizzati dal fotografo Francesco Malavolta, celebrano i primi 40 anni del Centro Astalli, la sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, un' organizzazione nata nel 1980 su intuizione di padre Pedro Arrupe. La filosofia alla base di questa forma di accoglienza si poggia su tre parole: accompagnare, nel senso di farsi compagni di strada dei rifugiati cercando di capire i loro bisogni; servire, cioè mettersi al servizio delle loro esigenze; e infine, difendere, quindi spendersi per i loro diritti. E proprio per rendere questi obiettivi alla portata e all' attenzione di tutti è stata ideata questa mostra fotografica, il cui titolo gioca sull' omografia fra vòlti, nel senso di rivolti al futuro, che può essere interpretato come un monito a noi che dobbiamo guardare a un futuro di convivenza più che a una politica dell' oggi, e vólti, i volti raffiguranti i venti rifugiati che guardano anch' essi a un futuro migliore. A essere rappresentati sono venti ragazzi, fra i 20 e i 30 anni, che sono stati o sono ancora ospiti del Centro Astalli: tutti sorridenti, sono in piedi e alle loro spalle lo sfondo è sfocato ma permette di intuire un contesto cittadino. «Lo sfondo sfocato della città è simbolo del processo di integrazione in divenire, un processo che spesso per ragioni politiche e burocratiche si realizza a fatica. Il fatto che i pannelli siano ad altezza d' uomo vuole dare l' idea che quei rifugiati noi li abbiamo di fronte, sono volti in cui specchiarsi e con cui confrontarsi»: padre Camillo Ripamonti è il presidente del Centro Astalli, nonché uno degli organizzatori della mostra. Il messaggio che vuole lanciare con queste fotografie è quello di riportare al centro i rifugiati e camminare con loro: «Spesso i rifugiati sono considerati numeri o problemi, noi vogliamo far capire che sono prima di tutto persone che camminano con noi e che con noi vogliono costruire un futuro che sia bello per tutti». La mostra è stata pensata per ricordare i 40 anni di attività del Centro Astalli, non una festa autocelebrativa ma un momento di memoria per un' organizzazione che in questi anni ha accolto e integrato quasi 20mila rifugiati. Un numero, il 40, che oltre a simboleggiare un lungo percorso, ricorda anche i 40 anni di cammino del popolo di Israele nel deserto. È proprio questa l' immagine scelta da Papa Francesco nell' introduzione che ha donato a questa mostra: «Quaranta, nella Bibbia, è un numero significativo che ha molti rimandi, ma certamente pensando a voi mi viene in mente il popolo di Israele che per 40 anni cammina nel deserto, prima di entrare nella terra della promessa. Anche gli ultimi quarant' anni della storia dell' umanità non sono stati un progredire lineare: il numero delle persone costrette a fuggire dalla propria terra è in continua crescita. In questi quarant' anni e in questo deserto, tuttavia ci sono stati tanti segni di speranza che ci permettono di poter sognare di camminare insieme come un popolo nuovo "verso un noi sempre più grande"». L' augurio con cui il pontefice conclude la sua introduzione è che si possa realizzare finalmente una «cultura dell' incontro», che si possa progettare qualcosa che coinvolga tutte le persone, non solo i volontari. È questo uno dei motivi per cui si è scelto di creare una mostra che fosse itinerante: nel suo viaggiare fra città come Milano, Roma, Padova o Grumo Nevano, in provincia di Napoli - tutte città che ospitano una succursale del centro Astalli - è diventata di volta in volta parte integrante della struttura che l' ha ospitata, andando a fondersi completamente con lo spirito di accoglienza del luogo. La speranza di padre Camillo è che questi venti pannelli continuino a raccontare la loro storia anche quando il loro viaggio sarà concluso: le foto verranno infatti donate ai centri dove sono nate, si potranno spostare, potranno costituire nuovi nuclei o, perché no, essere donate alle scuole. (Rachele Callegari)

Richiesta di protezione in Italia, Tribunale Ancona, “Ai migranti risposte in 5 giorni”

19 Gennaio 2023 - Ancona - Questura e prefettura sono tenute a trovare soluzione per l’accoglienza in città entro 5 giorni dalla presentazione della domanda di protezione internazionale e qualsiasi prassi dilatoria è da considerarsi illegittima. L’ordinanza, che segna un punto importante anche per il diritto d’asilo e il sistema dell’accoglienza italiano, è stata appena emessa dalla Prima Sezione civile del Tribunale di Ancona, dopo il ricorso promosso da un cittadino pachistano lo scorso 28 ottobre. L’uomo, 27 anni, dall’8 agosto stava cercando di ottenere il riconoscimento di richiedente protezione internazionale presso la questura del capoluogo, ma si è visto per mesi rinviare la formalizzazione, ogni volta con la stessa motivazione: la mancanza di posti di accoglienza nei Cas, i Centri di accoglienza straordinaria gestiti dalla prefettura e negli analoghi progetti ex Sprar, oggi Sai, governati dal Comune. E così non ha potuto fare altro che dormire per strada o nei parchi urbani, cercando un pasto caldo alla mensa della Caritas. Ora, con l’ordinanza del Tribunale a favore, il suo destino potrà cambiare. La storia del giovane di 27 anni è emblematica perché comune a molti, in tutta Italia. «Ad Ancona, 100mila abitanti, sono almeno un centinaio le persone che negli scorsi mesi hanno provato a depositare richiesta di protezione ma si sono visti rimandati indietro con la motivazione che sul territorio non ci sono posti liberi per l’accoglienza. Pachistani, afghani, somali, egiziani, eritrei soprattutto, arrivati attraverso la rotta balcanica e spinti nel capoluogo dal passaparola secondo cui qui le procedure di accoglienza internazionale sarebbero state meno farraginose che altrove, per poi rimanere bloccati nel limbo. In questi mesi come più volte denunciato abbiamo raccolto decine di rinvii da parte della questura che superavano anche i sei mesi». A raccontarlo è Valentina Giuliodori dell’Ambasciata dei Diritti Marche, un’organizzazione che si batte per l’accoglienza dei migranti e che ha sostenuto il ricorso del cittadino pachistano, presentato dall’avvocato Paolo Cognini. Secondo il pronunciamento che ne è scaturito, emesso del giudice Alessandra Filoni, la prassi seguita della questura in questi mesi «ha completamente capovolto il percorso previsto dal legislatore », in quanto, prosegue il Tribunale di Ancona, «non può mai venirsi a creare l’opzione tra accoglienza e abbandono, tanto che sono state espressamente previste “strutture straordinarie” da attivare nel caso in cui l’afflusso massiccio di richiedenti porti a una saturazione dei posti disponibili nelle ordinarie strutture di prima accoglienza». L’ordinanza ha inoltre una particolare rilevanza per i casi analoghi, sia in sede amministrativa che giudiziaria, poiché mette assieme due aspetti finora trattati in modo separato, il tema della formalizzazione della richiesta di protezione e quello dell’accoglienza che, spiega l’avvocato Cognini, «sono parti integranti del medesimo dispositivo di tutela e di garanzia del richiedente e dell’istituto della protezione internazionale ». L’ordinanza assume ancora maggiore rilevanza preso atto del fatto che la situazione di Ancona è diffusa in tante altre città italiane, dove davanti alle questure sono lunghissime le file di persone che vorrebbero presentare richiesta di protezione internazionale, ma che vengono rimandate indietro, in attesa di nuovi posti d’accoglienza. Aumenta così il numero dei senza dimora e quindi delle situazioni di fragilità e marginalità, che parte dell’opinione pubblica finisce per percepire come un problema sociale. (Marco Benedettelli - Avvenire)        

Viminale: da inizio anno sbarcate 3.862 persone migranti sulle coste italiane

17 Gennaio 2023 -
Roma - Sono 3.862 le persone migranti sbarcate sulle coste italiane da inizio anno.  Di questi 725 sono di nazionalità ivoriana (19%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Pakistan (414, 11%), Guinea (364, 9%), Egitto (358, 9%), Afghanistan (334, 9%), Siria (249, 6%), Eritrea (213, 6%), Bangladesh (188, 5%), Tunisia (161, 4%), Camerun (131, 3%) a cui si aggiungono 725 persone (19%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione.  Il dato è stato diffuso dal ministero degli Interni, considerati gli sbarchi rilevati entro le 8 di questa mattina.

Unhcr: una roadmap con “azioni semplici ma efficaci per una Ue che protegga meglio i rifugiati”

11 Gennaio 2023 -
Roma - L’Unhcr, Agenzia Onu per i rifugiati, sollecita Svezia e Spagna perché durante le rispettive presidenze di turno dell’Unione europea nel 2023 stabiliscano la rotta per una Ue che protegga meglio le persone costrette a fuggire. In un documento diffuso ieri l’Unhcr delinea una serie di azioni semplici ma efficaci che funzionino sia per gli Stati dell’Ue che per le persone che fuggono da guerre e persecuzioni. Si tratta di una roadmap concreta, basata sulle buone pratiche del 2022. “Lo spirito umanitario e la solidarietà mostrati dai Paesi dell’Ue l’anno scorso verso i rifugiati ucraini dimostrano chiaramente la capacità di accogliere e proteggere le persone costrette alla fuga in modo organizzato ed efficace”, ha detto Gonzalo Vargas Llosa, rappresentante dell’Unhcr per l’Unione europea, esortando le presidenze dell’Ue “a costruire su queste buone pratiche e a mantenere la solidarietà con tutti i rifugiati e i richiedenti asilo, qualunque sia la loro provenienza”. La strada verso un’Unione che protegga meglio i rifugiati è basata sull’accordo e sull’implementazione della bozza del Patto Ue sulla migrazione e l’asilo ed è vincolata all’impegno di tutti gli Stati dell’Ue di sostenere il diritto di richiedere asilo. L’Unhcr mette in guardia “contro qualunque altra proposta nell’Ue che metta a rischio questa potenziale riforma attraverso la riduzione degli obblighi di asilo, l’abbassamento degli standard e delle pratiche e la riduzione degli spazi di protezione in Europa”. E raccomanda alle prossime presidenze di “concentrarsi sul garantire l’accesso a procedure di asilo eque ed efficienti, così come sulla creazione di meccanismi efficaci di solidarietà e condivisione delle responsabilità senza ricorrere alle deroghe”. Mentre molti Paesi dell’Unione europea continuano a sostenere i rifugiati e a tenere alto l’impegno europeo e internazionale per i diritti umani, “ai confini dell’Unione continuano a verificarsi respingimenti violenti e gravi violazioni dei diritti umani – sottolinea l’Unhcr –. Queste violazioni mettono a rischio la vita delle persone e compromettono i diritti umani, compreso l’accesso all’asilo e il diritto alla vita. Garantire l’accesso ai territori e all’asilo e affrontare il problema della violazione dei diritti umani alle frontiere sono elementi chiave di un sistema di asilo europeo equo e sostenibile”. Le misure proposte assicurerebbero procedure di asilo efficienti ed eque per riconoscere le persone bisognose di protezione internazionale, anche in tempi di crisi e tenendo in considerazione i rischi ulteriori per le persone con bisogni specifici. La Dichiarazione di Solidarietà del 2022 fornisce “una buona base per un meccanismo di ricerca e salvataggio e di sbarco che salvi vite umane e condivida la responsabilità tra gli Stati dell’Unione europea – precisa Unhcr –. La garanzia di un ritorno dignitoso nei Paesi di origine per le persone che lo desiderino o per coloro che non sono stati ritenuti bisognosi di protezione internazionale sono ugualmente fondamentali per un sistema di asilo che sia credibile e funzionante”.

Viminale: da inizio anno sbarcate 3.746 persone migranti sulle coste italiane

11 Gennaio 2023 -
Roma - Sono finora 3.746 le persone migranti sbarcate sulle coste da inizio anno. Il dato è stato diffuso dal ministero degli Interni, considerati gli sbarchi rilevati entro le 8 di questa mattina. Degli oltre 3.700 migranti sbarcati in Italia nel 2023, 371 sono di nazionalità pakistana (10%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Costa d’Avorio (347, 9%), Egitto (265, 7%), Siria (218, 6%), Afghanistan (203, 5%), Guinea (174, 5%), Eritrea (134, 4%), Tunisia (132, 3%), Bangladesh (111, 3%), Burkina Faso (70, 2%) a cui si aggiungono 1.721 persone (46%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione.