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Don Maffeis: non trascurare l’interiorità, la vita spirituale, il cuore

25 Aprile 2020 - Roma - “Non trascurare l’interiorità, la vita spirituale, il cuore, da cui procede tutto il resto: lo sguardo sulla vita, come lo stesso rapporto con gli altri”. È l’insegnamento di San Marco, “l’autore del primo Vangelo, il Vangelo – spiega don Maffeis, sottosegretario della Cei in un video – di chi inizia, di chi comincia l’itinerario per diventare cristiano; il Vangelo che oggi aiuta anche noi a ripensare il cammino interiore, il nostro rapporto personale con il Signore”. Questo rapporto, osserva don Maffeis, è “a volte frenato e impoverito, e conosce i periodi di aridità”. San Marco, di cui oggi si celebra la festa, “ce ne spiega le ragioni, a partire dal racconto della parabola del seme, mangiato dagli uccelli, calpestato sulla strada, soffocato dalle spine”. “Quante volte – rileva il sottosegretario della Cei – l’affanno della vita, il fatto di essere presi da tante cose, le mille preoccupazioni, fanno sì che la nostra vita interiore più che fiorire sia soffocata o rimanga comunque a livello superficiale, epidermico, esteriore”. In questa stagione, poi, “i motivi di sofferenza, di paura e ansietà si sono moltiplicati a dismisura”, ammette don Maffeis sottolineando che “abbiamo bisogno di tante cose”. “Chiediamoci con umiltà – è l’invito – cosa sia davvero necessario”.​  

Don Maffeis: restituire serenità e dignità alla famiglia 

24 Aprile 2020 - Roma - In questi giorni, “sul tavolo della politica ci sono alcune misure per i figli”. Lo ricorda don Ivan Maffeis, sottosegretario e portavoce della CEI – in un video pubblicato sui media Cei - sottolineando che “se andranno in porto, al di là del loro valore monetario, saranno il segno che nella tempesta il Paese ha saputo fare un salto culturale atteso da tempo e inizia a mettere al centro la prima comunità naturale, alla cui tenuta è appeso il bene dell’intera società”. Dopo settimane “lunghe anni”, osserva don Maffeis, “il desiderio e la necessità di avviare la fase della riapertura attraversano ogni ambito”. Succede “come in montagna, quando la svolta del sentiero lascia finalmente intravvedere il rifugio”. In realtà, rileva il sottosegretario della Cei, “la meta rimane distante e la fatica di ogni passo, per tacere dei sassi nelle scarpe, non tarda a ricordartelo”. Così, spiega, “si parla di ripresa, ma si stenta a considerare che a portarne il carico maggiore sarà ancora una volta la famiglia: i nostri bambini, segnati da cicatrici invisibili ed esposti alla prospettiva di un’estate vuota; i nostri giovani, frenati nella possibilità di abbracciare progetti di vita; gli adulti, alle prese con preoccupazioni di lavoro e responsabilità da onorare”. È questa, evidenzia il sottosegretario della Cei, “la famiglia sul sentiero: famiglia reale, comunità affettiva ed educativa con le sue risorse e le sue fragilità, le sue ricchezze morali e le sue ferite relazionali”. “È troppo ricordare che questa realtà chiede opportunità e servizi, che contribuiscano a restituirle serenità e dignità?”, domanda don Maffeis per il quale “visto che le risorse messe in campo dal nuovo Decreto saranno pagate dalle generazioni di domani, corrispondere loro almeno un segno sarebbe soltanto un atto di giustizia”.    

Don Ivan Maffeis: la Parola, la chiave per avere fiducia in Dio e nell’altro  

23 Aprile 2020 - Roma – “Riscoprire la centralità della Parola è la condizione per alimentare la nostra fiducia in Colui tiene in mano le sorti della nostra storia; per sentire che Lui non ci lascia soli, anche nelle situazioni più impensate e difficili, come quella che stiamo attraversando”. Lo evidenzia don Ivan Maffeis, sottosegretario e portavoce della Cei, ricordando, in un video sui media Cei, che nel suo commento quotidiano al Vangelo, Papa Francesco ha spiegato che “ogni volta che noi leggiamo il Vangelo, incontriamo più ricchezza, più spiegazioni, più cose che ci fanno capire il mistero di Dio”. “Non finiremo mai di comprendere il Vangelo, non riusciremo mai ad esaurirlo: sia a motivo della sua profondità sia a causa della nostra condizione, che muta continuamente, per cui l’incontro tra la Parola e ciò che viviamo risuona in noi con accenti e appelli diversi”, conferma don Maffeis, per il quale questa è “la ricchezza della vita cristiana”. Lo stesso, aggiunge, avviene nell’incontro con gli altri. “La relazione – rileva don Maffeis – muore quando la diamo per scontata, quando pensiamo di aver già capito tutto dell’altro”. L’altro, conclude, “rimane mistero, davanti al quale imparare l’umiltà del silenzio e dell’ascolto, proprio per arrivare a incontrarci davvero”.​

Don Maffeis: il nostro bene più grande

22 Aprile 2020 - Roma - “Papa Francesco prega per i politici – l’ha fatto un paio di giorni fa nella Messa del mattino da Santa Marta – e li richiama, specie in questo momento di pandemia, a cercare insieme il bene del Paese e non semplicemente il bene del proprio partito”. Per don Ivan Maffeis, sottosegretario e portavoce della Cei, “questo messaggio lo possiamo sentire rivolto anche a ciascuno di noi”. “Per lavorare insieme, per vivere insieme – spiega in un video sui media Cei – serve un cuore libero, un cuore distaccato dal potere, piccolo o grande, che sia; serve la volontà di non approfittare del proprio ruolo per interessi personali; serve una visione aperta, lungimirante, un modo di vedere le cose e, soprattutto, le persone, che eviti di riportare tutto al mio guadagno, al mio tornaconto”. Certo, chiarisce, “le distinzioni sono importanti, non tutto è uguale” e “le diverse sensibilità hanno tutte diritto di cittadinanza, ma non possono diventar tali da impedirci di riconoscere le persone”. In fondo, sottolinea don Maffeis, “la tentazione di servirsi del bene comune è forte per tutti; ma sappiamo che una famiglia, una comunità, cresce soprattutto quando si accetta di fare un passo indietro, di piegare il bene personale, della propria parte, del proprio partito al bene comune”. E si finisce, allora, “per toccar con mano come proprio questo coincida con il nostro bene più grande”.​

Don Maffeis: con che passo vogliamo riprendere il cammino?

21 Aprile 2020 - Roma - “Con che passo vorremmo riprendere il cammino?”. Se lo chiede don Ivan Maffeis, sottosegretario e portavoce della Cei, che, in un video sui media Cei, mette in guardia dal rischio “di camminare, magari di correre, da soli”. “Questa pandemia – ammette – ha stravolto attese e progetti, ridisegnato le abitudini e i comportamenti di ciascuno; ci ha costretto anche ad abbandonare tante cose”. “Mentre attendiamo con pazienza questa ‘fase due’, lasciamoci interrogare dalla condizione di chi accanto a noi fa più fatica”, è l’invito di don Maffeis che suggerisce di “non essere avari di quel gesto o di quella parola che dicono prossimità, compassione che viene dal cuore, condivisione”. De resto, come ha ricordato Papa Francesco, “la misericordia non abbandona chi rimane indietro”. “Non si fatica – osserva il sottosegretario della Cei – a riconoscere che spesso con i nostri impegni e la nostra fretta, trasmettiamo mancanza di tempo e quindi di cuore per l’altro”. “La misericordia, quella di Dio come, di riflesso, quella dell’uomo, attende, aspetta, rallenta se è il caso, pur di trovare il modo – conclude – per stare al passo dell’altro”.​  

Don Maffeis: senza misericordia restiamo a terra

20 Aprile 2020 -   Roma - “Per camminare abbiamo bisogno di essere rimessi in piedi. È proprio la misericordia la mano che ci rialza sempre; senza misericordia restiamo a terra”. “Nella vita andiamo avanti a tentoni, come un bambino che inizia a camminare, ma cade; pochi passi e cade ancora; cade e ricade”. Don Ivan Maffeis, sottosegretario e portavoce, ricorda, in un video pubblicato sui media Cei, quanto raccontato da Papa Francesco nella Messa della domenica della Divina Misericordia, quando ha spiegato che “per camminare abbiamo bisogno di essere rimessi in piedi. È proprio la misericordia – ha detto il Papa – la mano che ci rialza sempre; senza misericordia restiamo a terra”. “Ci sono persone che, davanti all’esperienza delle proprie cadute, perdono la fiducia; si tormentano, non riescono a perdonarsi e ad accogliere il perdono, perché umiliate dal fango nel quale sono cadute e dal quale hanno l’impressione di non saper uscire”, osserva don Maffeis sottolineando che “il credente, il cristiano, non è un perfetto”. È uno, rileva il sottosegretario della Cei, “che conosce bene la propria povertà, le proprie cadute, gli sbagli commessi nonostante mille propositi, ma più che concentrarsi su questi, più che ripensare continuamente alle cadute, sa guardare al Signore con fiducia, sa affidarsi a Lui”. Il resto, conclude, “tutto il resto viene di conseguenza. A partire da una vita che, proprio perché ha conosciuto il perdono, sa perdonare, sa aprirsi alla compassione e alla condivisione”.​    

Don Maffeis: essere segno e strumento della misericordia del Padre

18 Aprile 2020 -
E, aggiunge don Maffeis, “in questa domenica, alle 11, in diretta su Tv2000, Papa Francesco celebra nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, santuario romano a poche centinaia di metri da San Pietro, dedicato alla spiritualità di Gesù misericordioso”. Nella sua riflessione, il sottosegretario della Cei non nasconde che, in realtà, tante persone “faticano ad affidarsi alla misericordia, a riconciliarsi con la propria storia, ad accogliere il perdono e quindi la pace”. Ma, osserva, come Papa Francesco non si stanca di ricordare, “la misericordia è espressione dell’amore steso di Dio, un amore così grande, così profondo, che non viene meno, non si ferma a distanza: viene incontro a tutte le povertà e – conclude – libera dalle tante piccole grandi forme di schiavitù che appesantiscono l’andare”.

Don Maffeis: ricordiamoci degli anziani, anche nel post-emergenza

17 Aprile 2020 - Roma - “Se tutti stiamo soffrendo le limitazioni imposte dalla necessità di arginare la pandemia, tra coloro che si trovano in condizione di particolare disagio ci sono i nostri anziani”. Lo sottolinea don Ivan Maffeis, sottosegretario e portavoce della Cei, che fa riferimento “a quanti si sono trovati a vivere in residenze sanitarie assistenziali dove il pericolo del contagio è stato sottovalutato, per cui sono aperte anche indagini giudiziari”, ma anche “ai tanti che da settimane vivono isolati, privi della possibilità di poter ricevere la visita di un familiare o di una persona amica e, quindi, esposti più di altri alla solitudine e alla tentazione di cedere allo sconforto”. “Pensando a queste persone, ci accorgiamo che, accanto al problema materiale del sostegno e dell’assistenza, c’è dell’altro: i nostri anziani – spiega don Maffeis in un video pubblicato sui media della Cei – hanno bisogno di sentirsi valorizzati, di sentire che la loro esperienza e ricchezza di vita umana e spirituale incontra rispetto, attenzione, considerazione”. Come ripete spesso Papa Francesco, gli anziani “sono le nostre radici, la nostra storia, ci hanno dato la fede, la tradizione, il senso di appartenenza a una patria”. Ecco allora che, secondo il sottosegretario della Cei, “l’annuncio di Pasqua –‘il Signore non ci lascia soli’ – passa attraverso segni concreti di tempo donato, di momenti condivisi”. “Se in queste settimane per molti versi questa prossimità ci è preclusa – conclude – cerchiamo di farci trovare pronti alla ripresa”.​

Don Maffeis: in questo tempo sofferente c’è bisogno di operatori di pace

16 Aprile 2020 - Roma - “Se è vero che la vita e la morte abitano la nostra esperienza quotidiana, la Pasqua non smette di ricordare al nostro cuore stanco e forse anche un po’ sfiduciato che a vincere è comunque la vita”. Lo sottolinea, in un video pubblicato dai media Cei, don Ivan Maffeis, sottosegretario e portavoce della Cei, per il quale “in alcuni momenti è normale chiedersi dove siano questi segni che possano testimoniare che la risurrezione ha davvero fatto irruzione in questo mondo ferito e sofferente, a volte in balia di logiche meschine, egoistiche e di corto respiro”. A questa domanda, spiega don Maffeis, ha dato una risposta Papa Francesco che nell’udienza del mercoledì ha chiamato “beati”, cioè felici, gli operatori di pace. “L’esperienza insegna che quando siamo troppo preoccupati di noi stessi, quando cerchiamo di tutelare e raggiungere un benessere personale rischiamo di farlo a scapito delle relazioni con gli altri e dell’interesse del contesto in cui viviamo”, osserva il sottosegretario della Cei evidenziando invece che “la pace che nasce dalla Pasqua rinnova l’essere e l’agire, ci rende capaci di piccoli segni concreti di riconciliazione, di accoglienza, di disponibilità, di giustizia”. “È quella pace che sa riportare un soffio di speranza anche in questo tempo sofferente e pesante come il nostro”, rileva don Maffeis che invita a diventare “operatori di pace perché la pace possa abitare le nostre case, raggiungere il cuore e la vita di quanti si sentono abbandonati e di coloro che sono più esposti alla sofferenza”.    

Don Maffeis: portare a tutti l’annuncio di speranza

15 Aprile 2020 -
“L’annuncio di speranza non va tenuto confinato in recinti sacri, ma va portato a tutti”. Lo ribadisce, in un video sui media Cei, don Ivan Maffeis, sottosegretario e portavoce della Cei, per il quale “vivere la Pasqua significa essere cristiani che consolano, che portano i pesi gli uni degli altri, che incoraggiano, che non si stancano di annunciare e di testimoniare una vita che non muore”. Facendo riferimento all’invito del Risorto ai discepoli a recarsi in Galilea, don Maffeis ricorda che “la Galilea è il luogo che richiama la vita quotidiana, la famiglia, il lavoro, come a dire che se la speranza non incrocia la vita di ogni giorno è destinata a rimanere un’idea sterile”. Non solo: la Galilea è anche con “il luogo dei ricordi”, spiega il sottosegretario della Cei sottolineando che “in fondo ognuno di noi ha la propria Galilea, che coincide con ciò che l’ha segnato nella vita, con gli incontri che l’hanno arricchita”, donando a ciascuno una direzione precisa”. “Specie nei momenti di difficoltà, di prova, di crisi come quello che stiamo attraversando – conclude – è decisivo tornare con la memoria del cuore a questa sorgente, che ha il volto delle persone amate”. ​