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Direttorio per la Catechesi: Chiese particolari devono essere coinvolte nella pastorale migratoria

25 Giugno 2020 - Roma - Il fenomeno migratorio è “un fenomeno mondiale; interessa milioni di persone e di famiglie, coinvolte in migrazioni interne ai singoli paesi, in genere nella forma dell’inurbamento, oppure nel passaggio, a volte pericoloso, a nuove nazioni e continenti”. Lo si legge nel Direttorio per la Catechesi presentato oggi nella Sala Stampa della Santa Sede nel quale si sottolinea che tutte le Chiese particolari sono coinvolte nella pastorale migratoria, “in quanto appartenenti a paesi di origine, di transito o di destinazione dei migranti”. Tra le cause delle migrazioni, spiega il Direttorio, vanno ricordate i conflitti bellici, la violenza, la persecuzione, la violazione delle libertà e della dignità della persona, l’impoverimento, i cambiamenti climatici e la mobilità dei lavoratori causata dalla globalizzazione. “In non pochi casi, il processo migratorio – si legge nel Direttorio - comporta non solo gravi problemi umanitari, ma spesso anche l’abbandono della pratica religiosa e la crisi delle convinzioni di fede”. La Chiesa “accoglie i migranti e i profughi, condividendo con loro il dono della fede”. La Chiesa è “coinvolta in strutture di solidarietà e accoglienza, e si preoccupa anche in questi contesti di testimoniare il Vangelo”, sottolinea del documento. La catechesi “con i migranti nel tempo della prima accoglienza ha il compito di sostenere la fiducia nella vicinanza e nella provvidenza del Padre, in modo che le angosce e le speranze di chi si mette in cammino siano illuminate dalla fede. Nella catechesi con le comunità di accoglienza si presti attenzione a motivare al dovere della solidarietà e a combattere i pregiudizi negativi”. Il Direttorio evidenzia che può essere “fruttuoso far conoscere alla comunità cattolica locale alcune forme caratteristiche della fede, della liturgia e della devozione dei migranti, da cui può nascere un’esperienza della cattolicità della Chiesa”. Laddove possibile, l’offerta di “una catechesi che tenga conto dei modi di comprendere e praticare la fede tipici dei paesi di origine costituisce un prezioso sostegno alla vita cristiana dei migranti, soprattutto per la prima generazione. Grande importanza riveste l’uso della lingua materna perché è la prima forma di espressione della propria identità. La Chiesa ha per i migranti una pastorale specifica, che tiene conto della loro tipicità culturale e religiosa. Sarebbe ingiusto aggiungere ai tanti sradicamenti che essi hanno già vissuto, anche la perdita dei loro riti e della loro identità religiosa. Inoltre, i migranti cristiani vivendo la loro fede diventano annunciatori del Vangelo nei paesi d’accoglienza, arricchendo in questo modo il tessuto spirituale della Chiesa locale e rafforzando la sua missione con la propria tradizione culturale e religiosa”. Per assicurare la cura pastorale nell’ambito catechistico più corrispondente ai bisogni specifici dei migranti, spesso appartenenti alle diverse Chiese sui iuris con la loro propria tradizione teologica, liturgica e spirituale, sono “indispensabili il dialogo e la collaborazione più stretta possibile tra Chiesa di provenienza e Chiesa di accoglienza. Questa collaborazione permette di ricevere il materiale catechistico nella tradizione e nella lingua materna e aiuta nella preparazione di catechisti adeguati al compito di accompagnare i migranti nel cammino di fede” Anche agli emigrati va assicurata “la possibilità di mantenere la fede vissuta nel paese di origine”, con una catechesi che “va organizzata e gestita in pieno accordo con il vescovo del luogo, in modo che si sviluppi in armonia con il cammino della Chiesa particolare e sappia coniugare rispetto dell’identità e impegno all’integrazione”. Il Direttorio invita infine a pensare anche ad una catechesi con “le persone marginali”, come “i profughi, i nomadi, i senza fissa dimora, i malati cronici, i tossicodipendenti, i carcerati, le schiave della prostituzione”.

R.Iaria