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Mci Gran Bretagna: il covid e le comunità italiane

26 Novembre 2020 - Londra - Anche se potrebbe sembrare un controsenso, questo periodo in cui la pandemia invita tutti ad isolarsi è il tempo favorevole in cui la Chiesa è sollecitata più che mai ad uscire, a recuperare la dimensione che le è propria, la missionarietà. E’ un tempo molto simile a quello in cui il profeta Ezechiele si trovava ad infondere speranza al suo popolo esiliato in Babilonia. La Missione Cattolica Italiana di Londra, così come tutte le altre realtà ecclesiali e non, in questo tempo hanno subito un grande contraccolpo e tanti un po’ per l’età, un po’ per paura, un po’ perché confusi o altri perché si trovavano già da prima in uno stato di tiepidezza spirituale, hanno abbandonato la Chiesa e la frequenza alla celebrazione della Santa Messa domenicale. Nonostante le Chiese siano oggi tra i posti più sicuri rispetto alle procedure di sicurezza per combattere il Covid-19, la frequenza dopo il primo lockdown primaverile è calata ai minimi storici. Nella maggior parte delle Parrocchie, almeno di un terzo. Alla Missione Italiana la ripresa della celebrazione delle Sante messe, nonostante le limitazioni circa il numero dei partecipanti, presentava numeri incoraggianti. Non solo numeri. E’ come se il Coronavirus avesse deciso di fare una selezione simile a quella raccontata da Gesù nel Vangelo tra pecore e capri. Era evidente che le persone che stavano partecipando alla santa Messa fossero persone altamente motivate dalla fede e ardentemente desiderose dell' Eucaristia. Ora il nuovo lockdown voluto dal Governo di Boris Johnson sino al due di dicembre ha imposto anche la chiusura delle chiese. Un altro contraccolpo a quanto di più essenziale nella vita della Chiesa: la vita comunitaria. Per compensare la mancanza di interazione e di presenza fisica, come tanti ci siamo dovuti organizzare diversamente, avvalendoci degli strumenti a disposizione. La santa messa viene trasmessa ogni domenica alle ore 10 (11 italiane) da una delle comunità su una delle piattaforme usata dalle parrocchie della Gran Bretagna: https://www.churchservices.tv/enfield . Durante il primo lockdown ho attrezzato un piccolo studio di registrazione e tramite Whatsapp ho inviato a circa un migliaio di persone l’audio delle letture del giorno e una breve riflessione. In questo secondo lockdown, con l’aiuto dei catechisti abbiamo ripreso la catechesi per i bambini in video conferenza sulla piattaforma Zoom. Ogni venerdì tengo un video-incontro di lectio divina nella quale si leggono, spiegano e attualizzano le letture della domenica successiva e al quale partecipa un nutrito gruppo di membri della comunità oltre a persone anche dall’Italia. Tanto del mio tempo come missionario è trascorso a celebrare i funerali nelle diverse comunità che distano tra loro anche venti chilometri. Tramite video conferenza, grazie alla collaborazione dei volontari, abbiamo animato la comunità organizzando degli incontri formativi. Grazie alla buona volontà di alcuni dei nostri volontari stiamo avviando sessioni di ginnastica per anziani, quiz e delle piazze virtuali in cui incontrarci. Ho la certezza che questo tempo di grande prova e sofferenza per tutti continuerà ad essere tempo di grazia in cui il Signore non farà mancare la sua Provvidenza per permetterci di continuare il nostro cammino di vita con più entusiasmo di prima. (don Antonio Serra)      

Covid19: il racconto di suor Giuliana Bosini

10 Novembre 2020 - Francoforte - All’inizio di marzo è morto un mio cugino sacerdote per il Corona-virus. Ogni giorno poi chiamavo mio fratello Marco a Piacenza, anche lui malato per sapere come stava. Il 21 marzo si è fatto ricoverare perché la sua situazione respiratoria era peggiorata. A quel punto anche mia cognata era positiva. Entrambi si occupavano di mia mamma. Intanto i giorni passavano e in Germania eravamo nel blocco delle attività con le chiese chiuse. Ho detto alle mie consorelle “se va in ospedale anche mia cognata, la mia mamma a novant’anni rimane sola. Devo fare qualcosa, devo uscire da qui”. L’unico modo per arrivare da mia madre a Piacenza era prendere l’auto. Il 25 marzo dopo aver parlato con tutti, sacerdoti, superiori, comunità eccetera sono partita. Sono arrivata senza problemi alle frontiere ma a casa mi sono subito accorta che mia mamma non stava bene. Io mi sono messa in quella parte della casa con mia mamma un po’ più riservata e isolata. Abbiamo provveduto alla cura di mia cognata che aveva febbre e tanta tosse. I miei nipoti dicevano “zia, sei l’unica che può guidare la macchina per favore vai a fare la spesa”. E un giorno a far spesa, un giorno dal medico, un giorno in farmacia, le situazioni erano varie e mi prendevo cura un po’ di tutto questo. Il 31 marzo ho cominciato ad avvertire febbre e lì ho capito che potevo essere positiva anch’io e da quel giorno non solo più uscita di casa. Il 2 aprile la mia mamma venne ricoverata in geriatria a Piacenza, era positiva e cominciava ad aggravarsi. Intanto io a casa andavo avanti con Tachipirina e antibiotici, i medici ci curavano per telefono finché la situazione si è aggravata ed è venuta la dottoressa Rapacioli e un collega che mi hanno subito fatto una lastra al torace e hanno detto “Ha la polmonite, sorella, dobbiamo passare all’antivirale”. Mi hanno dato sette pastiglie rosa antivirali, grandi come confetti e mi sono detta “beh, sono sette, passerà presto” ma il terzo giorno non respiravo più, mi hanno ricoverata. In una giornata il mio polmone è peggiorato, dal 40% è sceso all’20% di attività, quindi il mio lettino è passato dalla medicina d’urgenza alla rianimazione, era il 10 aprile, Venerdì santo. Mentre mi trasportavano in rianimazione vedevo dalle vetrate la Cupola della Basilica di Santa Maria di Campania e ho detto “Maria, va avanti tu”, non sapevo in che condizioni fossi, che cosa mi stavano facendo. Il virus lavora sul polmone in modo devastante e molto velocemente. Arrivata in rianimazione la dottoressa Savi mi guardò e disse: “Lei non ha alternative che essere intubata. Si tolga gli anelli e si prepari, in tre minuti deve essere intubata”. Ed è stata una seconda consegna, la prima l’ho fatta alla Madonna e la seconda l’ho fatta a questa dottoressa che è stata molto autorevole e precisa. Ed era il pomeriggio del venerdì santo. Mi hanno messo in coma farmacologico per nove giorni, poi hanno cominciato a ridurre la somministrazione del farmaco per il risveglio. E quella mattina aprendo gli occhi vedevo sulla parete di fronte al mio letto l’immagine di una madonnina e dicevo “Maria, come andiamo a finire qua? Non ho la forza di battere ciglio”. Dopo tutti questi giorni non sapevo dove mi trovavo, vedevo solo questa madonnina e dialogavo con lei e con Gesù. Ho dato la vita a Gesù e non la voglio ritirare – “Gesù, la vita è tua e me la stai prendendo”. Mi sembrava davvero che la mia vita fosse un gradino in discesa. Poi proseguendo nella preghiera e nella riflessione guardavo la madonnina “Maria, solo tu puoi andare avanti, solo tu mi puoi salvare da queste acque, troppo grave è la mia situazione”. Mi venne in mente un’immagine che una famiglia mi mostrò tornando dalla Terrasanta, quella della piscina di Betzaeta, vedendo quella foto, allora, scoppiai a piangere. La famiglia mi regalò la foto che mi ricordava l’episodio del Vangelo dove chiede al paralitico “Vuoi guarire?”. Cominciavo a essere consapevole che la grazia della guarigione che avvenne a quell’uomo vicino alla piscina di Siloe in quel momento poteva avvenire anche per me, in quel momento ero io la paralitica. “Gesù, ascolta, chi mi può salvare, chi mi può immergere in questa acqua di guarigione?”. Ho sentito che Maria avrebbe interceduto! Così ho promesso che se fossi guarita sarei andata a Loreto a piedi per ringraziare. Immediatamente nella mia mente è risuonato questo versetto biblico: “e sulle alture mi fa camminare” (Ab 3, 16). Ho capito di avercela fatta, di aver ricevuto la grazia della guarigione. Verso le otto di sera sento la voce di un’infermiera che dice “Suor Giuliana, sono l’infermiera incaricata del risveglio, mi sente?”. La sentivo ma non capivo dov’ero. “Si ricorda che è stata intubata, che è in rianimazione, si ricorda?”. Cominciavo a ricordare. “Ha male?” mi chiedeva. Avevo male ma non potevo parlare, mi toccava le mani per chiedere un segno convenzionale e capìi che mi facevano male i lacci che tenevano le braccia legate alle spranghe del letto. Tutti i ricoverati in rianimazione venivano legati al letto per evitare che si strappassero i tubi. L’infermiera allora disse “slegatela”. Su quel lettino, ero il numero nove della rianimazione, avevo davanti al mio letto, grandissimo l’orologio, e vedevo scattare minuto per minuto senza capire se era notte o giorno perché avevamo sempre una luce artificiale, essendo un reparto sotterraneo, e cercando di capire dal saluto che davano gli infermieri se eravamo di mattina presto, di pomeriggio; avendo dormito tanto al risveglio sono stata con gli occhi sbarrati per giorni e giorni e questo mi ha aiutata a considerare tante cose, il valore del tempo, il valore delle relazioni, a considerare il valore della preghiera e la certezza che molte persone pregavano per me, molti amici laici. Era come se un po’ in giro per il mondo ci fossero delle forze che si univano per sganciare me da quella situazione di immobilità. Ne ero così certa che mi sembrava di sentire la loro presenza lì. In particolare una signora di Napoli, Rosaria che abita vicino a Pompei, non so perché, mi sembrava che la sua mano fosse veramente stretta alla mia destra. Riportata in medicina d’urgenza dove era rimasta tutta la mia roba ho fatto delle telefonate. La prima con la superiora di Piacenza che mi disse “Eravamo in ottocentosettanta su facebook alle tre e mezza ogni giorno unite nella preghiera per chiedere la tua guarigione”. C’erano le amiche di Padova, di Piacenza, le persone della Germania, le mie suore del Brasile, degli Stati Uniti e dell’India, appena incontrate a Roma per il Capitolo generale, sapevo che la preghiera di tutte loro era in quel momento una forza per me. Questa cosa è rimasta nel mio cuore. In tante situazioni non è la nostra forza che ci innalza che ci fa fare, che ci fa essere; è veramente la grazia della preghiera e io l’ho sentita tanto. Dopo quella telefonata mi arrivò la telefonata di Rosaria di Pompei – “Suor Giuliana, ma tu hai sentito la mia mano?” – “Rosaria, non mi dire così” – “Ma hai sentito la mia mano? Io ti ho voluta stringere forte per dirti che non ti lascio un istante”. Il 21 aprile mi fanno uscire dalla rianimazione e spunta la dottoressa che mi ha intubato e mi disse “Si ricordi che Lei è un ottimo risultato per noi, risultato non scontato. Preghi per noi” Mentre io uscivo dal pericolo la mia mamma moriva nell’altro ospedale. Il 25 aprile mi hanno detto che ero fuori pericolo. Il 27 io e il mio compagno di camera, Giuseppe, un vigile urbano, che anche lui ha perso la mamma mentre era in coma, siamo stati portati all’ospedale di Castel San Giovanni, dove il giorno prima era morta la mia mamma. E non ci siamo viste. Non dovevo buttare via niente di questo dolore e del dolore di tanti altri, dovevo trasformare questo dolore in una nuova forma di evangelizzazione e così pensando durante il rientro in Germania in auto, che mi è costato fatica guidare otto ore. Ho chiesto a Gesù di farmi capire quale diversità dovevo porre nel mio ritornare in guarigione, cosa si attendeva da me, quale nuovo slancio. Non lo so ma mi sembra di percepire a distanza di riqualificare la parola di Dio che salva che rigenera. Passando in mezzo a queste prove ti accorgi che tutto non è come prima, la vita la si dona, ma in un batter d’occhio può volar via e la vita vale molto. Mi sembrava di voler cancellare ogni forma di frettolosità e di porre al centro la persona perché la persona è un tesoro così alto, così straordinario, dato da Dio, fatta a sua immagine. In assoluto la persona al primo posto, questo è ciò che mi è rimasto, cercare un equilibrio fra le richieste della missione e la qualità dell’annuncio che voglio dare che sento di dover dare alla nostra gente. (Corriere d'Italia)  

Germania: le Nuove restrizioni nella vita sociale e pubblica per tutto il mese di novembre

10 Novembre 2020 - Francoforte - "Non sarà un mese facile, per nessuno di noi, e poi è novembre, un mese triste, la poca luce predispone alla malinconia". "Dovremo stare più in casa e allora armiamoci di pazienza, ascoltiamo musica, leggiamo un buon libro, meditiamo, preghiamo, guardiamo un buon film, riscopriamo i giochi di società in famiglia, manteniamo i contatti con amici e parenti, soprattutto con quelli più soli, facciamo passeggiate con un amico, un’amica, cuciniamo. Ordiniamo qualche volta da mangiare al nostro ristorante preferito per ricordar loro che li sosteniamo come possiamo. Siamo tutti chiamati ad avere responsabilità collettiva, solidarietà, fiducia e tenacia". Così scrive il mensile delle Missioni Cattoliche Italiane in Germania e Scandinavia, "Corriere d'Italia" commentando il lockdown in vigore, fino alla fine del mese in Germania”. Le misure anti coronavirus, annunciate il 28 ottobre dalla Cancelliera Merkel in concerto con i ministri presidenti dei Bundesländer e che varranno per tutto il mese di novembre, servono a evitare il diffondersi incontrollato del virus che aveva visto un andamento esponenziale dei contagiati. L'andamento dell’epidemia era già allarmante dall’inizio di ottobre e le misure restrittive entrate in vigore il 2 novembre sono "un tentativo di evitare il collasso degli ospedali", scrive il giornale.

R.I.

Migrantes: gli italiani residenti fuori dei confini nazionali e il covid

27 Ottobre 2020 - Roma - Il Rapporto Italiani nel Mondo 2020 ha scelto di non parlare della pandemia. “Non avevamo dati certi e noi studiosi per primi eravamo e siamo coinvolti in questo momento storico delicato e inaspettato, complesso. Abbiamo bisogno di tempo per sedimentare i dati e fare le giuste considerazioni e interpretazioni”, si legge in una nota. Ad oggi – dice la curatrice del RIM della Fondazione Migrantes Delfina Licata – “abbiamo un parco dati qualitativo che ci deriva dalla rete dei missionari all’estero e dagli uffici Migrantes presenti in ogni diocesi così come i diversi reportage che abbiamo visto in televisione o letto sulla carta stampata. Ci parlano di tanti rientri, di molti che hanno perso il lavoro, di famiglie doppiamente spezzate perché, già in difficoltà, hanno subito il rientro di figli che hanno perso il lavoro. Molti sono ripartiti o ripartiranno, soprattutto coloro che erano occupati in professioni meno qualificate e che sono nuovamente alla ricerca di lavori generici”. Dal 2006 al 2018, infatti, si è assistito alla crescita in formazione e scolarizzazione della popolazione italiana. Se però rispetto al 2006 la percentuale di chi si è spostato all’estero con titolo di studio alto, laurea o dottorato è il 193% per chi lo ha fatto con in tasca un diploma la percentuale sale al 292%. A crescere è quindi la componente dei diplomati alla ricerca all’estero di lavori generici all’interno delle partenze che, per il 41% nell’ultimo anno, hanno riguardato la classe di età 18-34 anni. Altri sono riusciti a organizzarsi lavorando da remoto, telelavoro e smart working dall’Italia. Tanti giovani e giovani adulti italiani che erano all’estero o fuori regione e che sono rientrati a seguito dell’emergenza sanitaria mondiale e hanno “avuto la fortuna di mantenere il loro lavoro a distanza lo fanno attualmente dai territori di origine”. Quando nel Rapporto Italiani nel Mondo si parla di prossimità nonostante la distanza, di vivere il territorio abitando il mondo, questo “a distanza” riguarda “sia chi dall’estero guarda, lavora, partecipa alle cose dell’Italia e sia chi, in questo momento, a seguito della pandemia dall’Italia e dai propri territori guarda l’estero, lavora per l’estero. Gli italiani residenti fuori dei confini nazionali sono vicini, attivi e partecipi e condividono obiettivi per il ben-essere comune”.  

CCEE: a Praga, dal 25 al 27 settembre 2020, l’Assemblea Plenaria

7 Settembre 2020 - Praga - L’annuale Assemblea Plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa si terrà a Praga, nella Repubblica Ceca, dal 25 al 27 settembre 2020. Considerate le attuali disposizioni sanitarie e le difficoltà di spostamento da alcuni Paesi, a causa della pandemia da Covid-19, i Presidenti delle Conferenze Episcopali nazionali che non potranno raggiungere Praga, parteciperanno ai lavori in videoconferenza, spiega una nota. Il tema scelto per questa Plenaria è: “La Chiesa in Europa dopo la pandemia. Prospettive per il creato e per le comunità”.  A partire dall’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco, nel quinto anniversario della sua pubblicazione, e alla luce di quanto sta accadendo nel mondo intero a causa del Covid-19, i vescovi europei si incontrano per "riflettere sui cambiamenti e sulle ripercussioni che la pandemia sta provocando". I lavori della Plenaria si soffermeranno su quali sono le conseguenze religiose, pastorali ed ecologiche dopo il Coronavirus e, a partire da questi tre aspetti, ogni Presidente illustrerà la situazione della propria Conferenza Episcopale.  Nel confronto comune, poi, sarà dato risalto a cosa "stiamo imparando dalla pandemia e che cosa significa tutto questo per la cura del Creato". (R.I.)  

Migrantes e Caritas Palermo: “di fronte alla malattia siamo tutti uguali“

24 Agosto 2020 - Palermo - La Caritas e l’Ufficio Migrantes della diocesi di Palermo esprimono “forte preoccupazione” e “fermo dissenso” nei confronti dell’Ordinanza n. 33 del 22 agosto 2020 emanata dal Presidente della Regione Sicilia. Ciò che preoccupa nel testo del provvedimento, e nelle dichiarazioni rese alla stampa per presentarlo, è – si legge in una nota dei due uffici - “l’argomentazione solo in apparenza logica ma in realtà deficitaria sul piano razionale, nonché su quello umano ed evangelico”. L’Ordinanza parte “in verità da una costatazione del tutto condivisibile, mettendo in luce l’enorme disagio in cui versano oggi sia la popolazione siciliana, sia i migranti affluiti sulle nostre coste in questi mesi estivi. I motivi: penuria di strutture idonee all’accoglienza, assenza di servizi adeguati, mancata redistribuzione in ottemperanza agli accordi europei, deresponsabilizzazione degli altri Stati membri della CEE, fughe da hotspot e centri sovraffollati”, si legge nella nota: “ma già a questo livello la lettura del fenomeno si rivela fuorviante. Il disagio, il dolore, la fatica vengono giustamente attribuiti agli abitanti delle nostre isole senza prendere però in considerazione anche lo stato e il destino di migliaia di donne, di bambini e di uomini in fuga dalla fame e dalle guerre, che concludono in Sicilia, in maniera indegna, un lungo esodo in cerca di libertà e di vita buona. Come ha fatto notare a più riprese Papa Francesco, se dividiamo l’umanità in persone di serie A e di serie B, se non ci facciamo carico del dolore di tutti, siamo destinati al fallimento umano e politico”. Infatti, la conseguenza logica di questa situazione – secondo la Caritas e la Migrantes di Palermo - dovrebbe essere “una serie di atti amministrativi e legislativi volti a coniugare sicurezza e solidarietà, a tutelare i Siciliani e ad accogliere in maniera dignitosa i più poveri della terra. L’Ordinanza invece sceglie la via dell’ennesima negazione del diritto umano alla mobilità, la via mistificante di una nuova cosciente discriminazione. Tutti ricordano come la Regione Sicilia aveva nei mesi scorsi, per bocca dello stesso Presidente – si legge nella nota - prefigurato misure di controllo severissime per i turisti orientati a trascorrere le loro ferie in Sicilia (trovandosi tra costoro, anche persone provenienti da paesi ad alta diffusione primaria del covid). Di quel che fu preannunziato a maggio finora non si è visto nulla, né si sono messi in atto protocolli di sicurezza volti ad evitare assembramenti o altre forme di pericolosa promiscuità. Ma se coloro che provengono dai paesi del Nord del mondo, interessati fortemente dal coronavirus, possono muoversi ed entrare liberamente in Sicilia, perché i migranti no? Al contrario, quanti provengono dai paesi del Sud del mondo, quanti sono sottoposti giornalmente allo sfruttamento dell’Occidente, quanti hanno ‘ricevuto’ il covid dal Nord del pianeta, come una ennesima piaga, costoro no, non possono muoversi liberamente: rappresentano un pericolo sanitario. I poveri sono dunque pericolosi, devono essere discriminati, mentre proprio il covid ci ha insegnato che di fronte alla malattia siamo tutti uguali, che il virus non distingue i ricchi dai poveri, e si diffonde tra gli uni e tra gli altri, a causa degli uni e a causa degli altri, senza differenze di sorta”. La nota riporta, poi, le parole dell’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice durante il discorso alla Città del Festino di S. Rosalia il 14 luglio scorso:  “Se il virus non ci ha insegnato che il destino del mondo è uno solo, che ci salveremo o periremo assieme; se la pandemia ci ha resi ancora più pavidi e calcolatori, facendoci credere di poter salvare il nostro posto al sole, siamo degli illusi, dei poveri disperati. Basta con gli stratagemmi internazionali, con i respingimenti, basta con le leggi omicide”. Con l’Ordinanza del Presidente Musumeci si trasmette, a parere dei due uffici diocesani  un messaggio “intimamente sbagliato e antropologicamente pericoloso. Intimamente sbagliato, perché si attribuisce ai migranti la responsabilità di una diffusione del contagio che casomai è da attribuire alla mancanza di protocolli e di misure adeguate a tutelare i cittadini dell’isola e chiunque venga in Sicilia dall’Italia e dall’estero. Antropologicamente pericoloso, perché equipara i poveri agli untori e divide ancora una volta l’umanità in due, inconsapevolmente preparando e non evitando la catastrofe planetaria che verrà da un mondo disunito e disumano. È incredibile – dopo anni di studi e di ricerche sull’invenzione del capro espiatorio quale forma di perversione sociale – come vengano ancor oggi propinate teorie di questo tipo, utili forse demagogicamente sul piano del consenso politico spicciolo ma umanamente ed evangelicamente inaccettabili”. “Il Signore – ha affermato ieri papa Francesco all’Angelus – ci chiederà conto di tutti i migranti caduti nei viaggi della speranza. Sono stati vittime della cultura dello scarto”. “Solo l’abbraccio tra tutti gli uomini e l’abbraccio dell’umanità alla madre Terra potrà darci futuro e speranza”, conclude la nota.

Card. Bassetti:“la Chiesa durante la pandemia: il valore della vita”

5 Agosto 2020 -

Perugia - «Da un po’ di tempo, ha preso forma un dibattito pubblico che si interroga sul mondo “dopo” la pandemia: un mondo diverso da quello attuale (forse) in cui bisognerà ripensare sé stessi e il sistema di relazioni interpersonali. Tutto giusto ed encomiabile. A me sembra, però, che questa pandemia, così improvvisa e sconvolgente, ci interroga soprattutto sull’oggi. Un oggi che non può fare a meno, si badi bene, del suo recente passato, e che ci fornisce almeno quattro spunti di riflessione sugli effetti prodotti da questo “nemico invisibile”».  Così esordisce nel suo ultimo scritto-riflessione il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, pubblicato dal settimanale cattolico «La Voce» nel numero in edicola venerdì 7 agosto e scaricabile dal sito: www.lavoce.it.

«Innanzitutto, il covid-19 ha messo bene in luce chi sono gli ultimi della nostra società – sottolinea il cardinale –, i più fragili, i più indifesi e, in poche parole, coloro che hanno maggior bisogno di protezione e tutela: ovvero, gli anziani. Essi non possono essere considerati soltanto come una “categoria protetta” e, men che meno, come un “costo” oneroso per le istituzioni pubbliche. Al contrario, gli anziani rappresentano, con la loro sapienza di vita, la chiave di volta della nostra architettura sociale, il collante tra le diverse generazioni e una fonte di ricchezza inesauribile a cui i giovani possono e debbono attingere».

«In secondo luogo – prosegue Bassetti –, la pandemia ha rimesso al primo posto alcuni temi che l’uomo moderno cerca costantemente di rimuovere: la morte, la sofferenza e la fragilità. Gli esseri umani sono da sempre alla ricerca di un nuovo Prometeo che li liberi dalle catene della loro caducità. Una ricerca vana. Le ideologie politiche degli ultimi secoli non hanno reso l’uomo più libero e felice. Soprattutto non l’hanno reso immortale. Da alcuni decenni, poi, le fedi politiche sono state sostituite da una fiducia, spesso acritica, nei confronti del progresso tecnologico. Oggi, però, il coronavirus ha rimesso in discussione anche la speranza di una redenzione umana attraverso la scienza».

«In terzo luogo, questa difficile situazione sanitaria ha posto al centro del discorso pubblico una riflessione seria e autorevole sulla libertà di pensiero – evidenzia il presidente della Cei –. Che non significa, è doveroso sottolinearlo, esprimere a piacimento tutto quello che passa per la testa senza preoccuparsi di verificare la fondatezza delle proprie dichiarazioni e soprattutto senza assumersi la responsabilità di quello che si afferma. Bene ha fatto, dunque, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a dire che “non possiamo e non dobbiamo dimenticare” i morti di questa pandemia e soprattutto che è necessario evitare “di confondere la libertà con il diritto di far ammalare altri”. È questo il tempo della responsabilità e della serietà, lasciando da parte, per il bene di tutti, fake news, negazionismi e “cattiva informazione”».

«Infine, l’ultimo elemento di riflessione riguarda la riorganizzazione della vita comune. È necessario farlo oggi in vista del domani. I dati della crisi economica che leggo su tutti i giornali sono spaventosi. Le saracinesche ancora chiuse che vedo in alcuni negozi mi lasciano amarezza e inquietudine. Perché dietro quelle saracinesche ci sono uomini, donne e famiglie. Occorre ritornare a vivere con prudenza e cautela, ma occorre ripartire».

«Con il cuore ferito dalla prova, anche la Chiesa italiana – annuncia il presidente dei Vescovi – si prepara ad iniziare il nuovo anno pastorale e ha preparato un documento che sarà inviato a tutte le diocesi. Un documento di speranza e non certo di pratiche burocratiche da espletare nelle Chiese. Durante il periodo di lockdown con grande senso di responsabilità, misto a sofferenza, abbiamo accolto le disposizioni governative. Oggi siamo chiamati ad andare oltre. Il tempo presente ci chiede, infatti, di non restringere gli orizzonti del nostro discernimento e del nostro impegno soltanto ai protocolli o alla ricerca di soluzioni immediate».

«Siamo  all’interno di un grande cambiamento d’epoca – conclude il cardinale Bassetti – che richiede un rinnovato incontro con il Vangelo e un nuovo annuncio del Kerygma: un incontro e un annuncio per promuovere e difendere ovunque il valore della vita».

 

Migrantes Calabria: “non ammaliamoci di cattiveria e sguardo negativo verso i fratelli”

23 Luglio 2020 -   Cosenza - “Quella che stiamo vivendo in questa fase dell’emergenza sanitaria è una situazione particolare, che ha al centro dell’attenzione soprattutto gli asintomatici” che “non ha colore dela pelle. Dobiamo uscire da qualsiasi marchiatura. Il Covid 19 ci ha rivelato che siamo tutti fragili”. Lo dice Pino Fabiano, direttore Migrantes della Calabria in una intervista al settimanale della diocesi di Cosenza-Bisignano “Parola di Vita” dopo i receti casi di contagio avvenuti tra gli stranieri residenti sul territorio in particolare la comunità senegalese. Una comunità – aggiunge Fabiano – “inserita nel territorio, dove vivono famiglie, lavoratori e nuclei sociali”. Diverse, infatti, le famiglie di origine senegalese che vivono a Cosenza e in provincia e che sono perfettamente integrate nei quartieri. “La comunità si è da subito attivata per la tracciatura dei contagi, ma soprattutto quel che mi preme sottolineare è che si lavora in- sieme evitando stigmi”, aggiunge Fabaino: “il clima da untore è brutto e il corona- virus non fa distinzioni”. E in mwrito alle proteste il direttore Migrantes evidenzia che Cosenza “dimostra un doppio volto da un lato quello della solidarietà e vicinanza, e dall’altro c’è chi continua a fare fuoco. Speriamo che non ci ammaliamo di cattiveria e sguardo negativo verso i fratelli”.  

Il profumo di pane…

14 Luglio 2020 - Roma - “A giudicare dalle anticipazioni, se saremo tra i vivi la ripartenza sarà graduale e complessa. Dovremo abituarci a convivere ancora con le mascherine, ci misureremo spesso la temperatura, una app traccerà il livello e la geografia del contagio. Sarà una normalità diversa da quella di prima. Difficile dire se e quanto ci abitueremo. Molto dipende da come stiamo vivendo questo periodo, dallo stress accumulato, dal grado di umanità che abbiamo fatto emergere”. Siamo al 16 aprile, a metà del “tempo sospeso” del lockdown imposto dall’epidemia da Covid 19. Da qualche mese il periodo di confinamento è terminato anche se il contagio continua e l’invito è sempre quello dell’essere attenti. Un tempo, quello del lockdown che il giornalista di “Avvenire”, Riccardo Maccioni, ha voluto raccontare, giorno per giorno in “Dalla strada arriva profumo di pane” edito da Ares. In quel 16 aprile Maccioni si fa una domanda che rimane ancora attuale: “quanta libertà siamo disposti a barattare in cambio della sicurezza, a quale livello massimo crediamo possa arrivare il controllo della nostra autonomia”. E la speranza che “l’adattamento cui siamo stati costretti dall’emergenza diventi scuola per la ritrovata quotidianità. Forse - scrive -  un patto con noi stessi però possiamo farlo, possiamo decidere su cosa tenere gli occhi aperti per evitare di doverli chiudere domani davanti agli effetti del nostro disinteresse”. Dopo averci, ogni giorno consegnato “pillole” di saggezza,  racconti - dalla sua finestra di casa, al mattino presto -   emozioni e affidato le sue riflessioni, sempre di speranza, il “Diario” di Maccioni si conclude il 5 maggio quando scrive: “Ora che le nostre città sono ripartite, possiamo con più libertà guardare indietro. Dentro l’isolamento forzato del ‘tutti in casa’, per vedere se le cose che ci sono mancate, alla prova della realtà erano davvero così importanti”. Una lettura che non può mancare alla riscoperta di qualcosa di nuovo e di bello da vivere di nuovo insieme dopo questo tempo “sospeso” e le tante domande …

Raffaele Iaria

     

Mediterranea: nessuno si salva da solo, dalla morte in mare così come dalla pandemia

2 Luglio 2020 - Roma - “Siamo stati informati dalle autorità sanitarie che 8 dei 43 tamponi laringofaringei effettuati ieri pomeriggio sulle persone sbarcate ad Augusta dalla Mare Jonio sono risultati positivi al Covid-19”. Lo scrive oggi sul proprio sito Mediterranea Saving Humans sottolineando che la pandemia “non fa purtroppo distinzione e non conosce i confini e si è evidentemente propagata anche nel continente africano ed in Libia in modo massiccio. Questo impone – spigaa la nota pubblicata sul sito - un intervento umanitario di soccorso che preveda l’evacuazione dai campi di prigionia libici dove le condizioni igenico-sanitari disastrose rischiano di trasformare quei luoghi in un focolaio senza precedenti”. Mediterranea ribadisce che “far morire le persone in mare non può essere un metodo di prevenzione e contenimento del virus”. “È un discorso inaccettabile. E anche quando i profughi miracolosamente riescono ad arrivare fino alla terraferma in autonomia la sicurezza sanitaria è comunque meno garantita rispetto a quanto le nostre navi riescono a fare”. Le persone che “abbiamo salvato sono in quarantena e non rappresentano un rischio per la popolazione siciliana”, spiega l’ong ribadisce che “le procedure adottate da Mare Jonio sono le più avanzate per il contenimento del Covid-19, procedure che permettono di identificare i positivi immediatamente senza rischi di propagazione dell’epidemia”. L’equipaggio di Mare Jonio è adesso “all’ancora nel porto di Augusta, già in quarantena”. “L’equipaggio si atterrà scrupolosamente a tutte le misure che le autorità sanitarie riterranno opportune”.