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Papa in Romania: la riflessione di don Miclaus

6 Giugno 2019 - Torino - Tre giorni di grazia, gioia e pace sotto il segno della pioggia purificante e del sole della speranza. La visita di Papa Francesco in Romania avviene a vent’anni dalla visita del Santo Papa Giovanni Paolo II e a trent’anni da quando il popolo romeno si è liberato dal Regime comunista. Se la prima visita di Wojtyla ha avuto un carattere politico ed ecumenico, questo viaggio apostolico ha avuto un carattere prevalentemente pastorale. Francesco ha incontrato le autorità dello Stato e anche i fratelli ortodossi, ma in modo speciale ha voluto visitare e confortare i cattolici, lì dove vivono, nelle tre province storiche Muntenia, Moldavia e Transilvania. La visita di Papa Bergoglio, come abbiamo visto, è stata preparata in tutti i dettagli e ha avuto un grande successo. Per molti dei nostri cattolici è stato un sogno che è diventato realtà. Finalmente la gente ha potuto incontralo, vederlo e ascoltarlo. Tutti siamo stati impressionati dalla sua umiltà, dalla semplicità, dalla bontà che si vedeva sul suo viso sorridente, ma soprattutto siamo stati impressionati dalle sue parole sagge e profonde che sono rimaste nei nostri cuori. In un Paese multietnico e multiconfessionale come la Romania, il Papa ci ha aiutato a cambiare in meglio, a guardare l’altro non con sospetto ma con amore, a saper ascoltare anche il vicino che non ha le stesse idee politiche o che è di un’altra religione o etnia. Ci ha invitati tutti a camminare insieme con «la consapevolezza della centralità della persona umana e dei suoi diritti inalienabili». Il Papa ha toccato diversi temi importanti e vorrei fermarmi su due, che sono di stretta attualità: quello dei migranti e quello dei rom. Le parole del Papa sui migranti sono state una consolazione per centinaia di migliaia di persone che vivono all’estero e a volte sono discriminate, derise sia nel Paese di partenza, sia in quello di arrivo. Nel suo primo discorso nel Palazzo Cotroceni, a Bucarest, davanti alle autorità politiche e al corpo diplomatico, Papa Francesco ha detto: «Rendo omaggio ai sacrifici di tanti fi gli e figlie della Romania che, con la loro cultura, il loro patrimonio di valori e il loro lavoro arricchiscono i Paesi in cui sono emigrati e con il frutto del loro impegno aiutano le loro famiglie rimaste in patria. Pensare ai fratelli e alle sorelle che sono all’estero è un atto di patriottismo, è un atto di fratellanza, è un atto di giustizia». Nell’ultimo giorno, a Blaj, dopo la Messa con i grecocattolici, durante la quale ha beatificato sette vescovi martiri del regime comunista, il Papa ha voluto incontrare anche la comunità rom radunata nel cortile e nella loro chiesa greco-cattolica per incoraggiarla e anche per chiedere perdono: «Chiedo perdono – in nome della Chiesa al Signore e a voi – per quando, nel corso della storia, vi abbiamo discriminato, maltrattato o guardato in maniera sbagliata (…) e non siamo stati capaci di riconoscervi, apprezzarvi e difendervi nella vostra peculiarità. Anche voi», ha continuato il Papa, «come popolo avete un ruolo da protagonista da assumere e non dovete avere paura di condividere e offrire quelle specifiche caratteristiche che vi costituiscono e che segnano il vostro cammino, e delle quali abbiamo tanto bisogno: il valore della vita e della famiglia in senso allargato (cugini, zii…); la solidarietà, l’ospitalità, l’aiuto, il sostegno e la difesa dei più deboli all’interno della loro comunità; la valorizzazione e il rispetto degli anziani, un grande valore che voi avete; il senso religioso della vita, la spontaneità e la gioia di vivere». Nel viaggio di ritorno, rispondendo alle domande dei giornalisti, il Papa ha espresso l’ammirazione per il bellissimo paesaggio romeno: «Che bello, di una bellezza che non ho mai visto prima». Non posso dimenticare la sua promessa: «Porterò i vostri volti nella mia memoria e anche nelle mie preghiere». Nel suo messaggio preparatorio Papa Francesco aveva detto che sarebbe venuto come «pellegrino» e «fratello» per «camminare insieme» in modo da lasciar «cadere le barriere che ci separano dagli altri». Come romeno spero che il desiderio del Papa si realizzi al più presto, per il bene del nostro Paese e dell’Europa unita. (don George Miclaus, cappellano dei cattolici romeni della Diocesi di Torino – La Voce e il Tempo)