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Volo dell’Angelo: per la prima volta una bambina “migrante”

1 Luglio 2019 - Isernia - Una bella storia di integrazione va in scena questa sera, 1 luglio e domani 2, a Vastogirardi, piccolo comune dell’Alto Molise in provincia di Isernia. Qui dal 1911, in occasione della festa patronale, si svolge il rito della sacra rappresentazione del “Volo dell’Angelo”, nel giorno in cui la chiesa (2 luglio), festeggia la visita di Maria a sua cugina Elisabetta. Il rito del “Volo dell’Angelo” nel piccolo comune altomolisano forse ricorda l’angelo che annunziò a santa Elisabetta e suo marito san Zaccaria che avrebbero avuto un figlio anche se erano in età avanzata. “L’angioletto” di Vastogirardi da sempre è rappresentato da una bambina di età compresa tra i quattro e sei anni che si fa “volare” ad un’altezza non eccessiva grazie ad un cavo d’acciaio teso tra la facciata della chiesa e il balcone della casa difronte, che dista circa 40 metri. La bambina viene assicurata al cavo per mezzo di una imbracatura, che oggi risulta del tipo di quella usata per le arrampicate sportive, e attraverso un congegno di carrucole viene fatta scorrere, da mani esperte, verso la statua della Madonna delle Grazie, per l’occasione posta fuori della chiesa. A Vastogirardi, se è vero che gli angioletti sono di sesso femminile, è pur vero che possono essere cittadine del mondo, non hanno bisogno di dimostrare la propria cittadinanza o l’appartenenza per sangue alla popolazione del luogo per indossare i serafici abitini (bianco per la sera del 1 luglio e celeste per il giorno del 2 e ali di piume bianche) e scorrere su quella fune e far emozionare la folta platea che riempie la piazza e le strade adiacenti la chiesa. Elena Pallotto, cinque anni, capelli biondi e ricci è l’angioletto edizione 2019, e dopo 108 anni è anche la prima bimba con la mamma immigrata. I suoi genitori non sono nativi del luogo, la mamma, Cleopatra viene da Piatra Neamt, una cittadina della Romania, il papa Luigi è della zona e ha un’azienda zootecnica. Una bella storia di integrazione è quella di Luigi e “Cleo”, come tutti amichevolmente chiamano la signora, che arrivò 14 anni fa a Vastogirardi e da allora non si è più spostata. Luigi e Cleopatra stanno insieme da più di 10 anni, sposati da due, oltre ad Elena hanno un altro figlio più grande, Emilio. Elena, ha raccontato la mamma, dalla prima volta che vide il “Volo dell’Angelo”, disse che lo avrebbe voluto fare anche lei, così la paziente e insostituibile “maestra Stella”, la maestra dell’asilo comunale che da anni prepara gli angioletti, si è messa subito al lavoro per istruirla, oltre che scrivere e insegnarle la preghiera da recitare alla Madonna in una delle “uscite” che fa l’angioletto. La bimba, al suono della musica della banda, oltre alla preghiera porta l’incenso, un cesto pieno di petali di fiori che sparge sulla statua e sulla folla sottostante e, nell’ultima uscita del giorno 2 luglio, un dono, quasi sempre un oggetto d’oro, che la famiglia dona alla Madonna come ringraziamento e ricordo. Il santo protettore di Vastogirardi è San Nicola, si festeggia il 3 luglio il giorno seguente alla rappresentazione del “Volo dell’Angelo”, e la bimba vestita da angelo apre la processione assieme ai bambini che indossano il saio della prima comunione. (Nicoletta Di Benedetto)

Papa in Romania: la figura del Servi di Dio Clemente Gatti

30 Maggio 2019 - Roma - L’amore per la propria terra e la propria nazione lo si apprezza soprattutto quando si vive fuori di essa. E una affermazione molto comune tra i nostri emigranti all’estero. Ed è quello che è successo anche a p. Clemente Gatti nella sua esperienza di religioso francescano a fianco dei nostri connazionali che vivevano in Romania e ai quali ha dedicato il suo apostolato per circa un decennio. Nato a Caselle di Pressana (VR) il 16 febbraio 1880, Pietro Ernesto Domenico Gatti - questo il suo vero nome prima di quello religioso di Clemente - a 15 anni entra nell’ordine dei Frati Minori Francescani. Ordinato sacerdote a Roma il 2 aprile 1904 in S. Giovanni in Laterano, si specializza in Teologia dogmatica e inizia ad insegnare in Sardegna, Malta, Veneto, Ungheria e Romania. In questo campo - e in quello della predicazione - è molto attivo: emerge il tratto di un francescano innamorato della Chiesa e della sua vocazione. Oltre all’insegnamento p. Gatti è stato anche cappellano militare durante la prima guerra mondiale sulle linee dell’lsonzo: per questo servizio è stato insignito del titolo di Cavaliere della “Corona d’Italia”, “per aver prestato diuturna, infaticabile opera di conforto ai feriti, sprezzante del pericolo e dando ammirabile esempio di cristiana pietà e di militari virtù”. Fu - come ricorda p. Fabio Longo, vice-postulatore della Causa di Beatificazione - soprattutto intrepido nell’affrontare gli insidiosi pericoli disseminati dal regime comunista durante la sua prolungata permanenza in Romania. Negli anni fine ‘40, inizi ‘50, in un succedersi di tragiche vicende per la Chiesa cattolica, p. Clemente Gatti ha reso la sua testimonianza una offerta di fedeltà che ha fatto della sua morte un martirio a causa della fede e del Vangelo. In questo breve articolo vorremmo soffermarci soprattutto sulla sua attività di sacerdote impegnato nella Missione cattolica Italiana di Bucarest in Romania dove arriva nel 1938. In questa città c’erano infatti, molti italiani, soprattutto friulani e veneti. Il frate francescano comprese che questi nostri connazionali non si avvicinavano alla Chiesa soprattutto per la difficoltà della lingua, la diversità dei costumi locali, e perchè - ricorda fra Claudio Bratti nel volume P. Clemente Gatti Martire della fedeltà alla sede di Pietro in Romania” - i cattolici del luogo non erano numerosi e le parrocchie, di conseguenza, molto vaste. Nello stesso tempo erano pochi i sacerdoti che parlavano l’italiano. Era difficile avvicinare questi italiani. P. Gatti inizia un vero e proprio apostolato con loro: celebra la Messa in italiano, affronta con loro le problematiche più urgenti, etc. La loro situazione nella Bucarest di quegli anni è molto difficile. Oltre ai problemi economici e, spesso, di povertà estrema, molti vivono una situazione giuridica non chiara. P. Clemente affronta queste situazioni cercando di regolarizzarle. “Mi raccomandai al Cuore SS. di Gesù perchè mi aumenti - scrive il 6 luglio 1943 in una lettera al Superiore Generale dell’Ordine dei frati Minori Francescani - in me la sua Grazia e benedica l’apostolato che esercito, con il permesso dei superiori e dell’Ordinario, tra i molti connazionali sparsi in queste regioni, religiosamente trascuratissimi, e viventi in deplorevoli irregolarità matrimoniali. Con carità, pazienza e zelo, tante piaghe si risanano. Come vede faccio il missionario: l’ideale della mia vita”. E in altra lettera dell’8 novembre 1944, entra nel dettaglio della sua attività con gli italiani in Romania: “la mia vita si svolge invariata: scuola ed apostolato tra gli operai connazionali sparsi un pò avunque in queste regioni. Li visito, li aiuto, predico, celebro”. Con la seconda guerra mondiale la Romania viene invasa dall’Armata Rossa. Il convento di Hunedoara (nella Transilvania che allora faceva parte del regno della Romania) dove viveva p. Gatti viene occupato dalla Securitatea, la polizia segreta del regime comunista. Tutti i chierici sono rimandati alle loro case, i sacerdoti deportati al vescovado di Alba Julia. P. Gatti, in quanto cittadino italiano, ottiene il permesso di trasferirsi a Bucarest, dove, anziché rientrare in Italia, accetta l’incarico di rettore della chiesa parrocchiale di S. Salvatore, il cui fondatore (il vicentino mons. A. Mantica) veniva espulso dal regime in quei giorni. In questo periodo il nostro sacerdote ha dovuto svolgere anche il compito di Visitatore Generale dei Frati Minori in quanto non era possibile far arrivare un inviato dalla Congregazione Generale di Roma. Sarà lui a descrivere al Superiore Generale, la situazione della Romania in quegli anni; una situazione che definisce - in una lettera del 29 giugno 1948 - “grave” e che “tende a peggiorare”. “L’avvenire - aggiunge - è molto fosco. Noi godiamo in caritate e patientia Christi. Siamo pronti a tutto pur di restare fedeli a Gesù ed al suo augusto Vicario in terra”. In questi anni vengono soppresse tutte le comunità religiose cattoliche e le diocesi ridotte a due. Tutte le proprietà della Chiesa Greco Cattolica passano alla Chiesa Ortodossa Rumena. Le comunità religiose femminili devono concentrarsi in due comunità rurali e quelle maschili in un unico centro. Unica alternativa è quella di entrare a far parte della Chiesa Ortodossa rumena. Una decisione non accettata dai cattolici di rito latino che opposero resistenza finendo in carcere e sotto tortura. P. Gatti continua a svolgere il suo ministero a Bucarest dove diviene, l’8 febbraio 1950, rettore della chiesa degli italiani che fu - come racconta uno degli italiani residente a Bucarest in quegli anni - oggetto di “speciali sospetti e di arbitrarie violenze”. Molte le difficoltà che il nostro sacerdote deve affrontare: percorre l’intera città da una parte all’altra per andare a trovare i nostri connazionali, per confortarli e aiutarli anche per regolarizzare le loro posizioni spesso irregolari. Questo suo attivismo viene segnalato alle autorità rumene che lo considerano quasi un sovversivo. “Durante la settimana - scrive p. Gatti in un’altra lettera al Superiore Generale dei Francescani datata 29 marzo 1950 - visito i poveri a domicilio (circa ottanta famiglie), con sussidi alimentari o pecuniari. Anche alla casa canonica affluiscono bisognosi di varie razze, religioni e nazionalità. S. Antonio, con l’opera del pane dei poveri, provvede a tutti”. La situazione è difficile. Gli italiani decidono di abbandonare la Romania, chi per l’America chi invece per l’Italia. La comunità degli italiani si riduce enormemente: si passa da 6-7.000 persone a 700-800 cittadini italiani. Nonostante tutto la chiesa è molto frequentata, anche da ortodossi. In questo periodo - racconta fra Claudio Bratti nel volume che abbiamo citato precedentemente e che fa da guida per questo nostro scritto - sono molte le testimonianze che raccontano degli aiuti di p. Gatti ai cittadini italiani: medicine, generi alimentari e anche contributi in denaro per pagare le spese di riscaldamento. Inoltre si fa carico di distribuire gli aiuti che arrivano dal Vaticano per sostenere le piccole comunità cattoliche che avevano rifiutato l’unione con la Chiesa ortodossa imposta dal regime, cercando di non farsi scoprire. Aiutava anche, con somme di denaro, i sacerdoti greco-cattolici, specie quelli con famiglia. Questa sua attività non passa inosservata alla Securitate che nel marzo del 1951 lo arresta poiché un sacerdote greco-cattolico, trovato in possesso di denaro, fu costretto con la tortura a rivelare chi glielo aveva fornito. E’ sottoposto quindi a vari maltrattamenti e, dopo il tipico processo farsa viene condannato a 15 anni di carcere duro e 10 anni di privazione dei diritti civili. Precedentemente c’era stato un tentativo di espulsione andato a vuoto, come racconta lo stesso p. Gatti in una lettera al Superiore Generale: “Devo darle una notizia sorprendente. Il Governo della Repubblica Popolare Romena mi intima di lasciare entro dieci giorni la Romania. Non ne indica il motivo. Ma è un complesso di cose e circostanze religiose che, cacciandomi, si vuol colpire e sopprimere. La Legazione d’Italia è ricorsa, con la massima urgenza, perchè l’ordine di espulsione sia revocato”. Una richiesta accolta per il momento. In un altra lettera scrive che “sì vive in condizioni anormali e del tutto incredibili. Io stesso, benchè protetto dalla Legazione Italiana sono sorvegliato dalla polizia e posso essere espulso (se andrà bene) improvvisamente. In tal caso la Chiesa nazionale Italiana verrebbe chiusa”. Era la sua grande preoccupazione: gli italiani in Romania non potevano restare senza una Chiesa e una guida. E il giorno prima dell’arresto scrive: “Sì potrei essere arrestato per il sospetto che io sia il tramite con la S. Sede, delle diocesi cattoliche. Pel sospetto che le sovvenzioni ai carcerati e perseguitati, provenienti dalla carità del Papa, passino per le mie mani. Ma che importa? Per una sì nobile causa si può correre il pericolo della prigionia. Cosa ho sofferto io, finora, per la fede e per il Papa? è vero che in Romania tutti i vescovi sono in carcere o in domicilio forzato. E’ anche vero che moltissimi sacerdoti e religiosi sono costretti come schiavi ai lavori materiali sul Danubio... Ma disertare la linea di combattimento, mentre urge la difesa, non è degno di un sacerdote francescano. Perciò la prego. P. Rev.mo, di guardare la mia posizione alla luce della fede”. Il 14 aprile del 1952, su pressioni del Governo italiano, viene liberato e consegnato alla frontiera con l’Austria, in condizioni estremamente precarie. Due giorni dopo arriva a Vienna dove viene ricoverato in una clinica. “Era - ha raccontato p. Serafino Mattiello - ridotto ad una larva di uomo, semiparalizzato, con la perdita quasi totale della favella”. Si decide, dopo le prime cure, di farlo proseguire per Padova, dove giunge il 15 maggio per essere ricoverato nell’infermeria che da poco i Frati Minori avevano aperto a Saccolongo. Secondo un medico che lo visita in quei giorni gli sarebbe stata tirata la lingua in modo violento, oppure prodotto un taglio alla base della lingua stessa, forse per non fargli raccontare le violenze e le torture subite. Muore dopo tre settimane, il 6 giugno 1952. Nel 1997 il Governo Rumeno ha chiesto scusa per il trattamento riservato a p. Clemente Gatti decretandone l’abilitazione civile. Nel 2002 la diocesi di Padova ha avviato il processo di canonizzazione mentre la sua memoria rimane viva tra gli italiani in Romania soprattutto per il suo zelo apostolico e la sua carità. (Raffaele Iaria)

Papa in Romania: la comunità cattolica rumena in Italia

29 Maggio 2019 - Roma - Papa Francesco è atteso in Romania dal 31 maggio fino al 2 giugno, come per un triduo pasquale. Accogliendo l’invito del presidente, delle autorità dello Stato e della Chiesa cattolica della Romania, la visita di papa Francesco avviene dopo quella storica di Giovani Paolo II nel 1999, esattamente 20 anni fa, che fu la prima visita di un vescovo di Roma in un Paese a maggioranza ortodossa. Allora, per contingenti motivi interreligiosi, la visita si è limitata alla capitale Bucarest. Nonostante ciò, Giovanni Paolo II fu accolto da un grido spontaneo che rimase alla storia, “Unitate, Unitate”. Quel grido non si è mai spento, ma è rimasto come un seme gettato in terra e che aspetta con i suoi tempi per germogliare. Ancora non si vedono i frutti ma la speranza rimane e Dio può sorprenderci sempre. Può sorprenderci anche papa Francesco che in Romania è molto amato non soltanto dai cattolici ma da tutti. Egli rappresenta per i non cattolici una figura che parla dell’unità e della necessità di rendere visibile questa unità per il bene di tutti. Il Papa è un dono. Lui da all’altro l’immagine della bontà di Dio, della sua Misericordia, della pace. In questa visita apostolica breve, intensa e piena di eventi significativi, il Vescovo di Roma può prendere contatto diretto con la realtà pastorale delle Chiese cattoliche locali nella loro diversità rituale e linguistica. Il viaggio del Santo Padre Francesco comincia a Bucarest con la visita al Presidente e al Patriarca ortodosso. Poi ci sarà una messa nella cattedrale cattolica di San Giuseppe. Il secondo giorno si recherà per una S. Messa al santuario mariano di Şumuleu Ciuc nell’arcidiocesi cattolica di Alba Iulia e poi nella diocesi cattolica di Iaşi per un incontro con i giovani e le famiglie. Domenica, all’apice della sua visita, papa Francesco sarà a Blaj, che è il centro della Chiesa Greco-Cattolica Romena e dove ci sarà la Divina Liturgia con la beatificazione di sette vescovi martirzzati durante il regime totalitario. In queste diocesi il Papa incontrerà le comunità così come sono. Sono una piccola minoranza, ma una minoranza dinamica un po’ dappertutto. In questo viaggio il Papa avrà l’opportunità di vedere le bellezze non solo della nostra gente ma anche del nostro Paese, che Giovanni Paolo II chiamò con il bel titolo di “Giardino della Madre di Dio”. L’attesa della Chiesa cattolica in Romania e di tutta la società è grande. Durante le preparazioni della visita del Papa sono apparse di una maniera ancor più evidente le conseguenze dell’emigrazione. Se ne è parlato come di una “ferita” aperta nel corpo del Paese. “Sono ormai milioni i romeni che lavorano fuori, in Italia, in Spagna, in tutta Europa e non solo. Questo porta tante sofferenze nelle nostre famiglie, perché ci sono genitori che hanno lasciato a casa i loro bambini che restano, quindi, senza mamma e papà. Ci sono casi in cui mancano tutti e due i genitori, tanti casi in cui uno dei due manca per molto tempo. Le famiglie, i giovani vanno via per un salario migliore, per un tenore di vita superiore a quello che la Romania può offrire” (Mons. Ioan Robu). La presenza delle nostre comunità romene sparse in Italia è ben visibile nelle chiese che i vescovi e i parroci mettono a disposizione tramite i direttori diocesani Migrantes. Ne siamo grati. Ora le nostre comunità sono ben liete di accompagnare papa Francesco in Romania sotto il motto che è stato scelto per questo viaggio: “Camminiamo insieme”. Lo accompagniamo in questi giorni con preghiere speciali che s’innalzano dalle nostre comunità compatte, radunate a Torino, Rovereto, Milano, Cremona, Lodi, Verona e dintorni, Padova, Pordenone, Schio, Bologna, Firenze, Arezzo, Foligno, Pescara, Città di Castello, Roma, Ostia, Ladispoli, Cesano, Salerno. Intendiamo radunarci in Piazza San Pietro per ringraziare il Papa al suo ritorno. Buon viaggio, papa Francesco! Camminiamo con te! (Mons. Anton Lucaci, Coordinatore nazionale per i cappellani romeni cattolici latini in Italia)