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Domenica la Giornata per la Carità del Papa

24 Giugno 2021 - Città del Vaticano - È fissata per domenica 27 giugno la Giornata per la carità del Papa durante la quale, in tutte le Diocesi del mondo, viene raccolto il cosiddetto Obolo di San Pietro, particolarmente prezioso in un tempo di crisi come quello che siamo costretti a vivere. Grazie alle donazioni di tutti sarà possibile realizzare quei progetti che portano concretamente la vicinanza di Papa Francesco a quanti stanno soffrendo a causa della pandemia: nella crisi c’è bisogno di un cambiamento, e la Chiesa è in prima linea in tutto il mondo nel fronteggiare le conseguenze del Coronavirus, fornendo assistenza umanitaria e sanitaria attraverso le Chiese locali. Con il termine Obolo di San Pietro si indica l’aiuto economico che i fedeli offrono al Santo Padre come segno di adesione alla sollecitudine del Successore di Pietro per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità in favore dei più bisognosi. Il contributo si manifesta in due modi: nel finanziare le tante attività di servizio svolte dalla Curia di Roma (formazione del clero, comunicazione, promozione dello sviluppo umano integrale, dell’educazione, della giustizia) e nel contribuire alle opere di assistenza materiale diretta ai più bisognosi. L’Obolo ha una duplice finalità: il sostegno della missione universale del Successore di S. Pietro, il quale si avvale di un complesso di organismi che prendono il nome di Curia romana e di oltre cento Rappresentanze Pontificie sparse in tutto il mondo; in seconda battuta giunge il sostegno alle opere di carità del Papa a favore dei più bisognosi. L’utilizzo dei proventi Le offerte dei fedeli sono destinate al sostentamento delle attività del Santo Padre per tutta la Chiesa Universale. Tali attività sono quelle realizzate dalla Santa Sede. Il Papa, come Pastore di tutta la Chiesa, si preoccupa sia delle necessità di evangelizzazione (spirituali, educative, di giustizia, di comunicazione, di carità politica, di attività diplomatica) che delle necessità materiali di diocesi povere, istituti religiosi e fedeli in gravi difficoltà (poveri, bambini, anziani, emarginati, vittime di guerre e disastri naturali; aiuti particolari a Vescovi o Diocesi in necessità, educazione cattolica, aiuto a profughi e migranti). Per vigilare sulla massima efficienza della Curia e sulla destinazione degli aiuti ricevuti è stato in questi ultimi anni avviato un processo di riorganizzazione dei Dicasteri orientato a ridurre al massimo le spese di funzionamento interno in favore di quelle destinate agli interventi caritativi e missionari. Le spese preventivate per il 2021 sono le più basse della storia recente della Santa Sede, ma i risparmi sono stati fatti senza diminuire il servizio alla missione del Papa. Per rendere conto ai fedeli sparsi nel mondo di come vengono usate le risorse la Santa Sede ha presentato all’inizio di marzo il bilancio preventivo del 2021, spiegato dal Prefetto della Segreteria per l’Economia, Padre Juan Antonio Guerrero Alves disponibile sul sito obolodisanpietro.va, dove è anche possibile donare cliccando sul tasto giallo con la scritta “Dona ora”.  

Papa Francesco: il Mediterraneo è il più grande cimitero d’Europa

14 Giugno 2021 - Città del Vaticano – Ieri pomeriggio ad Augusta, in Sicilia, la cerimonia di accoglienza del relitto della barca naufragata il 18 aprile 2015. Questo “simbolo di tante tragedie del Mar Mediterraneo – ha detto Papa Francesco al termine dell’Angelus ieri mattina - continui a interpellare la coscienza di tutti e favorisca la crescita di un’umanità più solidale, che abbatta il muro dell’indifferenza. Pensiamoci: il Mediterraneo è diventato il cimitero più grande dell’Europa”. Il relitto di quell'imbarcazione con a bordo 1000 migranti (solo 28 i superstiti) verrà esposto in maniera permanente nel porto della cittadina siciliana dopo essere rientrato da Venezia, dove era stato esposto per la Biennale del 2019. L’iniziativa di ieri sera è avvenuta all’interno delle celebrazioni per la Madonna della Stella Maris. A conclusione della cerimonia civile una concelebrazione eucaristica dei sacerdoti di Augusta con l’arcivescovo di Siracusa, Mons. Francesco Lomanto.

“Custodire”: una parola che sembra così lontana dalla realtà del Myanmar”. La testimonianza di G.R.

17 Maggio 2021 - Città del Vaticano - Papa Francesco ha aperto, ieri, l'omelia della messa con i fedeli del Myanmar con il verbo  custodire: "una parola che sembra così lontana dalla realtà del Myanmar dove ogni cosa che rappresenti un simbolo del regime militare è soggetto a distruzione e viceversa: ogni cosa che rappresenta una semplice idea diversa da quella del regime militare, viene vista come 'un nemico' da distruggere", dice G.R. da 30 anni nel sud est Asiatico con una grande passione per gli aspetti sociali e spirituali della regione e per la sua "meravigliosa gente". "Sembra che sia impossibile, a questo momento, qualsiasi dialogo tra le parti in conflitto e si gioca alla distruzione reciproca. E' proprio un segno della presenza del Male, della suo opera", aggiunge G. Il paese, entrato nella spirale di odio in seguito al colpo di stato del 1 Febbraio scorso, ha visto "cancellare riforme e sviluppo che sono iniziati dal 2015 fino ad oggi: in un 'battito di ciglio' è stato cancellato tutto un processo democratico per ritornare al vecchio, al ''già visto'', alla soppressione di ogni libertà. Gli interessi di parte, la sete di profitto e di potere hanno veramente preso il sopravvento in Myanmar e fatto ripiombare il paese in un clima di odio, di divisione, di impossibilità di dialogo". L'unità è il "richiamo principale" dell'omelia del Papa: "come se richiamasse tutta la Chiesa in Myanmar al fondamento dell'unità che è il fondamento della Chiesa: l'essere una cosa sola. Un richiamo non casuale probabilmente rivolto alla gerarchia del Myanmar, chiamata a stringersi intorno ai suoi pastori affinché abbiamo una linea comune e unitaria di confronto e di azione davanti al regime militare. Sia perché l'unità della Chiesa con i suoi pastori è fondamentale per ogni chiesa locale: ma anche perché non è scontata in un paese con 135 etnie riconosciute e presenti all'interno del popolo di Dio". G.R. ricorda che nell'omelia del Pontefice "c'è un chiaro richiamo a tutta la Chiesa ad essere testimone di Vangelo vissuto, della testimonianza dell'amore eroico che porta in sè la speranza cristiana. Un richiamo forte e un'indicazione precisa: solo con l'amore che testimonia Gesù Cristo vivo c'è l'unica via per non perdere la speranza in una nazione che è praticamente, in guerra e sull'orlo di una catastrofe umanitaria e sicuramente economica. E l'ultimo richiamo alle piaghe di Gesù, con cui si chiude l'omelia, possiamo dire che sia il richiamo alle innumerevoli piaghe del popolo e dei popoli del Myanmar che più di 70 anni sono piagati da una violenta classe dirigente militare aggrappata al potere che non disdegna, da 70 anni ormai, la violenza anche più brutale e crudele, pur di non cambiare corso". (R. Iaria)

I prigionieri di Lesbo

29 Aprile 2021 - Città del Vaticano - Crudele e irrazionale. Due parole, dette dall’associazione Medici senza frontiere, per riassumere l’assurdo tormento inflitto a oltre 6.000 migranti prigionieri, di fatto, nell’isola di Lesbo, Grecia. Famiglie, anziani, donne incinte e sole, bambini anche con gravissimi e documentati segni di disagio psichico, persone abusate: tutti in marcia da un campo all’altro. Obiettivo finale il concentramento a Moria 2, un campo sorto provvisoriamente dopo un incendio e che sembra, invece, destinato ad essere usato stabilmente come meta finale di tutti gli sciagurati che hanno avuto in sorte Lesbo nella loro fuga per la vita. L’inferno della migrazione globale ha anche i volti di tremila bambini — quasi tutti sotto i 12 anni — bloccati sull’isola dove l’ultimo campo considerato praticabile, quello di Kara Tepe, è stato «irrazionalmente e crudelmente» chiuso nei giorni scorsi. Lo denuncia non solo Medici senza frontiere ma anche un rapporto dell’Oxfam e del Greek refugees council. In mille marciano verso il ghetto di Moria 2. Presto saranno quasi 7.000 stipati là dentro. Vengono da Afghanistan, Siria, Somalia, hanno diritto ad asilo e protezione internazionale: invece Oxfam ne ha contati almeno 248 in detenzione, due dei quali sono morti. Nel centro di Magal Therma, dove si dovrebbero accudire le persone in quarantena per il covid, 13 ospiti sarebbero stati picchiati e ributtati a mare, verso la Turchia, denuncia l’Oxfam che lancia il richiamo all’Unione europea: il nuovo patto per le migrazioni non perpetui così tanto dolore. (Chiara Graziani - OR)  

Ucraina: appello di Papa Francesco

19 Aprile 2021 - Città del Vaticano - “Seguo con viva preoccupazione gli avvenimenti in alcune aree dell’Ucraina orientale, dove negli ultimi mesi si sono moltiplicate le violazioni del cessate il fuoco, e osservo con grande inquietudine l’incremento delle attività militari”. Così il Papa, al termine del Regina Coeli di ieri. “Per favore – ha detto Papa Francesco -, auspico fortemente che si eviti l’aumento delle tensioni e, al contrario, si pongano gesti capaci di promuovere la fiducia reciproca e favorire la riconciliazione e la pace, tanto necessarie e tanto desiderate”. “Si abbia a cuore – ha concluso - anche la grave situazione umanitaria in cui versa quella popolazione, alla quale esprimo la mia vicinanza e per la quale vi invito a pregare”.  

È risorto!

6 Aprile 2021 - Città del Vaticano - Una settimana nella quale abbiamo accompagnato Gesù mentre entrava a Gerusalemme accolto dalla folla osannante. Lo abbiamo accompagnato in quella ultima cena nella sala del Cenacolo, quando ci ha donato, si è donato come pane spezzato e sangue versato. Nell’orto degli Ulivi eravamo con lui mentre uno dei dodici lo tradiva, mentre lui chiedeva amicizia ai suoi. Poi la croce estremo atto di amore per tutti gli uomini, ma “collocazione provvisoria” come ricordava don Tonino Bello che aveva visto questa scritta posta accanto al crocifisso in un locale della sacrestia del duomo a Molfetta: non c’è formula migliore per “definire la croce, la mia, la tua, non solo quella di Cristo”. La provvisorietà della croce, diceva, è data da un passo preciso del Vangelo: “da mezzogiorno alle tre si fece buio su tutta la terra. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell’orario, c’è il divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore – affermava don Tonino Bello – ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio”. La domenica di Pasqua inizia con il buio, quando Maria di Magdala si reca al sepolcro. Buio fuori e, forse, buio dentro il cuore della donna. La pietra rotolata la fa correre da Pietro e da Giovanni per dire che “hanno portato via il Signore dal sepolcro. Per gli ebrei i simboli della Pasqua sono l’agnello e il pane azzimo. Cristo è morto sulla croce proprio nell’ora in cui era consuetudine immolare gli agnelli nel Tempio di Gerusalemme, memoria della liberazione dalla schiavitù d’Egitto. Cristo diventa così “l’agnello di Dio immolato sulla croce per togliere i peccati del mondo”. Il pane azzimo è il tema della purificazione: secondo una antica usanza ebraica, a Pasqua si doveva eliminare ogni più piccolo avanzo di pane lievitato, ricordo della fuga dall’Egitto quando, lasciando quella terra, gli ebrei avevano portato con se solo focacce non lievitate. Azzimi, simbolo di purificazione: “eliminare ciò che è vecchio per fare spazio al nuovo”. Ecco la novità cristiana, il nuovo “passaggio”: l’annuncio della risurrezione, è l’evento che illumina il mondo, le sue zone buie. È “il primo annuncio di Pasqua che vorrei consegnarvi – dice papa Francesco nella veglia della notte – è possibile ricominciare sempre, perché c'è una vita nuova che Dio è capace di far ripartire in noi al di là di tutti i nostri fallimenti”. La Pasqua “non mostra un miraggio, non rivela una formula magica, non indica una via di fuga di fronte alla difficile situazione che stiamo attraversando”. Dall’altare della Cattedra, nella basilica vaticana, il Papa pronuncia il messaggio Urbi et Orbi, cioè alla città e al mondo, e dice: “Cristo risorto è speranza per quanti soffrono ancora a causa della pandemia, per i malati e per chi ha perso una persona cara”. E ancora: “Il Signore dia loro conforto e sostenga le fatiche di medici e infermieri. Tutti, soprattutto le persone più fragili, hanno bisogno di assistenza e hanno diritto di avere accesso alle cure necessarie. Ciò è ancora più evidente in questo tempo in cui tutti siamo chiamati a combattere la pandemia e i vaccini costituiscono uno strumento essenziale per questa lotta”. Nello spirito di un “internazionalismo dei vaccini”, Francesco chiede alla comunità internazionale “un impegno condiviso per superare i ritardi nella loro distribuzione e favorirne la condivisione, specialmente con i Paesi più poveri”. Guarda a quanti sono in difficoltà: Cristo risorto, dice, “è conforto per quanti hanno perso il lavoro o attraversano gravi difficoltà economiche e sono privi di adeguate tutele sociali”. Chiede che il Signore “ispiri l’agire delle autorità pubbliche perché a tutti, specialmente alle famiglie più bisognose, siano offerti gli aiuti necessari a un adeguato sostentamento. La pandemia ha purtroppo aumentato drammaticamente il numero dei poveri e la disperazione di migliaia di persone”. Ha parole, il Papa, per le tante situazioni difficili che il mondo vive, e ricorda la tragedia dei migranti in fuga da guerre e miserie: nei loro volti, dice, “riconosciamo il volto sfigurato e sofferente del Signore che sale il Calvario”. (Fabio Zavattaro - Sir)  

La grazia dello stupore

29 Marzo 2021 - Città del Vaticano - Domenica delle Palme per la seconda volta senza processione in piazza san Pietro, senza folla, mani che agitano palme e ulivi. Ancora la pandemia che segna la festa, celebrazione dell’ingresso festoso di Gesù a Gerusalemme. «L’anno scorso eravamo più scioccati, quest’anno siamo più provati. E la crisi economica è diventata pesante» dice Papa Francesco all’Angelus. «In questa situazione storica e sociale, Dio cosa fa? Prende la croce. Gesù prende la croce, cioè si fa carico del male che tale realtà comporta, male fisico, psicologico e soprattutto male spirituale, perché il maligno approfitta delle crisi per seminare sfiducia, disperazione e zizzania». Male, come la violenza che si consuma in Myanmar con le sue numerose vittime; come l’attentato avvenuto nella mattina davanti la cattedrale di Makassar in Indonesia. Gesù sale sulla croce, dice il Papa, «per scendere nella nostra sofferenza», per avvicinarsi a noi «e non lasciarci soli nel dolore e nella morte». Celebra nella basilica vaticana papa Francesco, pochi fedeli nel rispetto delle norme anti Covid. Liturgia nella quale facciamo memoria di un ingresso nella città santa diverso dal solito; l’ultima tappa sono due località nei pressi del monte degli ulivi citati da Marco nel suo Vangelo: Betfage e Betania. Per entrare a Gerusalemme chiede ai suoi discepoli di trovare una cavalcatura semplice, umile, come quella di un asino. La gente attende per Pasqua «il liberatore potente, ma Gesù viene per compiere la Pasqua con il suo sacrificio», la gente «aspetta di celebrare la vittoria sui romani con la spada, ma Gesù viene a celebrare la vittoria di Dio con la croce». Entra nella città santa con l’intenzione di rivelare chiaramente la sua missione; sa che sono le sue ultime ore di vita terrena, sa che gli amici, i discepoli non esiteranno Giuda a tradirlo, e Pietro a rinnegarlo per tre volte. L’ingresso trionfante, per alcuni versi, metafora dell’effimera gloria terrena, di come l’uomo possa esaltare e successivamente condannare senza chiedersi perché. Una radice è un fiore che disprezza la fama, scrive Khalil Gibran. Gesù sale sulla croce, afferma Papa Francesco e prova «i nostri stati d’animo peggiori: il fallimento, il rifiuto di tutti, il tradimento di chi gli vuole bene e persino l’abbandono di Dio. Sperimenta nella sua carne le nostre contraddizioni più laceranti, e così le redime, le trasforma. Il suo amore si avvicina alle nostre fragilità, arriva lì dove noi ci vergogniamo di più. E ora sappiamo di non essere soli: Dio è con noi in ogni ferita, in ogni paura: nessun male, nessun peccato ha l’ultima parola. Dio vince, ma la palma della vittoria passa per il legno della croce. Perciò le palme e la croce stanno insieme». L’immagine che il Papa propone, nella sua riflessione all’Angelus, è Maria, «la prima discepola»: ha seguito il figlio «ha preso su di sé la propria parte di sofferenza, di buio, di smarrimento e ha percorso la strada della passione custodendo accesa nel cuore la lampada della fede. Con la grazia di Dio, anche noi possiamo fare questo cammino. E, lungo la via crucis quotidiana, incontriamo i volti di tanti fratelli e sorelle in difficoltà: non passiamo oltre, lasciamo che il cuore si muova a compassione e avviciniamoci». Nell’omelia, in basilica, papa Francesco mette l’accento sul tema dello stupore, e dice che le palme e la croce stanno insieme, per questo «dobbiamo chiedere la grazia dello stupore. La vita cristiana, senza stupore, diventa grigiore. Come si può testimoniare la gioia di aver incontrato Gesù, se non ci lasciamo stupire ogni giorno dal suo amore sorprendente, che ci perdona e ci fa ricominciare?». Diventa sorda la fede che perde lo stupore, «non sente più la meraviglia della grazia, non sente più il gusto del Pane di vita e della Parola, non percepisce più la bellezza dei fratelli e il dono del creato». Se non siamo più capaci di stupirci, forse è «perché la nostra fede è stata logorata dall’abitudine. Forse perché restiamo chiusi nei nostri rimpianti e ci lasciamo paralizzare dalle nostre insoddisfazioni. Forse perché abbiamo perso la fiducia in tutto e ci crediamo persino sbagliati. Ma dietro questi ‘forse’ c’è il fatto che non siamo aperti al dono dello Spirito, che è colui che ci dà la grazia dello stupore».(Fabio Zavattaro - Sir)  

Papa Francesco: “assicurare a tutti acqua potabile e servizi igienici”

22 Marzo 2021 - Città del Vaticano - “Per noi credenti, ‘sorella acqua’ non è una merce: è un simbolo universale ed è fonte di vita e di salute”. A ricordarlo è stato Papa Francesco al termine dell’Angelus di ieri – trasmesso in diretta streaming dalla Biblioteca privata del Palazzo apostolico – e alla vigilia della Giornata mondiale dell’acqua, che si celebra oggi. “Troppi fratelli, tanti, tanti fratelli e sorelle hanno accesso a poca acqua e magari inquinata!”, ha sottolineato il Pontefice secondo il quale “è necessario assicurare a tutti acqua potabile e servizi igienici”. “Ringrazio e incoraggio quanti, con diverse professionalità e responsabilità, lavorano per questo scopo così importante”, ha poi aggiunto citando, ad esempio, l’Università dell’Acqua, “nella mia patria, a coloro che lavorano per portarla avanti e per far capire l’importanza dell’acqua. Grazie tante a voi argentini che lavorate in questa Università dell’Acqua”.

Vogliamo vedere Gesù

22 Marzo 2021 - Città del Vaticano - “È venuta l’ora che il figlio dell’uomo sia glorificato”. Il tema dell’ora attraversa tutto il quarto Vangelo, a partire dalla risposta che Gesù dà a sua madre a Cana, durante il banchetto di nozze. È consapevole di avere una missione da compiere; sa che lui è il seme che nella terra muore per dare frutto, per rinascere e far germogliare una nuova vita. È venuta l’ora. Uomini e donne affollano le strade della città santa che vive l’attesa della Pasqua. Sono gli ultimi giorni terreni di Gesù e domenica prossima racconteremo la sua entrata nella città santa, accolto e salutato da giovani e meno giovani che agitano le palme. I Vangeli raccontano che sarà tradito, catturato, condannato a morte. Ma come sappiamo la storia non si ferma a venerdì, perché tre giorni il suo sepolcro sarà trovato vuoto, la pesante pietra rotolata. È la terza e ultima Pasqua vissuta da Gesù a Gerusalemme; i sommi sacerdoti hanno già deciso la sua sorte, hanno già costruito quel percorso che lo porterà a salire il Golgota. È venuta l’ora. In quei giorni Gerusalemme accoglie anche non ebrei, pagani che si sentivano attirati dalla religione di Israele, come quei greci che avvicinano Filippo. Forse lo vedono come uno di loro, infatti egli veniva da una città della Galilea, Betsaida, abitata da molti greci, e greco è il suo nome, così gli chiedono: “vogliamo vedere Gesù”. Filippo va dal fratello Andrea, altro nome greco, e insieme vanno da Gesù. La domanda nasconde il desiderio di conoscere il “rabbi” di cui tutti parlano. Quei greci hanno ascoltato i racconti di guarigioni, del suo modo autorevole di rivolgersi a dotti e sacerdoti, di come guarda con amore poveri e sofferenti: quanto scalpore deve aver fatto la resurrezione di Lazzaro. Un uomo di successo, diremmo oggi, da copertina dei settimanali patinati, anche “uomo dell’anno” per qualche rivista. Un successo che inquietava il mondo religioso del tempo. A Cana non era ancora il momento, ora sì “è venuta l’ora”. Papa Francesco è nella biblioteca del Palazzo apostolico, non ci sono persone in piazza san Pietro. Sarà un’altra Pasqua senza folle, ma intenso e struggente silenzio. “Vogliamo vedere Gesù” chiedono i greci a Filippo. Parole che vanno al di là dell’episodio particolare e rivelano un desiderio che attraversa epoche e culture. La risposta del Signore è motivo di riflessione, in quanto egli parla del “seme nascosto pronto a morire per dare molto frutto. Come a dire: se volete conoscermi e capirmi, guardate il chicco di grano che muore nel terreno, cioè guardate la croce”. Anche oggi chi vuole vedere Gesù, il primo e più comune segno che incontra è il crocifisso: “nelle chiese, nelle case dei cristiani, anche portato sul proprio corpo. L’importante – dice il Papa – è che il segno sia coerente con il Vangelo: la croce non può che esprimere amore, servizio, dono di sé senza riserve: solo così essa è veramente l’’albero della vita’, della vita sovrabbondante”. Ecco la grande responsabilità delle comunità cristiane: “anche noi dobbiamo rispondere con la testimonianza di una vita che si dona nel servizio. Si tratta di seminare semi di amore non con parole che volano via, ma con esempi concreti, semplici e coraggiosi. Non con condanne o gesti clamorosi”. Trascurare la parola del Signore, il risultato può essere solo distruzione e ingiustizia. Ma Dio scrive dritto sulle righe storte della nostra condizione umana. “Con la sua grazia, ci fa portare frutto, anche quando il terreno è arido a causa di incomprensioni, difficoltà o persecuzioni, o pretese di legalismi o moralismi clericali. Questo è terreno arido”. Proprio “nella prova e nella solitudine”, dice Francesco, “mentre il seme muore, è il momento in cui la vita germoglia, per produrre frutti maturi a suo tempo. È in questo intreccio di morte e di vita che possiamo sperimentare la gioia e la vera fecondità dell’amore, che sempre si dà nello stile di Dio: vicinanza, compassione, tenerezza”. Così invita alla vicinanza, a non dimenticare le vittime innocenti della mafia, Nella Giornata della memoria e del ricordo chiede di “rinnovare il nostro impegno contro le mafie”, già condannate da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Sono “strutture di peccato”, afferma, “strutture mafiose, contrarie al Vangelo di Cristo, scambiano la fede con l’idolatria”. (Fabio Zavattaro – Sir)

Rallegriamoci, Gesù è con noi: la domenica del Papa

15 Marzo 2021 - Città del Vaticano - Rallegrati. È l’imperativo che ci accoglie, è l’antifona di ingresso, nella celebrazione di questa quarta domenica di Quaresima, domenica laetare che si è celebrata ieri. Ci viene chiesto di gioire perché siamo prossimi al tempo di Pasqua, e sappiamo che il tempo non è fermo al venerdì della passione, ma è segnato dalla domenica di resurrezione. Rallegriamoci, dunque, di fronte all’amore di Dio che ha inviato il figlio unigenito “perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Siamo oltre la metà del tempo di Quaresima e dalla liturgia ci viene l’invito alla speranza. Nel libro delle Cronache si narra l’ira del Signore, che punisce il peccato di Israele con la distruzione di Gerusalemme, e con l’esilio; ma anche la grande misericordia, il dono della salvezza a opera di Ciro re di Persia. Nella lettera agli Efesini, san Paolo scrive di “Dio ricco di misericordia”, il quale proprio “per il grande amore con il quale ci ha amato” ci ha salvati, ci ha risuscitati. E Giovanni, nel Vangelo, ricorda che Dio ha mandato il figlio perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Interrompendo per un momento l’austerità del tempo di Quaresima, la liturgia ci invita alla letizia, alla gioia, e alla speranza. E questo vale per tutti, soprattutto per quei popoli che sono vittime di guerre e violenze. Così papa Francesco ricorda che «dieci anni fa iniziava il sanguinoso conflitto in Siria, che ha causato una delle più gravi catastrofi umanitarie del nostro tempo»: morti, feriti, milioni di profughi, migliaia di scomparsi; distruzioni e violenze di ogni genere e «immani sofferenze per tutta la popolazione, in particolare per i più vulnerabili, come i bambini, le donne e le persone anziane». Come già nel suo ultimo viaggio in Iraq, il Papa rinnova l’appello alla pace e l’invito a un nuovo impegno della comunità internazionale affinché siano «deposte le armi, e si possa ricucire il tessuto sociale e avviare la ricostruzione e la ripresa economica». Rallegrati. Vale per i poveri, le persone sole e abbandonate: la vittoria del bene sul male deve risuonare ovunque, e ridare speranza anche là dove violenza e aggressività rischiano di stravolgere la vita delle persone. Nel dialogo con Nicodemo, un fariseo, che va a trovarlo di notte, Gesù mette in crisi le aspettative di chi, come Nicodemo, attendeva un Messia, «uomo forte che avrebbe giudicato il mondo con potenza». Invece, Gesù si presenta sotto l’aspetto «del figlio dell’uomo esaltato sulla croce; del figlio di Dio mandato nel mondo per la salvezza»; e sotto l’aspetto della «luce che distingue chi segue la verità da chi segue la menzogna». Nicodemo pensa di poter portare dalla sua parte Gesù, ma lo va a trovare di notte, per non essere visto; crede, ma non ha il coraggio di andare fino in fondo, di accettare ciò che comporta una scelta radicale. È un uomo in ricerca, ma è ancora nell’oscurità, nella notte. Nicodemo, in fondo, è come tutti noi. Anche a lui, come a tutti noi, Gesù dice “rallegrati”. Veniamo ai tre aspetti indicati dal Papa. Giovanni vede nella passione e morte, lui testimone sotto la croce, un innalzamento, cioè un modo per far vedere la gloria del Signore, in un momento in cui sembra che sia il male e la morte ad avere la vittoria sul bene e sulla vita. La missione di Gesù, afferma papa Francesco all’Angelus, «è missione di salvezza per tutti»; è il secondo aspetto. Infine, la luce che distingue la verità dalla menzogna. La venuta di Gesù, dice papa Francesco, provoca una scelta: «chi sceglie le tenebre va incontro a un giudizio di condanna, chi sceglie la luce avrà un giudizio di salvezza. Il giudizio sempre è la conseguenza della scelta libera di ciascuno: chi pratica il male cerca le tenebre, il male sempre si nasconde, si copre. Chi fa la verità, cioè pratica il bene, viene alla luce, illumina le strade della vita. Chi cammina nella luce, chi si avvicina alla luce, non può fare altro che buone opere”. Questo è l’impegno cui siamo chiamati in Quaresima: “accogliere la luce nella nostra coscienza, per aprire i nostri cuori all’amore infinito di Dio, alla sua misericordia piena di tenerezza e di bontà, al suo perdono». Senza dimenticare, ci dice il Papa, che «Dio perdona sempre se noi con umiltà chiediamo il perdono. Basta soltanto chiedere il perdono, e lui perdona”. Il perdono di Dio «rigenera e dà vita». (Fabio Zavattaro - Sir)