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Card. Czerny: ho visto la guerra negli occhi dei profughi

17 Marzo 2022 - Dall’8 all’11 marzo, il card. Michael Czerny, prefetto ad interim del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale ha visitato l’Ungheria per portare ai rifugiati ucraini e a coloro che li accolgono l’abbraccio e la benedizione del Papa. Giunto a Budapest si è diretto a est, a Barabás, punto di passaggio della frontiera per i profughi ucraini. Di lì ha potuto spingersi per qualche kilometro in territorio ucraino, raggiungendo la città di Berehove. Ascoltiamo le sue riflessioni al rientro, mentre si prepara per una missione analoga, questa volta in Slovacchia, che comincia il 16 marzo. Di seguito una sua riflessione pubblicata sul sito di "Aggiornamenti Sociali"   Ho visto la guerra, ma non direttamente, perché la regione in cui sono stato finora è stata risparmiata dal conflitto: l’ho vista negli occhi delle donne e degli uomini che ho incontrato: persone sradicate, smarrite, che in uno zaino o in una borsa della spesa portano tutto quello che è loro rimasto. Respirano e camminano, ma si può dire che hanno “perso la vita”, anzi che la guerra gliel’ha tolta, e non hanno ancora cominciato a costruirne una nuova. Per questo sembrano cavarsela meglio gli immigrati stranieri: erano numerosi in Ucraina, solo gli studenti erano circa 75mila, da Africa, Asia e America Latina. Anche loro fuggono insieme alla popolazione ucraina, anche loro hanno solo uno zaino o una valigia, ma non hanno “perso la vita”, anche se alcuni hanno dovuto fare i conti con episodi di razzismo durante il viaggio. La maggioranza dei profughi sono donne e bambini, e per loro si aggiunge la minaccia della tratta. Vengono da una storia – quella del mondo sovietico – in cui hanno imparato a diffidare da tutto ciò che è pubblico o statale; così stanno alla larga dai pullman organizzati dal Governo e questo fa il gioco dei trafficanti, che si avvicinano e offrono un passaggio su un’auto privata. Ma non ho visto solo questo, anzi ho visto soprattutto altro: tante persone impegnate a fare la pace, avvicinandosi ai profughi, proprio mentre i soldati sono impegnati a fare la guerra, spesso da lontano, guardando lo schermo di un computer, perché si combatte una guerra tecnologica. È un vero esercito di pace che si è mobilitato per le iniziative di accoglienza e solidarietà, a tanti diversi livelli. C’è la solidarietà degli Stati, che in pochi giorni hanno messo in piedi infrastrutture e snellito le procedure che consentono l’ingresso legale ai profughi, che mettono a disposizione gli autobus o consentono di viaggiare gratuitamente sui treni; c’è quella dei funzionari pubblici che mandano avanti le operazioni. Poi c’è la solidarietà organizzata dalle ONG, dalle Chiese e dalle comunità religiose: tutte quelle presenti sul territorio che ho visitato – cattolici di rito latino e orientale, ortodossi, protestanti ed ebrei – capaci di collaborare in uno spirito di ecumenismo pratico. Quella che mi ha colpito di più è la solidarietà spontanea della gente comune. Degli ungheresi, certo, ma anche di tante persone che ho incontrato, arrivate dall’Italia, dal Belgio, dalla Spagna…: hanno lasciato quello che stavano facendo e sono partite guidando per migliaia di kilometri, a proprie spese, per arrivare alla frontiera ucraina, scaricare gli aiuti che hanno portato e caricare le persone che ospiteranno a casa propria. Ho visto un’Europa capace di mettere da parte chiusure e paure, capace di aprire le porte e le frontiere, anziché costruire muri e steccati. Ho visto europei capaci di comportarsi ancora come il buon samaritano, caricando su auto e pullman – non più su un cavallo o un asino – degli sconosciuti trovati “mezzi morti” lungo le strade che portano al confine. Prego perché, una volta terminata questa crisi, l’Europa e gli europei non tornino indietro, ma restino aperti e accoglienti! In poche parole, ho visto Fratelli tutti in azione, nelle mani e nei volti delle persone, nelle loro azioni e nelle loro parole. Penso che come Chiesa abbiamo qui un grande compito da svolgere: mentre la Santa Sede e la sua diplomazia continuano a cercare strade per far cessare il conflitto, offrendosi anche come mediatori, a un altro livello dobbiamo impegnarci per sostenere e rinforzare questo sforzo di solidarietà. Ce ne sarà bisogno perché la crisi potrebbe prolungarsi, ma soprattutto perché una volta tornata la pace, servirà la stessa solidarietà, forse persino più grande, per accompagnare le persone nel ritorno a casa, perché possano riprendersi quella vita che adesso sembrano aver smarrito, superare i lutti, le ferite e le sofferenze che la guerra lascerà sul territorio dell’Ucraina, e costruire un futuro di pace per il proprio Paese. L’impegno degli uomini e delle donne dell’Ucraina è già cominciato. Al rientro a Roma mi hanno raccontato un fatto accaduto a Medyka, città polacca di frontiera. Alcuni trafficanti cercavano di convincere le donne in fuga a salire su due autobus che le avrebbero portate in Danimarca, per inserirle nel giro della prostituzione. Altre donne ucraine, già residenti in Polonia, hanno chiesto che venisse controllata l’identità di questi trafficanti, che rapidamente sono spariti. Ora le donne ucraine si stanno organizzando per impedire che fatti di questo genere si ripetano. Possiamo solo immaginare quello che riusciranno a una volta che potranno tornare a casa, con lo stesso spirito e la stessa determinazione. Per dare un futuro all’Ucraina è indispensabile che tacciano le armi, ma non basta: serve che i profughi possano rientrare, rimettersi al lavoro, tornare a scuola… Un Paese non può vivere senza i suoi cittadini! La settimana scorsa sono partito per «un viaggio di preghiera, di profezia e di denuncia». Così è stato. Ma al rientro posso dire che è stato anche un viaggio di testimonianza, di amore e di speranza. Con questo spirito riparto ora per la Slovacchia. (card. Michael Czerny)

Ucraina: il card. Czerny di nuovo in missione

14 Marzo 2022 -
Città del Vaticano - "Nei prossimi giorni Sua Eminenza il Cardinal Czerny partirà nuovamente alla volta dell’Ucraina, su richiesta di Papa Francesco, per manifestare la vicinanza del Santo Padre a quanti vivono con dolore le conseguenze della guerra in corso". Lo ha detto ai giornalisti il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni aggiungendo che il porporato  arriverà in Slovacchia mercoledì 16 marzo e si recherà sul confine ucraino nei giorni successivi. Papa Francesco - ha detto Bruni "segue con la preghiera questa missione, come quelle dei giorni scorsi, e, tramite Sua Eminenza, desidera rendersi prossimo a coloro che fuggono dai combattimenti e soffrono per la violenza di altri uomini". (R.I.)

Ucraina: card.Czerny, “siamo chiamati a far nostro il loro dolore”

10 Marzo 2022 - Città del Vaticano - "Che arrivino a #Lesbo dal Nordafrica o dalla Siria, o in Ungheria scappando dall'#Ucraina in guerra, i profughi sono il volto di Cristo sulla Croce. Siamo chiamati a far nostro il loro dolore". E' quanto ha scritto, questa mattina, in un tweet dall'Ungheria il cardinale Michael Czerny, prefetto 'ad interim' del Dicastero vaticano per lo Sviluppo umano integrale, uno dei due porporati - l'altro e l'elemosiniere card. Konrad Krajewski - inviati dal Papa in Ucraina per portare il suo aiuto e la sua vicinanza alla popolazione in questi giorni sotto attacco russo.

Piccola speranza tra gli orrori: le bombe non fermano la carità

10 Marzo 2022 -

Milano - Domenica scorsa al termine dell’Angelus Papa Francesco ha reso noto di aver inviato in Ucraina due cardinali: l’elemosiniere Konrad Krajewski e Michael Czerny, prefetto ad interim del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Il primo è entrato in Ucraina dalla frontiera polacca, mentre il secondo lo ha fatto dall’Ungheria, dove ha tenuto incontri istituzionali e ha visitato le strutture di accoglienza dei rifugiati. Il Pontefice aveva sottolineato che «la presenza di due cardinali lì, sul posto, non rappresenta solo la presenza del Papa, ma simbolizza la presenza di tutto il popolo cristiano che vuole stare vicino e dire: “La guerra è una follia! Fermatevi, per favore! Guardate, quanta crudeltà!”». L’elemosiniere pontificio ha raccontato ai media vaticani lo sforzo imponente messo in campo, dalla sicurezza relativa di Leopoli, per raggiungere anche chi è ancora sotto le traiettorie dei missili e fatica o è impedito a imbarcarsi nella fuga tra le sponde di corridoi umanitari troppo fragili. «Io – ha riferito – mi trovo nei dintorni di Leopoli, per motivi di sicurezza non diciamo dove. Qui arrivano soprattutto i grandi aiuti dalla comunità europea attraverso la Polonia. Tutto viene scaricato in grandi depositi e da qui poi partono i tir per Kiev, per Odessa, verso il sud nel Paese». La «bella notizia», dice con soddisfazione il cardinale Krajewski, «è che tutti questi aiuti arrivano ancora a destinazione, nonostante i bombardamenti». Glielo hanno confermato i vescovi di Kiev, di Odessa, di Karkhiv, lo stesso nunzio apostolico, con i quali è in contatto. Ed è su questo aspetto in particolare, sottolinea il porporato, che è intervenuto in modo pratico il sostegno del Papa: «Qui hanno difficoltà a reperire il gasolio e dunque, attraverso l’Elemosineria, il Santo Padre ha pagato molti viaggi di tir, dei grandi camion che portano gli aiuti umanitari all’interno dell’Ucraina». «Sappiamo che la fede – ha poi confidato – riesce a spostare le montagne, così leggiamo nel Vangelo, e ne siamo sicuri. Penso che riusciremo a fermare questa guerra proprio con la nostra preghiera, con la nostra fede».

Martedì Krajewski ha incontrato l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, e il metropolita di Leopoli dei latini Mieczyslaw Mokrzycki. I tre, riferisce il segretariato romano di Shevchuk, hanno potuto anche parlare direttamente con Papa Francesco. Durante la telefonata, Krajewski ha raccontato al Pontefice le prime impressioni della visita, e in particolare quello che ha visto sul territorio polacco, da dove è entrato in Ucraina. Il Papa è stato inoltre aggiornato sul programma della visita del suo inviato in Ucraina, precedentemente discusso dai partecipanti all’incontro. Krajewski non ha una data di fine missione, perché il Pontefice gli ha dato istruzioni di rimanere in Ucraina il tempo necessario per fornire sostegno al popolo ucraino a nome della Sede Apostolica. Shevchuk ha commentato che «il Papa vuole essere presente di persona attraverso il suo inviato. È questo lo scopo della sua visita». Oggi comunque, è prevista la visita ai centri di assistenza sociale della Chiesa greco-cattolica ucraina, e la partecipazione ad una preghiera congiunta con i rappresentanti del Consiglio pan-ucraino delle Chiese e delle Organizzazioni religiose. Secondo Krajewski, i profughi sono grati alla comunità europea per gli aiuti e le preghiere. È stata la stazione di Keleti, punto di partenza per i viaggi internazionali, la prima tappa del viaggio in Ungheria del cardinale Czerny. Da lì ogni giorno da settimane scendono dai treni circa 2500 persone, assistite da Caritas e Ordine di Malta. Nel pomeriggio di martedì la visita del porporato gesuita al centro accoglienza di Sant’Egidio nella chiesa di San Pietro Canisio. Nello scalo di Keleti, riferisce VaticanNews, Czerny ha incontrato anche un gruppo di giovani di colore. Ieri poi ha visto il vice premier ungherese, Zsolt Semjén, che ha ribadito la disponibilità del governo ad accogliere i profughi 'senza limiti'. Quindi ha attraversato la frontiera ucraina, direzione Beregove, villaggio della Transcarpazia, per incontrare un gruppo di profughi assistiti dalla locale chiesa greco cattolica. (Gianni Cardinale - Avvenire)

Card. Czerny: “ogni settimana c’è un naufragio, anche le nostre anime stanno annegando?”

17 Ottobre 2019 - Città del Vaticano - “Ogni settimana c’è un naufragio – Italia, Messico, Italia – ma non notiamo che le nostre stesse anime si stanno distruggendo e annegando? Preghiamo, urgentemente, per loro e per noi”. È l’appello accorato del neo cardinale Michael Czerny, sottosegretario della Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale della Santa Sede, a proposito degli ultimi recenti naufragi, tra cui quello di Lampedusa la scorsa settimana. Alla base di questa accorata richiesta probabilmente il ritrovamento in fondo a mare del corpo di una mamma ivoriana abbracciata al figlio di 8 mesi. Sono stati trovati lì, all’interno di un relitto a circa 60 metri di profondità. Un barchino, affondato il 7 ottobre scorso a sei miglia da Lampedusa e rintracciato, dopo diversi giorni di lavoro, dai sommozzatori della Guardia Costiera. Le telecamere del robot sottomarino hanno individuato dodici corpi. All’appello ne mancherebbero 5 che risultano ancora dispersi, ma non è escluso che attorno ce ne possano essere ancora. Il piccolo e la sua giovane mamma sono ancora lì, sul fondo del mare, uniti in un unico abbraccio di vita e di morte. Per recuperare i corpi  ci vorranno giorni, ma i sommozzatori sono pronti ad accelerare i tempi per portare a termine le operazioni. (Sir)